Ci sono film che basano tutto il loro fascino sulla capacità di ribaltare i luoghi comuni. Altri invece si fondano sul presupposto contrario. Prendiamo un classico come I tre dell’Operazione Drago: abbiamo l’afroamericano superfunky, il raffinato w.a.s.p. e l’orientale silenzioso. Impegnati in un mortale torneo di arti marziali su di un’isola governata da un malvagio trafficante di schiave. Si consideri poi che due dei tre protagonisti sono interpretati da quelli che all’ epoca erano i simboli di quel genere di attore/caratterista: Jim ”Black Samurai” Kelly e Bruce Lee. Il gioco è divertente proprio nel suo essere esplicito, nel suo manifestarsi come sciocchezzuola pop. In un film dove l’antagonista sfoggia una discreta collezione di artigli per il moncherino nessuno si sognerebbe mai di infilarci psicologie tridimensionali e complesse sfaccettature psicologiche. Lo stereotipo è trattato con maestria e diventa punto di forza, piuttosto che tonfo di sceneggiatura. Quella del cliché è un’arte complessa almeno quanto quella del torpiloquio: di scrivere una battuta da cinepanettone sono capaci tutti, per perle come “E io sono un fungo atomico sterminatore e figlio di puttana, figlio di puttana” o “Sono sepolto in questo buco, non solo prendo meno di un negro alla catena, lavoro anche il mio giorno di riposo, quelle cazzo di saracinesche si sono bloccate, ho a che fare coi peggio balordi di questo pianeta, puzzo di lucido da scarpe, la mia ex ragazza è in catalessi dopo aver scopato con un cadavere e la mia attuale fidanzata si è ciucciata 36 cazzi” invece ci vuole talento. E, per arrivare a Massacre Mafia Style, Duke Mitchell di questo talento non ne ha neanche un grammo. Forse.
In questo tesoro nascosto dell’exploitation più sfacciata, da poco disponibile in dvd in sole 500 copie, troverete il ritratto degli italiani più facilone e scontato di sempre. Una delizia. Tutto quello costruito dai Soprano in anni di gloriose stagioni televisive qui viene frantumato in 88 minuti sgranati e rovinati dal tempo. Così abbiamo il protagonista Mimi (interpretato dal regista, sceneggiatore e produttore Duke Mitchell) impegnato in una poco fortunata scalata al mondo della malavita organizzata. Tra una carneficina e l’altra, tutte di una crudeltà tipicamente settantiana, abbiamo pranzi a tavola con i genitori, “Mamma Mia!”, “Madonna” “Figliuzzo mio” come se piovesse, baci & abbracci, segni della croce appena un’icona religiosa entra nell’inquadratura e tutto quell’armamentario che ci rende tanto coloriti all’estero (dico, avete visto il logo del film?).
La cosa che rende il tutto una perla è la totale mancanza di ironia. Massacre Mafia Style è pura ignoranza. La morte per folgorazione di un paraplegico in un orinatoio è storia della serie B, così come il fucile a quattro canne nascosto in una pagnotta e la corona di fiori esplosiva (con tanto di timer in bella vista). Il gioco però non è semplice come sembra: a dispetto di quello che ci aspetterebbe Duke Mitchell non era un cialtrone, ma un affermato comico da locale notturno. Tanto apprezzato da attirare i produttori di Hollywood e farsi costruire attorno il film Bela Lugosi Meets a Brooklyn Gorilla, dove interpreta appunto se stesso (e con lui la sua spalla nella vita reale). A questo punto è lecito farsi una domanda: Massacre Mafia Style è spazzatura o un raffinato esercizio di comicità Kaufmaniana? In entrambi i casi il risultato è lo stesso. Puro, incondizionato divertimento. Che sia voluto o meno non ha importanza, l’essenza del midnight movie più incontaminato è palpabile e con essa l’inevitabile aurea di culto. E per consegnare la sua opera ai posteri il buon Duke non poteva chiedere di meglio.