martedì 31 marzo 2009

Sym-Bionic Titan: il ritorno di Genndy Tartakovsky

Chi non adora Genndy Tartakovsky? Conosciuto ai più come il creatore de Il Laboratorio di Dexter il nostro animatore russo rimarrà nella storia per il suo capolavoro Samurai Jack. Visionario, tecnicamente mostruoso e serio da morire (nonostante le scelte grafiche e di sceneggiatura). Una gemma che tiene il passo di chambara ben più blasonati.



Ora pare che il nostro stia tornando, e nel migliore dei modi. Perchè il suo prossimo Sym-Bionic Titan parlerà di... robottoni giganti. Che chiedere di più? Il lavoro pare procedere talmente bene da far guadagnare al Nostro il titolo di storyboard arist ufficiale per Iron Man 2. Se tanto mi da tanto...




lunedì 30 marzo 2009

DMZ 4: Fuoco amico di Wood/Burchielli/Fox

Questo Fuoco Amico rappresenta la più grande occasione mancata di una serie prossima alla perfezione come DMZ. L’arco narrativo più duro, realista e profondo dell’opera di Wood e Burchielli rischia più volte di perdersi in un mare di didascalie, pagandone lo scotto in fatto di ritmo e tensione. Una scelta difficile, tutta votata alla ricerca di un pathos sentito e mai retorico, ma che riduce spesso il fumetto in questione a un romanzo con molte illustrazioni. Peccato, perché dal punto di vista grafico l’intero volume è grandioso, partendo dalle cover ad opera dello sceneggiatore, passando per un sempre più bravo Riccardo e finendo sulle tavole dei disegnatori ospiti. Ulteriore motivo di plauso nel fatto che, nonostante i nomi coinvolti siano molti, l’insieme risulti coeso, forte di un appeal underground molto caratterizzante per tutti gli autori.



Se nel linguaggio abbiamo qualche intoppo, a livello di contenuti DMZ si riconferma come opera matura e politica, concepita con uno sguardo cristallino sulla nostra contemporaneità. Dopo aver preso in esame le piaghe del giornalismo embedded e degli appalti dietro ogni campagna militare moderna, ora la riflessione si sposta sui colpevoli (veri e presunti) degli orrori consumati sul campo di battaglia. Su come le vittime si trovino da entrambi gli schieramenti, con o senza fucile, su come la gerarchia militare e politica finisca sempre per manipolare la verità a suo piacere. Sul bisogno delle vittime di una giustizia sommaria e su come l’esercito trasformi giovani senza nessuna prospettiva in perfetti capri espiatori. Tutto senza la minima cessione al gratuito, al luogo comune o alla sterile provocazione. Ed era proprio questo l’aspetto vincente di una serie quasi impossibile da scrivere: unire l’impegno e la riflessione con uno scheletro di genere, rivolgersi al cervello dei lettori sfruttando le corsie preferenziali del basso ventre. Parlare di argomenti dannatamente seri attraverso le pagine di un fumetto accattivante, teso e dinamico. Se si volesse fare un paragone cinematografico DMZ è il corrispettivo perfetto del bellico The Kingdom di Peter Berg. Bello a vedersi come un action di Michael Mann, ma dotato di una profondità che non può non spingere alla riflessione.



Amaro senza giocare al ribasso. Cinico e realista come solo la fiction sa essere.

venerdì 27 marzo 2009

[trailer] Cat Shit One: teneri batuffoli in missione di pace


Quasi come l'ultimo della Disney.



Piccolo appunto: se i cammelli sono gli ovvi abitanti del vicino oriente, chi sono i conigli?

[oldies but goldies] Ufficio Investigativo 23: crepate, bastardi! di Seijun Suzuki (Jap/1963)

Ho sempre avuto la convinzione che un Maestro si differenzi da un semplice ottimo regista per la sua capacità di infondere interesse e poetica autoriale nelle opere minori così come nei capolavori riconosciuti. Ed è proprio questo che succede in Ufficio Investigativo 23: crepate, bastardi!. Un film leggero e di chiara matrice derivativa, ma dove Seijun Suzuki riesce comunque a imporsi come personalità imprescindibile per tutto il cinema avvicinabile alle correnti pop. E’ chiaro, non siamo dalle parti di pietre miliari come Una farfalla sul mirino o Tokyo Drifter, ma 88 minuti di puro lounge noir alla nipponica non possono che essere sempre graditi.



Gli ingredienti che hanno fatto grande il nostro ci sono tutti: colonna sonora easy listening, Joe Shishido nella parte del protagonista gelido e smargiasso, una fotografia alla Mario Bava e tanto meta cinema (ma siamo nel 1963, non nel 1994) che si stempera puntualmente in un umorismo tanto sottile quanto assurdo.



Un capitolo a parte lo merita la regia. Qui si parla di una macchina da cinema che fino all’esilio forzato dagli studios nel 1967 arrivava a dirigere 5/6 film all’anno, non di un autore da salotto buono che necessita di 10 anni per partorire sterili rappresentazioni di nulla. Eppure anche in un film minuscolo come questo le gemme non mancano, microscopici colpi di genio che da sempre rappresentano una delle attrattive maggiori verso il Maestro. Vedere la macchina da presa inclinarsi a 45 gradi per una frazione di secondo, proprio nell’istante in cui il protagonista sta per essere preso dal panico, denota una padronanza espressiva del mezzo impressionante. Raccordi di montaggio secchi e definiti si accompagnano a movimenti di macchina sinuosi, spesso in sincrono con i movimenti degli attori sullo schermo. L’obiettivo prende vita e ci permette di assistere a quello che succede in una stanza insinuando il suo sguardo nello spioncino, così le inquadrature completano quello che si stava dicendo nella scena prima (es: in ufficio una radio parla del furto di un grosso automezzo, sulla frase “la targa del veicolo è…” un raccordo sposta la scena sul camion stesso, primissimo piano della targa). Tutto senza mai allontanarsi dai binari del cinema di genere, senza mai lasciar prendere la mano alle tendenze più artistiche rispetto alle spinte dal basso.



Suzuki rimane una delle dimostrazioni più tangibili di come il cinema di serie B, come lui ha sempre orgogliosamente definito il suo lavoro, abbia ormai guadagnato statuto di genere a se stante. Una filosofia che finì per costruire il successo della Nikkatsu e di una serie infinita di studios entrati ormai nella leggenda. Una scelta difficile che permise a tanti Maestri di muoversi nella libertà data dalle sale più scalcinate e dai budget più risicati, consegnandoci così una porzione importante dei capolavori che oggi veneriamo come cinema di serie A.

giovedì 26 marzo 2009

16 - Bridges to burn (Relapse/2009)




Vi ricordate gli Unsane? Vi ricordate quelle chitarre grasse come una colata di cemento armato? Quella sezione ritmica sorda, percussiva e terremotante come il crollo di un palazzo troppo massiccio per reggere all’usura degli anni? Quelle vocals tanto rabbiose da potersi immaginare Chris Spencer impegnato a sputare letteralmente sangue sulle assi di qualche scantinato di Brooklyn? Quella negatività così sanguigna e vera da infilarsi sotto pelle e rimanerci per troppo, troppo tempo? Quella foga d’esecuzione che puzzava di asfalto, piscio, vomito e sangue rappreso? Vi ricordate della sacra triade EyeHateGod/Crowbar/Iron Monkey? La progenie stonata dei seminali Melvins, rimasti nella memoria come la più bestiale derivazione di quelle fondamenta gettate dai Black Sabbath. Vi ricordate il malessere trasmesso da composizioni che facevano dell’eccesso sludge core unica ragion d’essere? Il Gesù scimpanzé eroinomane stampato sulla cover di Our Problem come se fosse la cosa più normale del mondo? La profonda ignoranza di cui era impregnata ogni singola nota sputata dagli amplificatori scoppiati di queste band?



I 16 sì. Lo ricordano.



Cazzo, se lo ricordano.

lunedì 23 marzo 2009

Spike Jonze per Unkle: skate and destroy





Regia, fotografia e montaggio a livelli stellari. La canzone (Heaven degli Unkle) è da brividi e in più ci sono un sacco di skate al rallenty che fanno esplodere muri e centraline elettriche. Esiste qualcosa che Spike Jonze non riesca rendere poetico?

Un He-Man così non lo avevate mai visto



Nuova incarnazione per l'eroe più gay degli anni '80 (ma chi ha inventato un nome così inequivocabile?). He-Man and the 13 Trials of Eternia è il nuovo lavoro di John Vermilyea, fumettista di Brooklyn. Lo potevate trovare in vendita qui, prima che le 21 copie di tiratura andassero esaurite.

sabato 21 marzo 2009

[oldies but goldies] Io vi troverò di Pierre Morel (Francia/2008)

Se è vero che chi ben comincia è già a metà dell’opera allora con questo Taken si parte alla grande. La localizzazione Io vi troverò dimostra una potenza evocatrice che non può non attrarre ogni amante del revenge movie. E tutti sappiamo quanto sia importante affabulare il giusto tipo di consumatore.



Ma passiamo a parlare del film in dettaglio.



Liam Neeson è un padre fallito. Fa regali ridicoli alla figlia adolescente, si fa sfuggire una moglie stupenda, vive in uno sciatto sobborgo di Los Angeles. Durante una cena viene anche deriso dai suoi ex colleghi per essere andato in pensione prima del tempo.



Non si parla di che lavoro facesse prima, ma si chiacchiera di Beirut e altri paesi simpatici.



Accetta un lavoretto come uomo della sicurezza durante il concerto di una nota pop star. Tutto bene fino a quando un maniaco tenta di pugnalare la cantante.



Come se nulla fosse Liam atterra l’aggressore e gli spezza un buon numero di ossa.



La figlia gli chiede il permesso di andare in vacanza a Parigi. Liam tentenna, dice che conosce i pericoli del mondo, ma finisce per firmare comunque i documenti necessari. Manco a farlo apposta, l’adolescente finisce per farsi rapire da una banda di albanesi. Chiama disperata il padre.



Liam smonta la faccia da cane bastonato e innesta quella da bastardo senza cuore. Sfila da un armadietto una valigetta piena di aggeggi e avverte telefonicamente i rapitori delle sue intenzioni. Trovarli e ucciderli.



Tutto in meno di mezz’ora.



Senza dire una parola abbiamo un ritratto perfetto del protagonista, possiamo immaginare tutto del suo passato. La trasformazione da uomo qualunque a macchina per uccidere è un capolavoro di sceneggiatura, a cui seguirà un’altra ora di genere puro. Di quello purissimo, senza nessun tipo di contaminazioni autoriali o vezzi metalinguistici.



Io vi troverò riserva ancora qualche colpo di genio, il clichè dell’indizio rivelatore scoperto per caso viene demolito con un cinismo da lode, ma soprattutto tanta, tanta, tanta cattiveria. Non ci sono sovrastrutture ideologiche, si gioca con il fuoco dando addosso ad albanesi e minoranze etniche. Liam Neeson raggiunge un bodycount stellare, tortura, ricatta e si muove con la grazia di un autotreno lanciato a tutta velocità in pieno centro cittadino.



La regia è invisibile, tutto si piega al magnetismo del padre in missione. Lo spettatore ha quello che vuole. Nessun tipo di moralismo o doppio senso, pare impossibile che l’action possa raggiungere vette di tale sconsiderata pornografia. I cattivi rapiscono, stuprano e vendono adolescenti. Il padre di una di queste si dimostra ancora più cattivo e fa quello che volevamo vedere da sempre. Va a prenderli e li ammazza. Uno per uno. La catarsi è al massimo, la correttezza politica dimenticata ancora prima dei titoli di testa. Io vi troverò è questo e poco altro, ma il sapore è talmente gustoso da far dimenticare tutto il resto.



Non un capolavoro, ma tra 20 anni se ne parlerà come oggi si parla di tanti classici degli ’80.




giovedì 19 marzo 2009

[ma quanto lo aspetto?] Where The Wild Things Are di Spike Jonze (US/2009)

Mentre tutti sbrodolano per il prossimo Alice di Burton/Depp (che scommetto sarà una favola dark tanto poetica ma anche un pò cattivella con un grandissimo Depp e... zzz... zzz...) il buon Spike Jonze pubblica una locandina che gonfia il cuore. Magnifica.

martedì 17 marzo 2009

Mastodon: Crack the Skye in streaming





Qui. Smettete di fare qualsiasi cosa stiate facendo e cliccate subito. Lacrime. Devo assimilarlo ancora un pò per poterlo contestualizzare nella loro discografia, ma che si tratti di un disco immenso è palese. Ripeto, lacrime.

Preview: Agoraphobic Nosebleed - Agorapocalypse (Relapse/2009)

Fuori il 20 aprile il nuovo lavoro dei grandi Agoraphobic Nosebleed. Dal loro MySpace pare che la direzione del combo sia nuovamente cambiata, passando dalle schegge di rumore del precedente Altered States of America (ultimo full lenght, con 100 canzoni compattate in 15 minuti) a una concezione di musica più simile alla band gemella Pig Destroyer. Anche la line up si presenta rinnovata, confermando quanto visto sullo split con gli Insect Warfare. Se tutto questo non fosse sufficiente ad elevare l'hype alle stelle, la premiata ditta Hull/Randall ha pensato bene di studiare la limited edition più figa dell'anno. 1000 copie del loro Agorapocalypse usciranno in old school longbox case, farcito con cd, 4 spillette, 1 poster ad opera di Florian Bertmer e la superclassica toppa da metallaro anni '80. Cliccate qui per una panoramica completa. Naturalmente il sottoscritto ha già provveduto a versare i suoi bravi 16 dollari sul conto paypal di mamma Relapse. Se amate il grind sintetico non perdete tempo e muovetevi pure voi!

lunedì 16 marzo 2009

Martyrs di Pascal Laugier (Francia/2008)

Se dovessimo stare ad ascoltare il tam tam mediatico questo Martyrs potrebbe segnare, come minimo, una nuova tappa irrinunciabile all’interno del filone horror. Un viaggio nell’incubo capace di violentare lo sguardo del più smaliziato spettatore, una rivincita del cinema di genere francofono dopo la delusione di Frontière(s). E in parte ci riesce anche, ma bisogna comunque ammettere che il cinema abita da un’altra parte.



Stilisticamente non siamo lontani dal linguaggio televisivo e, sorvolando su di un paio di carrellate all’indietro e un pugno di momenti di chiara ispirazione jhorror (una sorta di The Grudge al Grand Guignol), il budget risicato si vede tutto. Fotografia altalenante, movimenti di macchina ridotti al minimo, montaggio essenziale. Gli esasperati tecnicismi di un Aja o la ricerca maniacale del grottesco da parte di un Du Weltz non vivono neanche di riflesso, facendoci spesso pensare di trovarci di fronte a uno scellerato esempio di straight to video nipponico. La volontà di nobilitare il tutto allontanandolo dalle sue radici exploitation rende l’insieme gelido e troppo calcolato, eliminando il meccanismo empatico che unisce fruitore horror e lungometraggio. Detto in altre parole, manca quel feeling che fa apparire i mostri di gomma come infinitamente più convincenti di qualsiasi FX alla Michael Bay.



A livello di sceneggiatura abbiamo una costruzione che procede deliziosamente per accumulo, mettendo sul piatto poste sempre più alte. Ogni blocco appare slegato dal precedente e le rivelazioni si susseguono senza riallacciarsi a quello appena visto. Un meccanismo rozzo, decisamente efficace nel creare spaesamento e assoluta mancanza di punti fissi allo spettatore. Peccato che anche in questo Martyrs parta benissimo ma finisca per incepparsi su di un’eccessiva serietà e totale mancanza di complicità con il fruitore. Pare che il lungometraggio francese si voglia porre tra l’austerità di Funny Games e la pornografia di Hostel, con in più qualche pizzico di millenarismo. Non bisogna essere maniaci del cinema per capire che tale equazione rischia pericolosamente di scontentare chiunque, dall’appassionato del genere più libero all’amante delle emozioni forti (e quindi ancorate pesantemente al reale).



Ma veniamo a quello che tutti paiono cercare negli ultimi tempi, ovvero i pugni allo stomaco. Martyrs è indubbiamente crudele, spietato e sgradevole. Nessuna concessione allo slapstick, al lirismo o alla catarsi. E se il primo punto non può che essere accolto in maniera positiva, il resto denota invece una mancanza di poetica che potrebbe risultare problematica nel futuro. Se si va ad analizzare il lavoro dei grandi maestri della violenza è impossibile non accorgersi di come per ognuno di questi uno schizzo di sangue non sia semplicemente un geyser di emoglobina, ma un’autentica cifra stilistica. L’ultrarealismo di Verhoeven, i rallenty di Peckinpah, i mari di morti di John Woo, le torture di Miike, l’estetizzazione amorale di Park Chan Wook, i bulbi oculari di Fulci o l’indugiare cinico di Bava. Tanti esempi di come la sofferenza non sia fine a se stessa, ma tassello di un mosaico sospeso tra autorialità e narrazione di genere. Pascal Laugier porta avanti quella che sembra l’unica regola fissa della nuova scuola francese: il saccheggio e l’esagerazione. Lo si può vedere nell’action (chiunque abbia masticato un po’ di cinematografia di HK non può non rendersi conto a che punto si è spinto lo scippo) così come nel nuovo horror. Alla fine non c’è molta differenza tra questo Martyrs e le produzioni più alimentari di una nazione in piena iperattività come la Thailandia. Se si toglie una manciata di scene suggestive quello che rimane è noia, la macchina cinema gira a metà regime e rischia di ingolfarsi. Sempre qualcosa in più di quello proposto dagli imbolsiti US, ma non ancora a un livello accettabile.

sabato 14 marzo 2009

Antropoide 3: Icone (Latitudine 42 Comics/2009)

Con questa nuova uscita Antropoide si merita a pieni voti il titolo di principale voce italiana in campo di apocalypse culture. Un lussuosissimo portfolio contenente 20 ritratti (su carta di pregio) di altrettante personalità simbolo della controcultura. Tra gli artisti coinvolti impossibile non elencare almeno Miguel Angel Martin, Sekitani Norihiro, Paco Alcàzar e il Superamico Ratigher. Una produzione a metà tra libro d’arte e fanzina underground, capace di elevare a status elitario le spinte creative più crude e senza compromessi. Un oggetto che non vuole raggiungere in nessun modo il pubblico generalista, intenzione ribadita anche dalla tiratura di 200 copie, ma che si fregia dell’essere totalmente altro rispetto a quanto proposto in Italia. Complimenti ad Andrea Grieco per il risultato dei suoi sforzi, con la speranza che la prossima incarnazione della sua creatura sappia stupirci ancora una volta.

giovedì 12 marzo 2009

Invaders Must Die - The Prodigy (Take Me to the Hospital Records/2009)

Non avrei mai immaginato che avrei finito per parlar bene di un disco come questo Invaders Must Die. Sono giorni che cerco un motivo per smettere di ascoltarlo. Dopotutto, continuo a ripetermi, ho perso ore ascoltando Aphex Twin, Squarepusher, Boards of Canada e tutta la truppa Ninja Tune. Perché adesso dovrei entusiasmarmi per una volgare commistione di punk, dance anni ’90 ed elettronica lofi da coin op? La risposta è di una semplicità che fa male tanto è diretta: Invaders Must Die ti da quello che vuoi. Un concentrato di populismo come non ne sentivo da tempo. Beat elementari, loop che ti si attaccano addosso come il puzzo di sudore a un concerto dei Motorhead, le solite voci sguaiate di Maxim e Keith. I Prodigy riprendono molti discorsi aperti all’epoca di Experience e finiscono per bastardizzarli con quella che pare la colonna sonora del picchiaduro più infame di sempre. Il concetto di guilty pleasure assume nuovi significati e, troppo spesso, ci si ritrova con l’adrenalina a mille per tracce che meriterebbero di stare solamente su scadenti compilation da edicola. Se nei picchi più alti si arriva alla folle copula tra punk e techno dei mai dimenticati Atari Teenage Riot (soprattutto il periodo comprendente la folle giappocrucca Nic Endo) spesso il campo da gioco degli inglesi sono proprio i luridi sobborghi della Terra d’Albione. Alla faccia di club esclusivi e privè da milionari. Un disco che si brucerà in sei mesi, di cui non rimarrà traccia se non nelle tasche dei tre ravers. Il primo disco che mi ascolterò domani mattina mentre me ne vado al lavoro.

martedì 10 marzo 2009

[trailer] Surveillance di Jennifer Lynch (US/2009)

Torna la figlia del celebre David Lynch, e pare farlo alla grandissima. Il trailer di Surveillance è sospeso tra critica sociale, tensione da thriller on the road e le solite derive surreali tipiche della famiglia di provenienza. E' troppo da maliziosi pensare che il papà abbia messo qualcosa di più che qualche soldino? Lo si dovrebbe chiedere a un certo Eli Roth...



domenica 8 marzo 2009

Era ora!





E adesso aspettiamo che il Canada faccia la stessa cosa per Bryan Adams.

giovedì 5 marzo 2009

[trailer] Vengeance di Johnnie To (HK/2009)





Domani esce Watchmen. Prima del trailer qui sopra era, da parte mia, il film più atteso dell'anno. Questo ribaltone dipende dal fatto che Johnnie e Zack non sono esattamente sullo stesso livello. Lo si capisce dal fatto che 51 secondi di teaser hanno bruciato un anno di marketing virale a tappeto. Sono cose che succedono quando si è uno dei due/tre più grandi registi viventi.

mercoledì 4 marzo 2009

Brutal boy band: The Boy Will Drown

Non l'avrei immaginato: la Earache pubblicherà la prima brutal boy band della storia. Perchè i The Boy Will Drown sono estremi, brutali, dissonanti e tecnici quanto volete, ma rimangono comunque un combo accattivante quanto la più commerciale delle proposte da classifica. Il punto è questo: come ha fatto il grind/death a diventare accattivante? La musica sgradevole per eccellenza non è mai stata così alla portata di tutti. Grazie anche a culti nati su Myspace come Job for a Cowboy e Bring Me The Horizon sembra che le nuove generazioni abbiano trovato le loro icone musicali. Cosa verrà dopo?

martedì 3 marzo 2009

Human Enhancement: l'arte di Revital Cohen



Cani trasformati in polmoni artificiali su quattro zampe. Un orologio collegato con banca e mail aziendale, capace di incrociare tutti i parametri e stabilire il momento in cui il proprio fisico è più adatto a concepire un bambino. Il design incrocia l'arte e diventa provocazione. Revital Cohen ha una lucidità di vedute impressionante, capacità visionarie degne del Paul Verhoeven/David Cronenberg più caustico e uno strano senso dell'umorismo.

lunedì 2 marzo 2009

Punisher: War Zone di Lexi Alexander (US/2008)

Era parecchio tempo che non mi capitava di vedere un film così altalenante e discontinuo. Da must del filone vendetta privata a carabattola televisiva (e viceversa) in un pugno d'inquadrature, passando per eccessi exploitation e picchi di genio. Tutto in 100 minuti. Previa una mia certa confusione ho preferito analizzare il film per punti.



Pollice su per...



Il Punitore: in poche parole, Ray Stevenson è il Punitore (serie Max) perfetto. Dalle espressioni alla camminata, passando per lo straordinario outfit da guerriglia urbana, finalmente il vigilante di casa Marvel trova un’incarnazione degna. Il fatto che l’attore riesca a dare una profondità credibile, e solo con le espressioni del viso, al personaggio monodimensionale per eccellenza non è cosa da poco. Da bacio accademico la scelta di mostrare il buon Frank impegnato spesso in lunghe camminate, sia per arrivare al campo di battaglia che per andarsene. La solita routine del giustiziere che compare puntualmente dall’ombra e se va senza un rumore (alla Batman) non avrebbe fatto giustizia a un personaggio capace di rendere il suo essere terra a terra la forza evocativa principale.



Violenza: The Punisher War Zone va a competere direttamente con John Rambo come film d’azione più violento degli ultimi anni. Anche qui, come nel film di Stallone, ogni tipo di ironia viene bandito. Sangue e teste dilaniate da deflagrazioni tornano a essere disturbanti, alla faccia di tutto il Tarantinismo degli ultimi 15 anni. Da antologia un buon numero di esecuzioni, non a caso quelle meno coreografiche e più realistiche. Bodycount impressionante.



Fotografia: una bella risata in faccia a chi si aspettava i soliti colori desaturati. Qui siamo dalle parti di un Mario Bava sotto acido, con miriadi di faretti colorati disseminati ovunque. Luci durissime che tagliano la scena in porzioni di colore molto ben definite, fino al paradosso delle ombre colorate. Una soluzione difficile che porta a risultati spesso molto evocativi (l’ultimissima inquadratura) altre volte fin troppo surreali. Comunque una ventata di freschezza che salva di frequente la regia da derive televisive.



Botte da orbi: se le sparatorie sono funzionali ma nulla più, Lexi Alexander raggiunge il suo picco negli occasionali scontri corpo a corpo. Regia secca e precisa, che non scimmiotta HK ma va piuttosto a riprendere soluzioni e regole della scuola statunitense pre Bay, adatta al personaggio e al set urbano tipicamente US. Un ottimo comparto sonoro fa il resto del lavoro sporco, rendendo realistici pugni e leve.



Microchip: caratterizzazione e interpretazione magnifici. Impossibile fare di meglio.



Pollice giù per...



I Cattivi: guardando il film ci si accorge di come regista e sceneggiatori abbiano fatto bene i loro compiti, inanellando una serie di richiami molto puntuali alla gestione Ennis del Punitore. Eppure una cosa gli è sfuggita: gli story arc migliori, quelli che fanno più male, sono quelli dolorosamente legati al reale. Penso a Gli Schiavisti o a L’uomo di Pietra. Nessun mostro, mutante o trovate troppo da fumetto, ma mafiosi montenegrini, reduci delle campagne URSS in Afghanistan e criminali veri. E allora perché, in un contesto che richiederebbe ancora più realismo come il cinema, si è scelto di optare per il deforme Jigsaw, suo fratello cannibale e un paio di valigette farcite di fiale blu fosforescente? Il risulta è simile a quanto si è ottenuto con Death Sentence (per la precisione, il film con alcune fra le migliori scene action del 2007): villains senza nessun tipo di carisma. E non occorre essere geni per capire quanto, nel filone del revenge movie, il cattivo conti come personaggio a tutto tondo.



La sceneggiatura: inesistente. Poco altro da dire, la discesa agli inferi di Frank è tutta da immaginare. Peccato, perché da Il Giustiziere della notte di Winner fino a Il Cittadino si ribella di Castellari, passando per il mitico Vigilante di Lustig, il filone è pieno di ottime sceneggiature.