Quando si parla di remake è difficile non mettersi, anche solo per un secondo, nei panni del regista di turno. Il rifacimento di un film può essere un processo dalle numerose sfaccettature, dove a ogni misura corrisponde un peso diverso. Prendiamo Alexandre Aja. A lui è andata sempre bene. I titoli con cui si è confrontato non richiedevano certo un novello Welles per una spolverata e una rimessa a punto del ritmo. Invece a Im Sang-soo non è andata così di lusso. Affrontare un capolavoro come The Housemaid metterebbe fifa a chiunque, figurarsi se il meccanismo produttivo parte proprio dal paese in cui l’autore dell’originale è considerato una sorta di Maestro intoccabile.
Eppure non è il bagno di sangue che tutti si aspettavano.
Certo, i vertici di fastidio e sgradevolezza della pellicola del 1960 rimangono ineguagliati. Ma si sta sempre parlando di una pietra miliare del vero cinema estremo, quello in cui non c’è bisogno di mostrare nulla per annichilire lo spettatore. Il delicato labirinto di soprusi e coercizioni ambientato nella casa di un compositore si trasformava presto in un gioco al massacro in cui nessuno era innocente, dove tutti finivano invischiati nella ragnatela del potere. L’umanità descritta da Kim Ki-young non vedeva l’ora di sottomettere chi gli stava accanto, arrivando ad accettare ogni compromesso (qui il paradosso) per raggiungere il risultato.
Nella nuova versione le cose vanno un poco diversamente. La giovane cameriera Eun-yi è un personaggio complesso, sospesa tra malizia e innocenza. Non fa nulla per evitare di essere sedotta dal suo nuovo datore di lavoro (anzi, all’inizio si sospetta perfino di un suo disegno più vasto) ma poi si lascia trascinare come se nulla fosse nelle macchinazioni della suocera. Poco a poco ci si accorge di avere a che fare con una ragazza tanto candida da essere perfino l’ultima ad accorgersi di essere incinta. La sua stessa vendetta finale sarà tanto estrema quanto (forse) inutile, a dimostrazione di quanto sia coerente la costruzione del personaggio. Da una così mi aspetto il colpo di teatro gratuito e dettato dalla passione, non un gelido gioco tra gatto e topo.
Per il suo nuovo lavoro Im Sang-soo sceglie un registro vizioso e sottilmente volgare. Invece della modesta abitazione di un rappresentante della classe media questa volta abbiamo una villa che ricalca tutti i luoghi comuni del super ricco. La splendida fotografia congela tutto in un blocco di ghiaccio privo di imperfezioni. Ogni superficie è riflettente, ogni inquadratura si sforza di essere più elegante possibile. L’amplesso proibito tra serva e padrone è reso magnificamente, con inquadrature strettissime sui corpi perlati di sudore. La ragazza, tra un gemito e l’altro, continua a ribadire di essere terrorizzata (anche se è lei stessa a farsi trovare nuda). Il ricchissimo Hoon invece si comporta perfetto maschio dominante, compra la sua preda con qualche assaggio di vino pregiato (sorsi di un mondo che lei non potrà mai avere) e si lancia in richieste sempre più spinte. Per il silenzio basterà un assegno il giorno dopo.
Con queste premesse era facile immaginarsi un rifacimento degno dell’originale, solo spostando la lancetta su territori più pornograficamente adatti ai nostri tempi. Invece ci si impasta in un attacco costante alla malvagità della classe dominante, dove invece uno dei punti di forza del lavoro di Kim Ki-young era la malvagità diffusa in chiunque. The Housemaid è un buon film, sospeso tra melodramma e thriller erotico, forse un poco moralista e didascalico. Non il disastro che in tanti si aspettavano.
Eppure non è il bagno di sangue che tutti si aspettavano.
Certo, i vertici di fastidio e sgradevolezza della pellicola del 1960 rimangono ineguagliati. Ma si sta sempre parlando di una pietra miliare del vero cinema estremo, quello in cui non c’è bisogno di mostrare nulla per annichilire lo spettatore. Il delicato labirinto di soprusi e coercizioni ambientato nella casa di un compositore si trasformava presto in un gioco al massacro in cui nessuno era innocente, dove tutti finivano invischiati nella ragnatela del potere. L’umanità descritta da Kim Ki-young non vedeva l’ora di sottomettere chi gli stava accanto, arrivando ad accettare ogni compromesso (qui il paradosso) per raggiungere il risultato.
Nella nuova versione le cose vanno un poco diversamente. La giovane cameriera Eun-yi è un personaggio complesso, sospesa tra malizia e innocenza. Non fa nulla per evitare di essere sedotta dal suo nuovo datore di lavoro (anzi, all’inizio si sospetta perfino di un suo disegno più vasto) ma poi si lascia trascinare come se nulla fosse nelle macchinazioni della suocera. Poco a poco ci si accorge di avere a che fare con una ragazza tanto candida da essere perfino l’ultima ad accorgersi di essere incinta. La sua stessa vendetta finale sarà tanto estrema quanto (forse) inutile, a dimostrazione di quanto sia coerente la costruzione del personaggio. Da una così mi aspetto il colpo di teatro gratuito e dettato dalla passione, non un gelido gioco tra gatto e topo.
Per il suo nuovo lavoro Im Sang-soo sceglie un registro vizioso e sottilmente volgare. Invece della modesta abitazione di un rappresentante della classe media questa volta abbiamo una villa che ricalca tutti i luoghi comuni del super ricco. La splendida fotografia congela tutto in un blocco di ghiaccio privo di imperfezioni. Ogni superficie è riflettente, ogni inquadratura si sforza di essere più elegante possibile. L’amplesso proibito tra serva e padrone è reso magnificamente, con inquadrature strettissime sui corpi perlati di sudore. La ragazza, tra un gemito e l’altro, continua a ribadire di essere terrorizzata (anche se è lei stessa a farsi trovare nuda). Il ricchissimo Hoon invece si comporta perfetto maschio dominante, compra la sua preda con qualche assaggio di vino pregiato (sorsi di un mondo che lei non potrà mai avere) e si lancia in richieste sempre più spinte. Per il silenzio basterà un assegno il giorno dopo.
Con queste premesse era facile immaginarsi un rifacimento degno dell’originale, solo spostando la lancetta su territori più pornograficamente adatti ai nostri tempi. Invece ci si impasta in un attacco costante alla malvagità della classe dominante, dove invece uno dei punti di forza del lavoro di Kim Ki-young era la malvagità diffusa in chiunque. The Housemaid è un buon film, sospeso tra melodramma e thriller erotico, forse un poco moralista e didascalico. Non il disastro che in tanti si aspettavano.
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