sabato 28 febbraio 2009

Available Online for Free: Evan Roth 2003 - 2008




Chi è Evan Roth? Un folle iconoclasta, un noglobal allo stadio terminale, un nerd incallito. Ma anche il paraculo che ha acquistato da Google la chiave di ricerca Bad Ass Motherfucker e che ha registrato il colore #BADA55. Quello che ha sviluppato un'applicazione che ci permette di navigare in Internet con tutte le limitazioni di un cinese e che ha inventato un lettore MP3 capace di aprire un pop up ogni volta che Kanye West ficca il nome di un brand nelle sue liriche.(Es. Kanye rappa Louis Vuitton e sullo schermo appare la home della maison francese) Ora tutti i suoi lavori sono raccolti in un volume, scaricabile gratuitamente qui.

giovedì 26 febbraio 2009

Metti una sera al Magnolia: Agatha + Morkobot + Zu

Il Magnolia rimane il miglior locale di Milano, mi spiace molto per gli altri. Dopo aver ospitato grupponi del calibro Today is the Day, Melt Banana e Wolves in the Throne Room ieri sera il popolo Lombardo si è potuto deliziare con il noise di Agatha, Morkobot e Zu. Ma andiamo per ordine, rigorosamente di apparizione.



Agatha: le adoro. Dopotutto come si fa a non adorare tre ragazzacce impegnate a sudare su di un noise che puzza di Unsane e Melvins lontano chilometri? Premio come band ignorante della serata (nel senso più positivo del termine), ultimo baluardo rock prima di inoltrarsi in territori del tutto alieni. Le Agatha fanno sul serio e lo dimostrano senza tanti complimenti, sparando in faccia ai presenti un muro di suono fatto di distorsioni senza pietà e riff granitici. E poi avevano pure il miglior merchandising della serata (con buona pace per le stampe fatte a mano dei Morkobot).



Morkobot: un po’ Melvins, un po’ Neurosis, un po’ Battles e pure un poco Tarantula Hawk. Mica male, direi. Era dai tempi dei monumentali Ornaments che non mi trovavo faccia a faccia con un tale trip sonico. Perfetti in tutto, dai suoni agli attacchi, non cedono di un millimetro alle banalità da arty band. Il tempo si liquefa frastornato dalle frequenze del terzetto. Feedback ed effetti provenienti da altri pianeti dilatano parentesi di stasi apparente, dando forma nuova alla più classica calma prima della tempesta. In questo caso un maremoto di ritmiche percussive e tribali, a tratti trituranti. I cocchi degli Ufomammut scendono dal palco tra applausi e urla della folla. Il giusto tributo a una band che vale infinitamente di più di quello che ha raccolto fin’ora.



Zu: e finalmente eccomi al cospetto della band italiana più coccolata all’estero. Il trio jazz/noise inferno che fa sbrodolare gente come Mike Patton o John Zorn. Dopo un pugno di secondi tutto spiega. Gli Zu sono adrenalina pura, un attacco alle coronarie avanzato da un amalgama basso/batteria/sax al limite dell’inaudito. I volumi e il carisma dei tre fanno il resto. Headliner perfetti per la serata, non stonerebbero neppure in compagnia di Brutal Truth o Cephalic Carnage. Si provano le stesse emozioni che si proverebbero vedendo i Discordance Axis suonare in una galleria d’arte. La foga d’esecuzione prevale sull’onanismo da sperimentazione, morbo che colpisce pletore di band del genere vorrei-incidere-per-la-Ipecac-ma-non-ci-riuscirò-mai. All’estero si sono accorti anni prima di noi del valore di questo combo, tanto per cambiare. E il fatto che ieri sera il locale sia stato strapieno non aggiusta un torto durato anni. Deflagranti.

mercoledì 25 febbraio 2009

Edgar Mueller: street art orizzontale

Quello che vedete qui sopra è un semplice pavimento urbano. Dopo un trattamento da parte del funambolico Edgar Mueller, specializzato in street art 3d. Roba da non credere.



[trailer] Nuovi eccessi splatter: Meat Grinder (THA/2009)





Se siete amanti del budello facile è ormai chiaro che la vostra terra promessa si chiama Thailandia. Dopo il terribile Art of the Devil e il divertentissimo Sick Nurses eccoci arrivati al Meat Grinder. Sarà anche bello, oltre che incredibilmente violento?

lunedì 23 febbraio 2009

[trailer] Best Worst Movie di Michael Paul Stephenson (US/2009)





Questo film chiarirà al mondo civilizzato il perchè della mia attrazione verso qualsiasi opera di celluloide contenga mostri di gomma (con una certa predilezione per la sci fi italica degli anni '80 e gli splatter magic di HK). Nel 1989 il buon Claudio Fragasso si reca nello Utah per raggiungere il punto più basso del suo cinema (più basso pure di Zombi 4, mica bruscolini): Troll 2.



20 anni dopo, l'incredibile.



Il film diventa un cult, con proiezioni strapiene e vhs da videoteca consumate. Per spiegarci il perchè di questa follia si scomoda perfino il protagonista del film originale, consegnandoci questo documentario. Da parte mia, cult dell'anno.

venerdì 20 febbraio 2009

[Trailer] Buppha Rahtree 3 di Yuthlert Sippapak (Tha/2009)





Il primo era un geniale ibrido tra horror, melò e commedia. Il secondo praticamente invisibile. Ora il sommo Yuthlert Sippapak torna con il terzo capitolo del suo più grande successo. Il trailer promette tutto e nulla, a metà tra banalità e parodia. Il thailandese dietro a gemme come Killer Tattoo (recupero obbligatorio per tutti) e Ghost Station ci ha abituato a ogni genere di sopresa, quindi mettiamoci il cuore in pace e aspettiamo il dvd. Sono sicuro ne varrà la pena.



Piccola nota nerd: quanto è bello il font del titolo?

giovedì 19 febbraio 2009

La città al rallentatore


It's Your Ride from Cinecycle on Vimeo.




skate - shot on red #1347 - 120 fps from www.theglobules.com on Vimeo.




New York 2008 from Vicente Sahuc on Vimeo.



Il rallenty è sicuramente il mio effetto di montaggio preferito: melodrammatico, lirico ed estetizzante all'ennesima potenza. Qui sopra tre esempi di uso perfetto di questo meraviglioso strumento, tutti in ambientazione urbana.

mercoledì 18 febbraio 2009

La crisi arriva pure in Corea: The Good, the Bad, the Weird dvd




Qui in preorder il dvd del mio film koreano del 2008. Triplo dvd, probabile cofanetto con digipack a 4 ante, qualità audio/video eccelsa. Tutto meraviglioso? Sì, ma non tanto quanto mi aspettavo.



Per i suoi blockbuster la Corea del Sud ci ha abituato a packaging da urlo, tipo quello di rame battuto a mano di
Old Boy, quello in carta prodotta artigianalmente di Arahan o quello a 6 dvd (più riproduzione integrale del diario delle protagoniste) di Memento Mori. Questa volta invece ci si deve accontentare di una soluzione standard. Colpa della crisi?



A seguire qualche esempio dei suntuosi packaging (tutti per film singoli) con cui ci siamo viziati.



martedì 17 febbraio 2009

All'arrembaggio!

Qui un articolo che ci aggiorna sulle recenti traversie legali del noto tracker The Pirate Bay. Vi ricordo che il sito in questione non è una delle solite fisse da nerd, ma un'installazione artistica totalmente devota alla libertà d'espressione e alla soppressione del copyright. Che sono due cose buone e giuste. Se mi compro un dvd compro un dvd, non il film che c'è inciso sopra. In qualunque caso i nostri svedesi preferiti hanno ancora parecchie frecce al loro arco, tipo la loro nuova iniziativa Spectrial. Dall'unione tra spectacle e trial. C'è bisogno di aggiungere altro?

5 semplici regole





A me è venuta voglia di prendermi questo. E poi Belly of the Beast non è così terribile come si dice.

lunedì 16 febbraio 2009

XX di Kenta Fukasaku (Jap/2007): la sovversione del gender horror




Da quanto tempo si sente parlare di sovversione dei generi? Moltissimo. Quanti sono gli esempi pienamente riusciti di tale raffinata tecnica? Molto pochi. Ma per fortuna che c’è Kenta Fukasaku. Il figlio del Maestro si ripresenta ancora una volta con un film imperfetto, ma dalla potenza deflagrante impareggiabile. Sia dal punto di vista politico che linguistico.



XX parte come tipico horror rurale. Due amiche si ritrovano in un villaggio sperduto, circondati da personaggi sempre più bizzarri e inquietanti. Un flash improvviso ci aggiorna sulle orribili abitudini del posto: legare fanciulle indifese a gambe aperte (trasformandole in oscene X di carne e ossa) per poi mutilarle in maniera atroce (privandole di una gamba e rendendole quindi Y, tenete a mente questo particolare). A questo punto diverse anomalie incominciano a insinuarsi, in maniera molto molto sottile anche per il più smaliziato degli spettatori. Leggendo tra le righe, astraendo il plot e riducendolo a uno scheletro si arriva ben presto alla soluzione: quello che stiamo guardando non è un horror ma una ricostruzione filologicamente perfetta (al millimetro) di una commedia rosa da adolescenti. Prima della fine ogni buco di sceneggiatura verrà tappato da qualche risvolto ascrivibile al genere, quindi rancori, equivoci, tradimenti o cotte passeggere. Il cellulare (accessorio da teenager per eccellenza) acquista un’importanza vitale per ogni aspetto del film, arrivando a essere citato in ogni titolo dei vari capitoli e divenire chiave di volta dei raccordi di montaggio più importanti. Conclusione esplosiva a base di risatine, riappacificazioni e canzonette jpop. Il tutto senza dimenticare che XX è, a livello superficiale, un horror tesissimo e splatter. Novanta minuti ricchi di scene action dalla regia più che solida e occasionali puntatine nel classico immaginario da manga a cui Kenta ci ha abituato da sempre.



Il regista nipponico continua a stordire per la quantità di tematiche e stratificazioni che riesce a dare ai suoi film. Politicamente estremo (tutto Battle Royale 2), abilissimo nel trattare argomenti serissimi attraverso la lente deformante della cultura kawaii (Yo Yo Girl Cop), talmente carico di foga e rabbia da aver mancato ancora una volta il capolavoro. XX si pone anche come riflessione sulla confusione dei sessi. Si veda il genoma XX del titolo, dove ogni X è associata da alcune scelte grafiche a ognuna delle protagoniste, che rischia di diventare XY per esigenze di plot. Oppure come il cliché di un genere puramente maschile si misceli a un filone tradizionalmente legato al pubblico femminile (la commedia rosa), senza contare la miriade di altri riferimenti a una concezione obsoleta di gender disseminati per tutta l’ora e mezza del film.



Fukasaku rimane forse l’unico regista totalmente pop della nostra generazione, un giocattolaio dallo sguardo cinico e tagliente sulla nostra realtà. Uno dei pochi autori “impegnati” capaci di muoversi esclusivamente in un contesto d’intrattenimento e di genere, sovvertendolo dall’interno e trasformando una dolce caramella in una bomba al veleno. Con la sicurezza che, quando noi vomiteremo disgustati, lui sarà lì a deriderci.




domenica 8 febbraio 2009

Sold out!

Action bellico ultrasplattone indonesiano del 1985. Lo cerco da una vita. Lo scovo qui, lo ordino e pago tramite Paypal. Oggi controllo la mail e trovo il rimborso. Mi dicono che è sold out. Ma a chi altro può interessare sto tipo di roba?



Naturalmente sono bene accetti consigli su dove poterlo reperire.

venerdì 6 febbraio 2009

Ephel Duath - Through my dog's eyes (Earache/2009)




Quando il tuo lavoro più complesso rischia di essere confuso per quello più semplice allora significa che l’hai fatta grossa. Molto grossa. Oppure potrebbe significare che fai parte della band più scomoda, ambiziosa, talentuosa, antipatica e mutevole della penisola italica. Che poi sarebbero gli Ephel Duath.



Sperimentatori arditi fin dai loro primi vagiti, i nostri approdano alla Earache dopo un fuggevole passaggio alla nostrana Code666, evolvendo il proprio suono da avant black a un destabilizzante frullato di free jazz, noise e post core. Tutto condito da abbondanti dosi di italianità, nel senso di sregolatezza, stile e freschezza.



Tutte cose che li ha portati a un nuovo stadio della loro inarrestabile marcia. Persi per strada elementi della line up (dei vecchi lavori rimangono solo il funambolo mastermind Davide Tiso e il grande Luciano Lorusso alle vocals) tutto lasciava presagire un ritorno sulle scene clamoroso. Gli elementi per il capolavoro ci sono tutti: un concept devastante (il mondo visto dagli occhi di un cane), la masterizzazione ai Finnvox Studio di Helsinky, Marco Minneman alla batteria, Ben Weinman dei Dillinger Escape Plan come special guest e, dulcis in fundo, grafica e artwork a cura del sommo Seldon Hunt.



Tutti soldi ben spesi, perché Through my dog’s eye pare un disco dei Melvins coverizzato da John Zorn infilato nella line up della più stonata stoner band. Con in più un tocco di Unsane. Detto in altre parole, gli Ephel Duath ci hanno regalato ancora una volta un disco che non suona come nient’altro, neppure confrontandolo con il resto della discografia della band. Tonnellate di idee che ci arrivano alle orecchie raffinate da una tecnica che parrà caos ingiustificabile ai più. Perché con gli Ephel Duath anche la puzza sotto il naso diventa un pregio.



Grandiosi.

mercoledì 4 febbraio 2009

Non potevo non postarlo





Se lui è good, la scimmia allora è...



Scherzi a parte, sono nel bel mezzo delle fiere della moda e per la settimana prossima mi aspettano 5 - giorni - 5 di expo parigina. Ergo, non aspettatevi grandi aggiornamenti. Ci si legge se sopravvivo.

lunedì 2 febbraio 2009

[trailer] Fireball di Thanakorn Pongsuwan (THA/2009)





Finalmente è uscito. Pare sia molto meno di quello che promette. Peccato, perchè l'ultima parte del trailer faceva presagire una risposta figliadiputtana al Kung Fu Dunk dell'anno appena passato.

Butterfly Lovers di Jingle Ma (HK/2008): tornano i Romeo e Giulietta d'oriente.




Butterfly Lovers non entrerà negli annali come il miglior film Hongkonghese del 2008, probabilmente verrà esportato con la solita copertina Photoshoppata in quindici secondi e con una bella dicitura che ci ricordi che piaga è stato Kill Bill per il cinema orientale (mi duole ancora il ricordo di chi mi disse che il capolavoro Lady Snowblood era copiato dall’opera Tarantiniana). Una fine infame per un lavoro che, nonostante i mille difetti, riesce ad avere fisionomia ed identità propri.



Butterfly Lovers è prima di tutto un melodramma, che parte come commedia e si conclude tra fiumi di lacrime. Una storia d’amore negato che fa apparire come vittime di tale sentimento anche l’antagonista dei due amanti al centro della vicenda. Il tutto tra derive queer e facilonerie di sceneggiatura, fattore quest’ultimo che non intacca in maniera esagerata la solidità della narrazione.



Poi ci sono gli scontri, coreografati da un redivivo Ching Siu-Tung. Il Maestro pare essersi ricordato (dopo alcuni exploit discutibili) di essere il massimo esponente del cinema marziale moderno, e ci consegna ancora una volta prova tangibile della sua maestria. Pochi frangenti ma ben distribuiti tra i 100 minuti del film, avvalendosi di alcune tra le migliori soluzioni registiche dell’intera opera. Movimenti di macchina a schiaffo per seguire il turbinio delle lame, improvvisi raccordi su particolari, sospensioni del ritmo, tutto fotografato splendidamente. Abbandonando sia i fumi blu del wuxia ottantiano che le plastificazioni dei nuovi kolossal cinesi, Jingle Ma sceglie di illuminare questa sua reinterpretazione dei Giulietta e Romeo d’oriente con colori lievi e carichi di luce, dando al tutto un’atmosfera eterea e al contempo viva. Peccato per alcuni passaggi un po’ televisivi, soprattutto nella parte centrale.



I difetti ci sono, è inutile cercare di dire il contrario. Ma l’intensità dei sentimenti narrati e la freschezza della messa in scena sono altrettanto innegabili. Butterfly Lovers poteva essere molto di più (magari dando maggiore spazio proprio a Ching Siu-Tung) ma si accontenta di essere un buon prodotto, peccando proprio di mediocrità e paura nello spingere sull’acceleratore.