lunedì 28 febbraio 2011

Partita!




Scopro ora, dal blog ufficiale del Team Evil, che la prima infornata di Cassette Tape Magazine è stata spedita oggi. Cosa è Cassette Tape Magazine? Una minifanzina australiana, stampata in 500 copie e alloggiata in una custodia delle vecchie musicassette. Tra gli argomenti trattati nel primo numero ci trovate John Woo, i videogiochi del NeoGeo, sesso robot e un sacco di altre cose folli. Tutte meravigliosamente fuori tempo massimo. La potete ordinare qui. Appena il postino mi consegna la mia copia vi dico se vale i suoi 5 dollari australiani.


mercoledì 23 febbraio 2011

Greedo e il poster più bello del mondo







Dal sempre più enorme Florian Bertmer. Fuori per quei nerd di Mondo e sold out in tempo zero (anche se è in vendita dal 2 dicembre non fatevi illusioni, è andato fuori stampa in pochi giorni).

martedì 22 febbraio 2011

Ma cosa ti dice la testa? Hacksler di Michael Hacker



Non vedo l’ora che arrivi il giorno in cui il cervello di Michael Hacker gli permetterà di dedicarsi a una storia composta da più di una manciata di pagine. La sua ultima uscita, l’autoprodotto Hacksler, è un concentrato di umorismo irriverente, audacia underground e semplicità iperpop. Una ventina di pagine in cui il nostro austriaco riesce a infilare (nell’ordine): 1) la storia d’amore tra una gallina e la sua testa mozzata, 2) istruzioni su come nutrire un unicorno, 3) il teschio più vitale di sempre, 4) una poetica (giuro!) critica alla tv, 5) cani che si incastrano annusandosi il culo (ben 3 pagine dedicate a questo scottante argomento), 6) le origini del supereroe El Herpez e un sacco di altra robetta interessante. Non è un caso se Michael si sia fatto le ossa lavorando su flyer e grafiche per band che spaziano dalle Melt Banana fino ai Melvins, passando per Municipal Waste e Fu Manchu. Sfogliando le sue pagine si torna con la testa agli anni d’oro della grafica skate, dei vinili punk rock e delle fanze fotocopiate. Con due enormi differenze rispetto alla concorrenza: Hacker non ha ne la puzza sotto il naso di quelli che la vecchia scuola l’hanno effettivamente vissuta, ne la voglia di farsi ammansire degli ultimi arrivati (sto generalizzando, sia chiaro. In entrambi i casi ci sono un bel mucchio di artisti da non lasciarsi sfuggire). Non un artistoide da salotto radical chic quindi (fine che pare tutti vogliano far fare al bravissimo James Jarvis), ma neppure un ragazzino tutto MySpace e t-shirt con mostri e scritte dai colori fluo. Hacksler è fumetto alternativo rivisto attraverso le lenti dell’ urban vinyl meno fighetto e kawaii. Sgradevole, zuccheroso, scanzonato e irrispettoso in egual misura. Senza dimenticare che, in primis, Michael Hacker disegna e inchiostra da Dio.



lunedì 21 febbraio 2011

Proprio come nei libri di quando eri piccino: The Troll Hunter di André Øvredal (Nor/2010)




Tutta la potenza di The Troll Hunter sta nello scarto tra le aspettative e quello che in realtà ci si presenta davanti agli occhi. Siamo in anni in cui ogni riferimento a un fantastico “classico” (o comunque non di estrazione moderna) deve passare attraverso le maglie impietose del restyling. Tutto deve essere più oscuro, aggressivo e peggiore di come ce lo ricordassimo. Si prenda a esempio l’Alice di Tim Burton, stravolto nel suo significato e reso clone di un Narnia qualsiasi. Brutalmente strappato dalla sua essenza di immagnifico trip psicotico. Da parte dello stesso regista colpevole, tra le altre cose, del remake pornografico di Willy Wonka e la Fabbrica di Cioccolato. Ora più che mai lontano dalla sottile sgradevolezza della versione originale (già addolcita rispetto al libro di Dahl, vero maestro dell’horror sottocutaneo). Ma, tanto per essere chiari, lo stesso processo è stato applicato a qualsiasi trasposizione di fiaba messa in cantiere negli ultimi 10 anni. Lo aveva capito bene Miike, che nel suo The Great Yokai War tratteggiava con la solita abilità una metaforica guerra tra immaginario retro e volgarità moderne. I suoi Yokai, baluardi del vecchio, erano proprio quelli che ci eravamo abituati a vedere negli anime per bambini. I vari Kasa-obake e Rokurokubi compaiono nella pellicola di Miike dipinti nell’assurdità tipica dei racconti per l’infanzia.



La medesima cosa succede nell'opera di André Øvredal. A fronte di un impianto che fa del realismo la sua bandiera (il solito mockumentary ritrovato, con tanto di spiegazioni pseudoscientifiche sul perché i mostri non possano stare alla luce del sole e discussioni sulla possibilità di fiutare un mussulmano piuttosto che un cattolico) abbiamo un creature design che pare essere strappato pari pari da un libro sul folklore nordico. Quando il primo troll compare sullo schermo è talmente come ce lo aspettavamo da lasciarci senza fiato: goffo, sgraziato, con un nasone enorme. E così via, migliorando di volta in volta, fino all’avvistamento dell’incredibile Gigante.



The Troll Hunter è pura fascinazione puerile (nell’accezione più positiva possibile) travestita da survival horror. Una metafora su come le fantasie più sfrenate non abbiano bisogno di essere aggiornate o agghindate per i tempi moderni. Per tornare a Burton: confrontate come il suo Jabberwocky e relative mirabolanti riprese in 3D appaiano misere in confronto a un colosso di 100 m a spasso per le lande norvegesi. The Troll Hunter parte da Cloverfield e lo sorpassa spingendo sull’acceleratore del perturbante. Penso che chiunque si sia fatto leggere almeno un libro di fiabe in cui compariva un’ illustrazione di un troll peloso e nasuto. Lo spettatore sa benissimo come apparirà il mostro ancora prima di vederlo, come se un angolino della nostra memoria si fosse liberato da tutta la polvere generata da rebooth e riletture varie.



Si torna bambini esattamente nella misura in cui lo si faceva leggendo l’All Star Superman di Morrison e Quitely. Non l’ennesima testata super eroistica fatta di moralità dubbia e ultraviolenza, dove i buoni sono più cattivi dei cattivi (zzz). Piuttosto la precisa trasposizione di come tutti noi ci aspettavamo una storia di super eroi prima di poterne effettivamente leggerne una. Avventure incredibili, poteri capaci di tutto, mondi lontani e incontri di ogni tipo. Il successo della testata di casa DC (come di The Troll Hunter) parte proprio da questo: la sovversione dell’immaginario ormai è maniera. Si deve ripartire da tutto quello che conosciamo già e dimostrare quanto abbia ancora da dire.




venerdì 11 febbraio 2011

Il lettore medio non esiste (lo dice Studio, nell'angolo in basso a sinistra)




Appena tornato in Italia dopo la solita trasferta parigina (adesso mi manca solo una settimana di fuoco milanese e per questa stagione ho finito) e subito incappo in una notizia da sorriso ebete: la nascita di Studio. Una rivista cartacea che pare raccogliere tutto quello che cerco in un magazine. Colta, snob quanto basta, giovane senza essere giovanilistica.
Su Contemporary Standard una bella intervista al folle dietro al progetto, qui il blog ufficiale.

domenica 6 febbraio 2011

Io vi troverò: The Man from Nowhere di Lee Jeong-beom (Kr/2010)




Praticamente un remake di Io vi troverò. Anche qui abbiamo un ex agente speciale ritiratosi a vita privata, una figlia rapita e un bel po’ di razzismo. Tutto però rivisto in chiave coreana.



Tanto per cominciare la lancetta del melodramma raggiunge picchi che Morel neanche concepisce. La bambina sequestrata non è infatti l’ erede biologica del protagonista ma un palliativo a quella vera. Persa assieme alla moglie in un brutale attentato. Il rude Cha Tae-sik si rende conto di quanto la sua pestifera vicina di casa sia importante solo nel momento in cui questa viene rapita. Sarà il punto di avvio del tipico meccanismo per cui il taciturno uomo venuto dal nulla decide di mostrare poco a poco le sue carte. From zero to hero in bel mucchio di morti.



Si parte con qualche giochetto di mano lesta (il pugnale strappato di mano ai rapitori, in una scena da 10 e lode) e si conclude con l’andamento di una macchina da guerra fuori controllo. Una sceneggiatura non propriamente blindata garantisce un ritmo vertiginoso, dato anche dalla solita regia coreana. Patinata, ricercatissima, tecnicamente ineccepibile. Sorprende come quello che in altre cinematografie sia visto come un pregio quando ci si avvicina a Seul diventi, per i detrattori, una nota dolente.



L’ultraviolenza di un' opera come questo The Man from Nowhere raggiunge picchi di lirismo impressionanti proprio grazie all’eleganza e alla perizia con cui viene catturata su pellicola. Anche la scelta di immortale le frequenti coreografie (secche, veloci e antispettacolari) con costanti piani ravvicinati raggiunge risultati antitetici a quello che ci si aspetterebbe. L’azione è costantemente decifrabile, mai convulsa e sempre votata a una ricerca estetica non indifferente.



La trama gioca sporco, con i cinesi trafficanti di organi, sevizie su minorenni assortite e un bel po’ di altri pugni allo stomaco. Nell’economia della storia tutto serve a creare empatia con il protagonista, fabbrica di morte inguainata in un eccepibile completo nero (anche questo un aspetto molto coreano). A conti fatti siamo dalle parti di un blockbuster studiato in laboratorio, concepito per prendere allo stomaco e non lasciare nessuno indifferente. La fattura perfetta mette il cuore in pace anche al cinefilo più antipatico, comunque soddisfatto nel gustarsi una prova di regia sopra la media.



Piccola nota dedicata ai coreanofili più indefessi: anche qui la polizia fa una figura che dire barbina è dire poco.




sabato 5 febbraio 2011

Un blog da tenere d'occhio




E' quello relativo allo sviluppo del nuovo film di Gareth Evans, già regista di Merantau e del rimandato prison movie Berandal. Ecco la sinossi ufficiale:



A swat team arrives at a rundown apartment block with a mission to remove its owner, a notorious drug lord named Tama. The building has never been raided before, never been touched by police. Seen as a no go zone it has since become a sanctuary to killers, gangs, rapists and thieves seeking accommodation in the one place they know they cannot be touched.



Making their move in the break of dawn the swat team work their way up the building under cover of silence. But when a chance encounter with a spotter blows their cover and with news of their assault traveling to Tama in his penthouse suite the building is locked down with all lights out and all exits blocked.



Stranded on the 6th floor the swat team must fight their way through every floor and every room not just to complete their mission but to survive.



Gasante e low budget, binomio perfetto e buona garanzia di pochi freni inibitori. Il regista dice di essersi ispirato a (alla locandina di) Peace Hotel, misconosciuto western a opera di Wai Ka Fai.



Since I was a kid, I was obsessed with a Chow Yun Fat film called "Peace Hotel" (Directed by Wai Ka Fai). I was never able to track it down in the UK and only had the poster image below and a vague synopsis to go by.



I loved the concept of an isolated building that offered sanctuary to criminals, but when I finally saw it over 15 years later my "imagined" version of the film was completely different to what I eventually saw. I had imagined a dark, noirish film with danger on every floor with the action confined to an interior space filled with shadows and dread. I also imagined it would have a lot more action, instead of the light hearted, sweet romantic angle the film eventually took.



But the central concept stuck with me.



In poche parole tutto parte unicamente dal potere evocativo di una locandina. Quasi romantico, no? Si consideri poi che Gareth è la voce nuova del cinema marziale, l'unico in grado di farci riprendere dopo l' esplosione della bolla di brutalità thai (basti l'incredibile teaser di Berandal). Occorre altro per seguire i dietro le quinte di un probabile cult dei prossimi anni?



Qui trovate il blog.

giovedì 3 febbraio 2011

Xerox Black Metal








Quando ero ragazzino avevo appeso in camera una fotografia fotocopiata in A3 di una chiesa in fiamme (rogo riconducibile, penso, a Burzum). La foto era supercontrastata, sgranata al limite del comprensibile e qualcuno ci aveva aggiunto la scritta Keep your country clean, burn your local church. Immaginatevi come un adolescente di provincia potesse essere gasato per una cosa simile. Ti sentivi al top della trasgressione. Sempre nello stesso periodo incominciai a riempire un grosso pannello con tutti i flyers fotocopiati di gruppi grind, gore e sludge che trovavo ai banchetti delle varie distro. In pochissimo tempo fotocopia a bassa definizione divenne per me un sinonimo dell' underground più estremo. Quello che a fare le cose bene non ci prova neppure. Tipo le etichette che producevano solo musicassette duplicate.



Jakob Johnsen pare aver vissuto più o meno la mia stessa esperienza. Mandando bellamente affanculo Photoshop e capacità tecniche varie esaspera la fotocopia fino a farla tornare a essere mezzo espressivo. Come se Neck Face (ora più che mai sulla cresta dell'onda) si mettesse a curare un artwork per gli Eyehategod. L' originalità non passa certo da queste parti, ma di tanto in tanto una bella dose di malvagità sgradevole e vischiosa non può fare che bene.

martedì 1 febbraio 2011

Uomo ratto all'americana: Ratfist di Doug TenNapel




Doug TenNapel
passerà alla storia per aver creato Earthworm Jim, primo successo del mistero videoludico Shiny Entertainment (quelli del capolavoro incompreso MDK). Oltre al simpatico anellide il tentacolare californiano ha vinto un Eisner Award, prodotto una serie per Cartoon Network, una per Nickelodeon, scritto e disegnato una decina di graphic novels (per la maggior parte opzionate da gente come Disney, 20th Century Fox e Universal). Doug è anche doppiatore e cantante in un gruppo indie. E se tutto questo non bastasse adesso si è pure buttato nella bolgia dei fumetti per il web. Le nuove pagine della sua ultima creazione, Ratfist, vengono rese disponibili gratuitamente a cadenza settimanale.



Per ora siamo a sole 17 pagine, troppo poco per sbilanciarsi. L'avvio della vicenda sembra comunque succulento, grazie anche all'umorismo assurdo di cui sono imbevute le tavole. Il tratto è magnifico e trasuda classe, tanto da rendere la lettura irrinunciabile anche solo per quello. Per ora lo consiglio, poi si vedrà.