domenica 31 agosto 2008

303 di Garth Ennis e Jacen Burrows

Il buon Garth Ennis non riesce proprio a stare lontano dalle storie di guerra. Tanto più quando queste si contaminano con il western/poliziesco di frontiera. Una scelta scomoda, soprattutto in tempi di correttezza politica come quelli che stiamo vivendo. Eppure le sue storie riescono a essere trasversali, apolidi e apolitiche. Forse perché i veri protagonisti di queste storie non sono eroi, ma semplicemente uomini traditi.



Esiste una terza via tra retorica e l’exploitation da men-on-a-misson (il filone in cui inscrivere le varie sporche dozzine e bastardi senza gloria), un modo di raccontare il conflitto che si ricollega a un capolavoro come La Croce di Ferro di Sam Peckinpah, non a caso uno dei vati ispiratori del Nostro irlandese. Una guerra fatta da uomini che sparano contro altri uomini, mentre le istituzioni se ne stanno ben sicure nei loro palazzi governativi. Un percorso incominciato con Unknown Soldier e continuato sulle pagine di Hitman, fino alle Storie di Guerra. Soldati di carne e ossa e non pedine di piombo da spostare su di un tabellone. Pivelli e veterani tutti traditi nello stesso modo, tutte vittime di un meccanismo burocratico e politichese che fa dei valori un bonus da propaganda populista. Fino a quando non arriva un granello di sabbia a ingrippare tutto il sistema.



Un veterano dell’armata rossa. Una disastrosa missione in Afghanistan. La spaventosa macchina bellica statunitense. Un unico modo per pareggiare i conti.



Garth Ennis lega una volta di più la sua narrazione alla convenzioni cinematografiche, esagerando però con la narrazione off. Le tavole di Jacen Burrows hanno il misterioso dono di passare da perfette a dozzinali (e viceversa) nell’arco di un pugno di pagine, mantenendo comunque una media più che soddisfacente. In ogni caso un ottimo story telling, che si incastra in maniera esemplare con la sceneggiatura. Soddisfacente anche il ritmo della vicenda, alternato tra lunghe pause riflessive e ellissi comprensibili (oltre che funzionali alla narrazione).



Non un capolavoro, ma comunque grandissimo fumetto. Politico, profondo, splatter e spietato. Garth Ennis quando non vuole farci ridere.


sabato 30 agosto 2008

La migliore sparatoria di sempre?





Probabilmente no, ma non posso fare a meno di vedermela una volta a settimana! Dal misconosciuto Dragon Family di Lau Kar Wing (HK/1988). Coreografie del leggendario Liu Chia Liang. Qui una bella recensione.

venerdì 29 agosto 2008

[pubblicità creativa] Il calcio? Uno sport da checche!

Geniale campagna stampa per uno sport gay bar dalla Republica Ceca. A dimostrazione che certi tabù ormai resistono solo in Italia.

giovedì 28 agosto 2008

The Psyke Project - Apnea (Lifeforce Records/2008)

Una recensione di cui vado piuttosto orgoglioso per un gruppo estremo come pochi. Manca veramente pochissimo ai The Psyke Project per diventare grandi. Trovate tutto qui.

mercoledì 27 agosto 2008

The March Of Seasons - My Winter (Graves Records/2008)

Mooolto fighetto questo The March Of Seasons, però l'album è una bomba. Architetture grandiose, dinamismo da treno merci in pieno deragliamento e un apporto tecnico di primissimo piano. Insomma, c'è vita oltre lo swedish death core. Qui la mia rece.

martedì 26 agosto 2008

Il corpo fluido e l'anima pop di Leeroy New



Leeroy New ha 22 anni e viene da Manila. Capace di unire il superflat di Takashi Murakami con le suggestioni da nuova carne tipiche di Croneneberg il Nostro può essere considerato come uno degli scultori emergenti più interessanti della nuova generazione. Se ne è accorta anche la Nike, che ha finito per commissionargli una reinterpretazione dell'omonima scultura. Il risultato, assieme a un excursus su tutti i suoi lavori, qui.

The Vigilantes: prime prove di artwork



Si avvicina il giorno in cui i fenomenali The Vigilantes (un gruppo messo in piedi assieme a due mie cari amici, pensando di unire Zeke, Celtic Frost e il culto di Charles Bronson ) si richiuderanno in studio per la registrazione del loro primo demo. Meglio cominciare con le prime prove di grafica per le tshirt. Non vorrei correre il richio di partire per il tour mondiale senza un appropriato merchandising!


lunedì 25 agosto 2008

Mongol di Sergei Bodrov (Germania , Russia , Kazakistan/2007)

Uno dei più grandi condottieri di sempre. Un pezzo enorme di storia mondiale. Enormi lande desolate ed eserciti di migliaia di persone. Pensate a un film che racconti tutto questo. Difficilmente non andrete a pensare a una trilogia di polpettoni da tre ore l’uno. Ed ecco l’errore. Perché Mongol dura a malapena 2 ore, e non richiede un minuto in più.



Sergei Bodrov gioca magistralmente la carta dell’ellissi, uno strumento meraviglioso capace di unire le esigenze di una narrazione spezzettata dalla mancanza di documentazione e l’aura fumosa della leggenda. Lo spettatore viene chiamato in causa, dovendo colmare attivamente intere porzioni dell’esistenza del grande Khan giocando con il proprio immaginario, creandosi da sé una mitologia capace di toccare le corde più profonde e personali. Il risultato va aldilà della pornografia di un Peter Jackson o di un Ridley Scott, restituisce all’immagine il ruolo che gli compete. Le vorticose carrellate su eserciti di pixel lasciano spazio a magnifiche inquadrature della steppa, illuminata da luci naturali. Nessuna attenzione alla vorticosa ascesa del nostro, ma un’impietosa cronaca delle cadute di Temudjin. Una storia d’amore lunga una vita, bagnata dal sangue della battaglia e dal lerciume della prigionia.



Il linguaggio cinema adottato dal Nostro unisce passaggi prossimi al documentario e sperimentazioni digitali. La Mongolia ci viene mostrata attraverso gli occhi innamorati dell’uomo destinato a dominarla: sconfinata, illuminata da un sole freddo e dipinta da mille sfumature di verde e marrone. I colori desaturati e luci naturali narrano meglio di mille evoluzioni in CG, così come i ritmi lenti e contemplatori. Nelle battaglie il sangue scorre a fiumi, la macchina da presa finisce sempre in posizioni inusuali (riprendendo alcune idee dalle risse di A Bitterswee Life di Kim Ji Woon), alternando campi lunghissimi a primi piani e particolari stretti ma mai caotici. Come se l’avanguardia di Tsui Hark fosse stata girata a 120 fotogrammi al secondo, Tutto senza mai sconfinare nell’enfasi d’acchito. Non siamo ne dalle parti di Zack Snider ne in quelle di John Woo, ma piuttosto ci si avvicina al prodigioso Mechenosets di Filipp Yankovsky, esempio di eleganza e classe unite a presupposti che si presterebbero in maniera agghiacciante a interpretazioni di plastica. Il tableaux vivant perde il suo approccio sospeso tra torri d'avorio e bassa manovalanza xxx per diventare strumento di immaginazione.



Un’opera che riesce ad avvicinarsi a ogni tipo di spettatore senza sconfinare nel populismo. Cinema d’autore che non si vergogna di sperimentare nuove vie per il linguaggio dell’azione.

Busta Contest: la mia proposta

Tema: School. Obiettivo: cover a un colore su sfondo carta da pacco per il free magazine Busta n. 17. Ho vinto? No, però ho avuto l'onore di scontrarmi con proposte di primissimo livello. Qui la gallery a dimostrazione. Adoro la proposta di Giuliano Sacco, una spanna sopra tutte le altre: minimalista senza essere pretenziosa, dalla spiccata personalità e tecnicamente ineccepibile. Ci puoi vedere dentro quello che vuoi. E per una volta non è un difetto.

domenica 24 agosto 2008

Madman Atomic Comics 9: 24 pagine per 1 splashpage


Mike Allred è un genio e Madman è uno dei migliori personaggi a fumetti di sempre. Sospeso tra profonda umanità e uno spiccato spirito pop la creazione di Allred ci ha abituato a frequenti colpi di genio, ma in questo caso siamo aldilà di ogni pronostico. Un numero composto da un'unica splash page. Senza parole. Qui la tavola, dal sito Newsarama.com.
Person Mike Allred
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sabato 23 agosto 2008

[trailer] Bronson di Nicholas Winding Refn (UK/2008)


Nicholas Winding Refn è l'uomo dietro alla trilogia Pusher, uno degli esempi di crime movie più alti di sempre. Sporchi, cattivi, incentrati su di un universo di perdenti e mediocri. Nessun Padrino, emigranti cubani o infilrati nelle triadi. Soltano il buio che preclude l'orizzonte e ogni traccia di fiducia in un domani migliore. Ora il buon danese ci riprova in Inghilterra, con un film basato su di una storia vera, per la precisione con un bio pic sul criminale Charles Bronson. Qui il sito ufficiale, con tanto di trailer. Il realismo annicchilente di Pusher sembra aver lasciato spazio a una ricerca del surreale a metà tra Kubrick e Fuller, aumentando ulteriormente la curiosità per il nuovo lavoro di uno dei migliori registi di domani.

venerdì 22 agosto 2008

Lunga vita al flusso: UPL8 Tv

UPL8 Tv, ovvero la risposta del web 2.0 al celebre Blob di Ghezzi & Giusti. Un flusso continuo di filmati provenienti da ogni angolo del mondo e da ogni ambito. Cartoni animati giappi, televendite dell'Est Europa, spezzoni senza senso e molto altro ancora. Un interessante riflessione sull'eccesso di informazioni e stimoli a cui siamo sottoposti (o a cui ci sottoponiamo?) ogni giorno.

giovedì 21 agosto 2008

Quando il sangue diventa pietra: intervista ai To Kill

Qui una mia intervista ai lanciatissimi To Kill. Qualche riflessione su animalismo, musica e l'inspiegabile passione da parte dei giovanissimi per il grind più estremo.

mercoledì 20 agosto 2008

[trailer] The Truck (Korea/2008). Nuovo trailer





Primo vero trailer per The Truck. Qui il primo viral teaser, qui la news completa (da Cinemahorror.it).

martedì 19 agosto 2008

Hansel & Gretel di Im Pil-Sung (Korea del Sud/2008)





Riproposizione in chiave orientale della favola di Hasel e Gretel, diretta dal talentuoso Im Pil-Sung (suo anche il bel Antarctic Journal). Dal trailer pare un incrocio fra Guy Maddin, Guillermo del Toro e un incubo jpop. Benissimo, significa che stiamo ad anni luce dalla solita favoletta alla Tim Burton (grazie a Dio!). Fuori in dvd il 3 settembre. Qui un pratico preorder.

lunedì 18 agosto 2008

I Am 8 Bit 2008


Presso la World of Wonder Storefront Gallery di Hollywood è partita l'annuale I Am 8 Bit: decine di installazioni e performance inspirate all'arte videoludica degli anni '80. Qui un dettagliato fotoreport.

domenica 17 agosto 2008

Quattro Dita di Rich Koslowski (ProGlo Edizioni/2008)

Come Rich Koslowski abbia potuto concepire un’idea simile rimarrà per sempre un mistero. Nonostante questo rimane il fatto che Quattro Dita è un capolavoro nonché un esempio unico di mockumentary su carta. Maneggiando in maniera impressionante il linguaggio e i ritmi televisivi (si veda l’introduzione che precede i credits del volume) il risultato è esattamente quello che Warren Elllis riporta in quarta di copertina: Chi ha incastrato Roger Rabbit? diretto da Oliver Stone.
Il pregio più grande di questo fumetto rimane infatti la tangibilità e il realismo che permeano ogni pagina, nonostante il tema di questa indagine sia ben aldilà dell’assurdo.



L’incredibile ascesa dal nulla di Dizzy Walter e del suo socio cartoon Rickey Rat viene sviscerata attraverso interviste a vecchie glorie dei disegni animati e a collaboratori del produttore e regista. Ne emerge un ritratto ben lontano da quello che il pubblico potrebbe immaginare. Un mare di oscurità e compromessi per poter accedere a un mondo di lustrini e pailette.



Il cinismo la fa da padrone, impregnando ogni testo con un distacco gelido e spietato. Tracciare un parallelo con una realtà vecchia quanto l’industria dello spettacolo è un gioco al veleno che fa divertire con un cinico sorriso stampato sulle labbra. Siamo lontani da certo umorismo crasso (ma innocuo) con cui Peter Jackson imbeveva il suo Meet the Feebles, qui le stilettate fanno veramente male. Con nostra grandissima gioia.



Associazione Culturale Prospettiva Globale
Person Peter Jackson
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venerdì 15 agosto 2008

Thunderbolts: Faith in Monster pt.1 di Warren Ellis e Mike Deodato Jr

Pare incredibile, ma il fumetto più politico mai scritto da Warren Ellis esce per la Marvel. Perché, senza bisogno di splatter o turpiloquio, questi nuovi Thunderbolts non sono altro che una versione corporated dell’Arancia a Orologeria di Burgess, portando veramente a compimento quello che la Guerra Civile di Millar ha solo abbozzato. Tutta la differenza tra american hero e super terrorista (per dirla alla Ultimates) sta in un piccolo distintivo metallico da portare con fierezza, mentre si eseguono gli ordini che arrivano dal c.d.a. di qualche multinazionale.



Più che dalle parti di Authority (run di Millar) siamo nei pressi dello Sleeper di Ed Brubaker, privato di tutta la parte spionistica ma rafforzato con l’ottica antagonista dello Starship Trooper di Paul Verhoeven. E infatti non è un caso che buona parte dei superumani non registrati presi di mira dai Thunderbolts si fregi della bandiera a stelle e strisce ben visibile sulla divisa.



Nell’ HC statunitense troviamo la prima parte della saga Faith in Monster (oltre che un paio di storie brevi legate a Civili War e a un one shot a opera di Paul Jenkins), mostrandoci impietosamente cosa succederebbe se dietro agli Ultimates ci fosse Norman Osbourne piuttosto che Samuel L. Jackson. Raid disastrosi, intrighi e nessuna attenzione per i danni collaterali. Con Bullseye a risolvere i problemi. Un tour de force di follia che quasi irrita (volutamente) per l’inconcludenza e la mancanza di coordinazione che questo team dimostra a ogni occasione, raccontandoci con un ottica tra realismo e ironia il risultato di un team up a stipendio fisso tra criminali e outsiders.

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A differenza del capolavoro Nextwave questo nuovo progetto del prolifico Warren non prende neppure in considerazione l’ipotesi del meta fumetto, preferendo un continuo contatto con il mondo reale e l’attuale situazione sociopolitica.



Mike Deodato Jr stellare, mai a livelli simili e perfettamente sospeso tra realismo e stilizzazione. Un matrimonio perfetto tra sceneggiatura e tavola disegnata.


mercoledì 13 agosto 2008

martedì 12 agosto 2008

[trailer] Loved Ones (Dead Space) di James Wan (US/2008)





Come avrete capito non si parla di cinema ma di videogiochi. Al di là del trailer, il fatto che un James Wan venga contattato da un gigante come l'EA per dirigere un promo di uno dei suoi prossimi prodotti fa riflettere, e di molto. Ormai l'industria videoludica ha superato per fatturato annuo quella della musica e quella del cinema sommate tra loro. Avete capito bene, sommate tra loro. Non male per un divertimento fino a poco tempo fa considerato da nerd e sociopatici ansiosi di infilarsi in una scuola armati di AK.



Questo non toglie che James Wan dovrebbe dedicarsi di più al cinema, visto che il ragazzo ha doti neanche tanto nascoste. Si veda la sparatoria finale di Death Sentence. Potrete odiare quanto volete Saw e tutto ciò che ne è stato conseguenza (mi unisco volentieri al coro), ma quei dieci minuti imbevuti del tanfo di sangue e cordite sono stati tra le cose migliori della scorsa stagione.

lunedì 11 agosto 2008

Red Cliff Pt.1 di John Woo (Cina/2008)

Ci sono due tipi di spettatori occidentali per questo Red Cliff: l’amante dei nuovi polpettoni cinesi a base di balletti sul bambù e chi è cresciuto con gli heroic bloodshed del cineasta hong konghese John Woo. Un uomo capace di maneggiare la lezione del Maestro Peckinpah fino a svuotarla dei suoi significati simbolici, esagerandola e filtrandola attraverso un occhio infantile inimitabile. Un meccanismo che ha portato alla più grossa rivoluzione del cinema di genere degli ultimi 20 anni. Senza A Better Tomorrow (primo film a rendere pubblico il Woo pensiero, grazie anche alla produzione del creatore di mondi Tsui Hark) l’action, il noir urbano e il pulp di oggi non esisterebbero neppure. Una linea di pensiero proseguita negli anni con i vari Hard Boiled, The Killer e Bullet in the Head. Anche se, a livello del tutto personale, nulla mi potrà mai gasare di più degli ultimi 20 minuti di A Better Tomorrow 2: un trionfo di sangue, piombo, acciaio, lacrime e onore in cui si scontrano Chang Cheh, spaghetti western, chambara e tutti gli eroi della nostra infanzia. Inutile dire da che parte dei due spettatori io penda.



Se anche per voi Chow Yun Fat è il miglior testimonial possibile per la Beretta, allora non vi posso che consigliare una visione di questo Red Cliff in modalità vhs porno. In altre parole, scavalcate le parti pallose e arrivate subito alle mazzate. Perché le parti pallose sono veramente pallose, mentre nelle scene più concitate la mano del nostro si vede tutta (anche se, è meglio dirlo subito, gli eccessi del passato rimangono lontani). Così, anche dopo anni di esilio statunitense e nonostante le limitazioni della produzione cinese, il buon John rimane comunque il Maestro del cinema action. Dimenticatevi le sterili contorsioni plastiche del cinese Zhang Yimou, l’anemia degli scontri e la fotografia linda e pulita. In Red Cliff il sangue si mischia alla polvere e al sudore, immerso in linguaggio cinema che riesce miracolosamente a unire zoomate exploitation, carrellate di un eleganza e di una sinuosità che lasciano senza fiato a rallenty tipicamente post moderni (tranquilli, ci sono anche i rallenty epici e i freeze frame immancabili in ogni film del Nostro). Non mancano scivoloni e cadute di stile (quando il cinema di HK ne ha fatto a meno?) ma gli scavallamenti di campo, i dolly sinuosi, le prospettive inusuali e le steady di chiara scuola Ching Siu Tung riescono comunque a farci dimenticare tutto e a immergerci , ancora una volta, in quegli eroici bagni di sangue.



Se solo tutto questo fosse successo nell’ex colonia inglese, con i suoi budget risicati e la sua libertà d’espressione impagabile, magari adesso staremmo gridando al capolavoro. Non è così, ma poteva anche andare molto peggio.


domenica 10 agosto 2008

Yak - Iron Flavoured Candies (Aural Music - 2008)

Tanta (forse troppa) carne al fuoco per il post-metal degli italiani Yak. Qui la mia rece.

Backfire - In Harm's Way (GSR Records - 2008)

Mazzata HC. Non occore altro per descrivere il nuovo disco degli storici Backfire. Come al solito trovate la mia rece qui.

sabato 9 agosto 2008

Death Note - L changes the world di Hideo Nakata (Jap/2008)

L changes the world non è un brutto film, si limita a essere inutile. Anche il resto della serie Death Note non era certo un capolavoro, ma perlomeno si basava su di un immaginario tipicamente nipponico, fatto di personaggi ambigui, demoni, magia e adolescenti che si muovono senza problemi in un mondo di adulti. Tra tutto il fornito parco personaggi il detective L svettava senza problemi per originalità e carisma, da qui l’inevitabile spin off. Un genio in età da liceo, maniaco dell’igiene, che veste di bianco, comunica con il mondo (e indaga) attraverso il computer e si nutre solo di dolci. Che non riesce ad avere rapporti interpersonali (se non con il suo maggiordomo) ma collabora con tutti i corpi di polizia del mondo per la risoluzione dei casi più complicati. Tutto molto nipponico, e se ci aggiungete il classico ciuffo corvino davanti al volto da belloccio tenebroso avrete il ritratto completo. Peccato che Hideo Nakata decida di fregarsene di tutto questo, oltre al fatto di dimenticarsi di essere stato il regista di Dark Water.



Tutti gli agganci all’horror di Death Note si esauriscono nella prima decina di minuti, mettendo così fine alla morbosità che caratterizzava tutta la serie. Se nei capitoli precedenti il fatto che il protagonista potesse decidere in anticipo la morte di qualsiasi altro personaggio permetteva agli sceneggiatori di costruire arzigogolate impalcature narrative e di giocare direttamente con lo spettatore, tutto L changes the world si esaurisce a uno scontro tra L e un gruppo di terroristi. Tristezza infinita, a cui va ad aggiungersi anche la progressiva evoluzione del protagonista da quello che conosciamo a perfetto action hero. O, per rileggerlo sotto un altro punto di vista, da prodotto dell’immaginario nipponico a ennesimo eroe di stampo statunitense.



Se nei precedenti capitoli i buchi di sceneggiatura era disseminati ad arte, per poter essere tappati all’ultimo minuto dall’ennesima svolta narrativa, in questo spin off ci sono e basta. E si parla di un film di 130 minuti, dilatato all’inverosimile e dove la vicenda è riassumibile in una manciata di parole. Siamo passati da un estremo (eccessiva comprensione a discapito della profondità) all’altro, con esiti catastrofici. Unica costante tra i tre film: la regia televisiva. Non proprio un punto di forza, direi.

venerdì 8 agosto 2008

Pensavate fossimo messi male? Scoprite il mondo hipster

Sull'immancabile Adbuster un articolo dall'esplicativo titolo Hipster: the dead end of western civilization ci spiega come i ggiovani di oggi (tra cui io) stiano segnando la fine della cultura nella nostra civiltà, tutto grazie al fenomeno degli hipster. Un iperbole? Forse si, ma anche no. Comunque sia, l'articolo merita e fa riflettere parecchio, oltre a inquadrare perfettamente alcuni spicchi del mondo dove viviamo.

Late Bloomer trova una distribuzione in occidente



Chi l'ha visto giura che è un capolavoro senza e senza ma (vedi qui), peccato che i fortunati spettatori si contino sulle dita di una mano. Ma ora, grazie alla Tidepoint, anche noi occidentali potremo godere di questo Late Bloomer, capolavoro del 2004 a opera di Go Shibata. Descritto come un incesto tra Tetsuo, Taxi Driver e Freak, Late Bloomer narra la lenta discesa nella follia di un uomo paralizzato, fino alla sua trasformazione in serial killer. La potenza politica del film mi pare chiara, riallacciandosi a un simbolo dell'alterità deviata come il porno Forced Entry (di Shaun Costello, 1974) o, virando sul genere più puro e d'intrattenmento, Apocalisse Domani (di Antonio Margheriti , 1980). Ancora poco e potremo tastare con mano.

mercoledì 6 agosto 2008

Shamo di Soi Cheang (HK/2008)


E se Daniel San fosse stato uno psicopatico?



Soi Cheang è una delle voci più forti della nuova generazione di registi Hong Konghesi, forte di una tecnica/visione d’insieme non indifferenti e dalla potenza iconoclasta disarmante. Soi è uno che passa dall’horror più banale al melodramma noir dello straziante Love BattlefieldDog fino al discusso nichilismo tout court di Dog Bite Dog, poliziesco con un cuore di tenebra che lo avvicina più all’horror estremo che all’ennesima variazione di guardie e ladri. Così, anche quando si tratta di dirigere una marchetta come l’adattamento di un manga ultraviolento per il grande schermo, il Nostro riesce a metterci del suo.



Ryo è un ragazzo intelligente, ricco e… accusato di aver massacrato i suoi genitori. In riformatorio dovrà subire ogni tipo di sevizia, sopportando il dolore giorno dopo giorno grazie alla lezioni di karate del Maestro Kenji Kurokawa. Ryo scoprirà così di essere una macchina assassina, con tutte le conseguenze del caso…



Shamo è un film sgradevole, che unisce momenti di grande eleganza formale (il duello notturno tra i bambù, i frangenti dell’incontro finale su sfondo nero) con una messa in scena sporca e svalorizzata ulteriormente dalla fotografia desaturata. Soi Cheang si riconferma regista capace e linguisticamente multiforme, capace di muovere senza sosta la macchina da presa e di piazzarla nei posti più impensati. Come in Dog Bite Dog continuano gli esperimenti su montaggio e sonoro, forti di una capacità evocativa ed emozionale inarrestabile. I problemi nascono nel confronto con il medium originale e nell’autorialità del regista.



Soi Cheang riesce nel medesimo tempo a mettere troppa carne al fuoco, cercando di seguire in 100 minuti quello che il manga fa in una serie completa, e a dare un’impronta troppo personale al film. Il risultato è un opera che viaggia alla velocità della luce frammentando in mille ellissi e altrettanti oscuri simbolismi la trama, ma al contempo apparendo come la riproposta in chiave marziale delle tematiche di Dog Bite Dog. Shamo è un film immaginifico, pieno di sostanza e rabbia repressa, capace di intrattenere come un live action ma di colpire sotto la cintura come un film di Haneke, ma rimane comunque una parziale occasione mancata. O un pericolo scampato, se si pensa al genere alimentare a cui appartiene.



martedì 5 agosto 2008

GP506 di Su-chang Kong (Korea del Sud/2008)

Una striscia di terra tra Korea del Sud e Korea del Nord. Nell’avamposto 506 tutti gli uomini vengono ritrovati orribilmente massacrati, lasciando un solo sopravissuto in coma. All’indomani della scoperta l’esercito insabbierà tutto, lasciando solo una notte per risolvere il mistero.



Mi ricordo una vecchia intervista a Lamberto Bava da parte dei ragazzi di Nocturno. Il regista sosteneva che la difficoltà maggiore di un horror fosse il riuscire a riempire 90 minuti di pellicola, perché il genere in questione necessita di tempi “brevi”. Probabilmente nessuna ha avvisato di questo il sud koreano Su-chang Kong. Per fortuna.



GP506 è un horror bellico che supera le due ore, non ha scene d’azione ed è completamente basato sull’investigazione. E nonostante il ritmo più che sostenuto alla fine si ha l’impressione di avere ancora spazi bui da illuminare. Sono cose che succedono quando si da la giusta importanza alla sceneggiatura.



La narrazione di GP506 sfida direttamente lo spettatore, richiede attenzione e non lascia spazio a nessun tipo di didascalie da multisala. Trattandosi di un film horror dalla struttura da giallo, la raccolta di testimonianze ha una parte importante nel dipanarsi della vicenda. Partendo da questo presupposto Su-chang Kong si prende la libertà di incastrare presente e passato in maniera del tutto armonica, arrivando anche a racconti all’interno di flashback o flashback all’interno di flashback. Tutto senza mai spiegare nulla allo spettatore, obbligato così a una partecipazione per forza di cose attiva. All’interno della complessa ragnatela di soluzioni narrative studiate dal Nostro, una delle più efficaci e rappresentative è la riproposizione multipla di scene già viste, ogni volta a conoscenza di un nuovo particolare. L’accumulo di indizi cambia completamente la percezione della vicenda ,con effetti tanto stupefacenti da non rendersi quasi conto che quello che scorre sullo schermo lo abbiamo già assimilato una o più volte. Gli eventi si succedono senza tregua, più nelle parole dei soldati che nei fatti. Eppure non ci si annoia mai.



Rispetto al precedente R Point il regista evita alcuni grossolani errori, tipo le incursioni forzate e fuori luogo nel j horror più scontato, ma perde anche parte della fisicità che permetteva al suo esordio di raggiungere vette di tensione impossibili. Si ha l’impressone di un lavoro più maturo e meno di pancia, sicuramente migliore anche se più freddo. Riconfermata in toto l’eleganza della messa in scena, forte di una fotografia e di una regia totalmente fusi tra loro. GP506 riesce a essere claustrofobico e splatter senza mai cadere in cliché o nel pretestuoso, ma guidando lo spettatore in un tour de force linguistico che restituisce al cinema ciò che gli è stato sottratto da televisione e videoclip. Si prenda a esempio il breve piano sequenza in cui la narrazione avviene attraverso specchi e un sinuoso movimento di macchina a spirale, in una sequela di simbolismi legati alla sceneggiatura più che al semplice piacere visivo.



Un horror teso e violento, ma al contempo ricco d'umanità e melodramma. Un crossover di generi e suggestioni che riconferma uno dei più promettenti registi di questa generazione.

lunedì 4 agosto 2008

Scalped di Jason Aaron e R.M. Guéra

Ammettiamolo, è inutile girarci attorno. Tutti i più grandi fumetti di scuola anglofona attualmente sul mercato sono noir, o comunque circoscrivibili senza dubbio al genere. Merito di gentaglia che pare essere cresciuta a scotch e Chandler, merito di quel pugno di fumettari in cui inscrivere senza dubbio avanzi di galera come Brian Azzarello, Ed Brubaker, Warren Ellis, Brian Bendis e da oggi anche l’astro nascente Jason Aaron.



Perché noir non significa soltanto pioggia, città corrotte e bettole fumose, magari nei pressi del porto. Noir è perdita della speranza, una corsa a rotta di collo sapendo che il traguardo sarà molto peggio del peggio che ci si era immaginati. A dimostrazione di questo arriva Scalped: totalmente ambientato sotto il sole rovente di una riserva indiana ormai allo sbando, senza una goccia di pioggia catartica e senza uno spolverino liso e intriso di fumo rancido. Eppure vi darà la sensazione di essere presi a calci in bocca dal peggior figlio di troia della città.



Con un punto di partenza che ve ben aldilà della semplice originalità e che permette una lettura stratificata e multiforme della vicenda, dialoghi (parzialmente rovinati dell’edulcorata traduzione Planeta) che prendono tutto il Tarantinismo d’acchito degli ultimi dieci anni e ne fanno una palletta informe da gettare fuori dal finestrino della vostra auto e una carica emotiva impossibile da rintracciare in tutti i pastoni post moderni (dove ogni schizzo di sangue deve essere esagerato perché fa tanto slapstick) che infestano il mercato, Scalped si pone già al primo trade paperback all’altezza di capisaldi come 100 Bullets e Criminal, mantenendo comunque una sua personalità ben definita. Menzione anche per le tavole di R.M. Guéra, torride e ruvide come una distesa di terra bruciata abbellita con del filo spinato. Se non si fosse capito, roba tosta che nulla a che fare con i guazzabugli omo dei vari crossover ed eventi galattici.



Meno grottesco del capolavoro di Azzarello ma più sanguigno dell’affresco esistenzialista di Brubaker. Duro come un uppercut sotto il mento, intelligente come la mente dietro una rapina in banca.


sabato 2 agosto 2008

[trailer] The Truck (Korea/2008)





Siete un pover'uomo, una figlia malata
e un bisogno disperato di lavoro. Incominciate a lavorare al soldo della malavita come trasportatore di cadaveri. Già come situazione non mi pare il massimo della vita, figurarsi se un giorno uno dei vostri pacchetti si dimostra essere, nell'ordine:



a) vivo e vegeto;

b) uno spietato serial killer.



Sopra il teaser in linea con i vari [Rec]/Cloverfield/Diary of the Dead, sotto alcune foto di scena nel più classico stile ultrapatinato koreano. Da che parte penderà il film?








venerdì 1 agosto 2008

Dio esiste! Finalmente un trailer ufficiale per Ashes of Time Redux





Ogni regista ha nel cassetto un film maledetto: Wong Kar Wai ha Ashes of Time (1994). Un' autentico capolavoro di linguaggio cinematografico (avanguardia pura applicata alle arti marziali) restituito al mondo nella sua release definitiva. Finalmente potremo godere del capolavoro del regista di Days Of Being Wild e Happy Togheter come era stato inizialmente concepito dallo stesso. Considerando che praticamente ogni versione home video del film ha un metraggio differente non mi sembra poco.