lunedì 29 novembre 2010

C'è porno e porno...




...e Isabella Rossellini l'aveva già capito. Parto dal green porno dell'attrice italiana meno allineata per arrivare alla rapida segnalazione di due uscite strettamente legate alla produzione XXX.







Prendi qualche esordiente alle prime armi tipo... Matthew Barney, Gaspar Noe, Larry Clark, Richard Prince (ripeto, sua Maestà Richard Prince), Marylin Minter,... Commissionagli un corto dove esprimere il proprio punto di vista su sessualità e pornografia. Il risultato sarà Destricted, per la prima volta pubblicato in edizione integrale (il film è del 2006). Fighetto? Probabile. Pretenzioso? Quasi certo. Snob? Per definizione. Eppure i nomi coinvolti obbligano chiunque si interessi un minimo di arte moderna a buttargli almeno un occhio. Mettiamola così, per quanto vi faccia cagare avrete qualche perla da sciorinare alla prossima riunione del salotto buono.







Discorso diverso per Graphic Sexual Horror. Ricordo che quando cinema estremo significava ricerca smodata e non solo download selvaggio incappai in un cofanetto marchiato InSex. Tiratura limitatissima, confezione quasi artigianale, prezzo da oreficeria (si parla di centinaia di euro). Il tizio che lo vendeva lo spacciava come il non plus ultra del bizzarro, senza specificare nulla di più. Vista l'impossibilità di un'anteprima e il prezzo fuori scala declinai l'offerta. Venni a conoscenza solo tempo dopo del caso InSex.com, il sito pornografico più estremo di sempre (il cofanetto ne conteneva una sorta di "best of", virgolette obbligatorie). Il documentario delle registe Barbara Bell e Anna Lorentzon indaga sul fenomeno, dal successo mondiale alla chiusura in seguito al Patriot Act. Siamo dalle parti di 9 to 5: Days in Porn, ma in chiave bondage. Con, si spera, una spolveratina di sociologia in più.

domenica 28 novembre 2010

Slow, deep & hard: il trailer di Slow Southern Steel


Slow Southern Steel Movie Trailer #1

SLOW SOUTHERN STEEL | Myspace Video




Dalle menti dietro la I'm Better Than Everyone Records e i fenomenali Rwake arriva un documentario sulla scena più campanilista, cafona e intransigente di sempre. Il True Norwegian Black Metal? No, il Southern Sludge. Dove magari ci saranno meno morti ma un bel pò di stonati in più (e comunque c'è Phil Anselmo che fa da ponte). Basta il trailer per farmi montare ulteriore invidia nei confronti di tutti quelli che hanno una suono localizzato in cui riconoscersi (pensateci bene... Boston Hard Core, New York Hard Core, New York Death Metal, Gothemburg Sound, Texas Slam, Florida Death Metal, tutta la scuola di Seattle, il già citato TNBM, l'appena nata scuola di Savannah, il thrash Bay Area,...). Il fatto che chi sta dietro la macchina da presa venga direttamente dal mondo di cui vuole parlare è una garanzia da non prendere sotto gamba. Per il resto c'è poco da dire: barbe fotoniche, cappellini da camionista, sporcizia, paludi, droga, birre, giubbetti di jeans e volumi esorbitanti. Più una serie di facce che non potete non riconoscere. Southern Sludge: l'unica materia dove più ne sai, più sei ignorante.

martedì 23 novembre 2010

Né belli, né dannati: Sangue Amaro di Abel/Soria/Pleece (Black Velvet/2010)




Come si scrive un bel fumetto sui nipotini di Dracula?



Prendi il trend vampirico. Spoglialo di tutti i luoghi comuni e di tutte le manfrine da depresso della domenica pomeriggio. Innestalo con robuste dosi di commedia adolescenziale. Ambientalo tra le minoranze etniche che popolano Los Angeles. Dimenticati rockstar, bei tenebrosi, metafore da quattro soldi e, in generale, tutto quell’ amore per le tenebre che si esaurisce quando mamma ti chiama per la cena. Colpo di grazia, evita le didascalie. Allora avrai Sangue Amaro.



Sangue Amaro (Life Sucks in originale, tanto per rafforzare il legame con certe tendenze dei '90s) è divertente, pop, romantico, frizzante, leggero e umanissimo. Senza gli eccessi gore che facevano ridere ai tempi di Peter Jackson o la solita sovversione dei clichè da bigino della metanarrativa. I nuovi vampiri sono commessi di un minimarket aperto 24 ore su 24 (naturalmente fanno il turno di notte), schiavi di un’ aristocrazia vampirica composta da coattissimi immigrati dall’est Europa (padroni di catene di negozi), destinati a innamorarsi di ragazzine dark. Da simili prerogative non poteva che nascere un fumetto coloratissimo e farcito di battute fulminanti, perfette nel dare tridimensionalità a una galleria di personaggi indovinatissimi (il conte Radu è MA-GNI-FI-CO). L’assenza di didascalie da all’insieme un ritmo vertiginoso, impedendo agli autori di scivolare nel perverso circolo vizioso in cui si deve sfruttare questo meccanismo narrativo per risultare profondi o poetici a ogni costo. In Sangue Amaro non ci sono discrepanze o giochi di significato tra quello che leggo e quello che vedo. Dovendo basare tutta la parte testuale del volume su dialoghi è inevitabile che l’insieme restituisca un’idea di realismo ed empatia. Traguardo ben più difficile da raggiungere se, al contrario, si ha la possibilità di leggere i pensieri dei proprio protagonisti. Quando stiamo con gli amici non possiamo sentire una voce off che ne riassume i pensieri. Ci basiamo su quello che ci vogliono dire e quello basta.



Sangue Amaro avvicina l’horror al suo lato più scanzonato, dimostrando una classe che non ha bisogno di provocazioni o cadute di stile. La leggerezza è un’arte che ultimamente si sta decidendo a sfoderare sempre più le unghie, riprendendosi a forza quello che il postmoderno si era portato via in un soffio. Ridere della vita di tutti i giorni, metterla sotto un’ottica solo apparentemente straniante, trovare un ritmo che sia leggero alla fruizione eppure inamovibile dall’immaginario. Una serie di operazioni che richiedono qualcosa di più di un continuo gioco al ribasso. Basando il tutto, tra le altre cose, sulla decodifica di una figura mitica che pareva ormai destinata all’esaurimento per sfruttamento intensivo: i vampiri passano da maledetti (emarginati cool) a outsider (emarginati e basta), evitando la sovversione di significato a favore di un più sottile slittamento in territori realistici. Nella vita vera difficilmente chi è tagliato fuori dal gruppetto dominante assume un’aurea di fascino tale da renderlo irresistibile, solitamente viene preso per il culo. Proprio come succede a Dave Miller e ai suoi amici. Adorabili perdenti.

Milano a fumetti





Anche se sono di Bergamo giovedì ci sono pure io. Siateci, anche solo per vedere Akab, Christian e Paolo impegnati in mirabolanti sessioni di live painting.

lunedì 22 novembre 2010

Lo sguardo velato e il mostro di lattice: I.O.U. di Federico Sfascia

I.O.U. TEASER 1 from Rubaffetto on Vimeo.





Attendevo il teaser del nuovo lavoro di Federico Sfascia con l'ansia che di solito si riserva ai grandi blockbuster. Questo perchè ho letteralmente consumato il dvd del precedente Beauty Full Beast, anello di congiunzione tra il primissimo Kevin Smith e Sam Raimi. Una commedia romantica con i mostri di gomma, autentico tributo a un immaginario scanzonato e leggero ormai annientato dal cannibalismo imperante. Nonostante un budget inesistente BFB scorre più veloce dell'ennesimo mattone da multisala, diverte di più e traccia un solco più profondo nella nostra memoria. Fosse diretto da un regista estero probabilmente ci sarebbero schiere di cinefili pronti a sbrodolorare sull'ennesimo cult. E, per una volta, ne avrebbero tutte le ragioni.



Questo I.O.U. alza ulteriormente l'asticella, riproponendoci al contempo tutte le cose che ci avevano fatto adorare i precedenti lavori di Federico: artigianalità, una storia d'amore non allineata, mostri di gomma, personaggi assurdi, una marea di trovate che non troverete da nessuna altra parte e l'inconfondibile aroma da videoteca (quelle con le VHS) polverosa. La trama è una bomba, ma aspetto che sia lo stesso regista a renderla pubblica. Per ora godetevi questo splendido montaggio che, sembra incredibile, deve essere ancora postprodotto. Lo so, lo so. Sembra già meglio di tutto quello che avete visto negli ultimi sei mesi. Sono cose che capitano quando si ha talento.



Bonus: il miglior video che vi possiate immaginare per una cover in chiave electro pop dei Ramones. Regia di Sfascia, naturalmente.



Pay - Pet sematary elettro 80 cover from Rubaffetto on Vimeo.



venerdì 19 novembre 2010

Ultraman Zero: come far sembrare Michael Bay il nuovo Yasujiro Ozu





Andate al secondo 45 e ditemi se avete mai visto una cosa simile in un film. Ultraman Zero sempre al top.

giovedì 18 novembre 2010

After dark, my sweet: Ricca da morire di Azzarello & Santos




Non è difficile immaginarsi la faccia di Azzarello quando si è visto proporre la realizzazione di un volumetto noir autoconclusivo, di piccolo formato, in bianco e nero, su carta tutt’altro che patinata. Come andare da un cuoco e chiedergli di scrivere un libro di ricette. La Vertigo abbandona temporaneamente il suo classico formato da comicbook e cerca in ogni modo la mimesi con l’editoria più popolare, concedendosi l’unico lusso di una copertina cartonata in sostituzione di cartaccia floscia e sgualcita dalle tasche del cappotto (o del trench). Così la mente dietro 100 Bullets (forse il caso più riuscito di mutazione/attualizzazione del noir attorno alla fisionomia del fumetto seriale statunitense) si prende una boccata d’aria e rispolvera i romanzi di Raymond Chandler e Mickey Spillaine, senza dimenticare il cinema di Edgar C. Ulmer e Rober Aldrich. Nessuna deriva postmoderna, nessuna cessione all’eccesso. Zero ironia o meta giochetti sui tòpoi del genere. Perfino il proverbiale andamento cervellotico tipico dello scrittore di Cleveland viene accantonato a favore di didascalie secche e lineari.



Siamo in ambito ancora più retrò del Criminal di Brubaker, con una sceneggiatura che pare il bigino del romanzo nero di matrice classica. L’antieroe fallito, la donna magnetica e portatrice di sventura, il fattaccio che va come non deve andare, i doppi giochi, lo spiraglio di luce sul finale e, ovviamente, la spirale di nero che risucchia l’ultima pagina. A un certo punto fanno capolino un paio di suggestioni che richiamano la perdizione sessuale e psicotica del primo Ellroy, ma vengono immediatamente abbandonate per rituffarsi in un mondo che si concede al massimo un omicidio per percosse.



Victor Santos fa bene il suo lavoro, miscelando gli inevitabili Miller e Risso (peccato veniale durissimo da evitare quando si affrontano tavole cariche di sigarette e whiskey scadente) con suggestioni originali e debitrici del fumetto più underground. Fisionomie e anatomie deformate in primis, mantenendosi invece rispettoso nei confronti della griglia. Scelta perfetta se si vuole adottare anche il ritmo della narrazione d’altri tempi.



L’unico aspetto veramente eclatante del volume è la maestria con cui Azzarello leviga i rapporti di potere tra i personaggi, anche se le tensioni sessuali non raggiungono mai picchi veramente morbosi. Anzi, a tratti pare quasi che il sesso sia vissuto in maniera positiva e liberatoria. Aspetto più unico che raro in un genere da sempre misogino e schiacciato da un tirannico senso di colpa. Per il resto il volume è perfetto se si vuole riassaporare il bel nero di una volta, staccandosi anche solo per un attimo dalle derive prese negli ultimi anni (quasi mai in positivo).


mercoledì 17 novembre 2010

Noah Conopask e l'arte del nero




Poche cose sono meglio di un nero denso e profondo per intridere di dramma anche lo scatto più minimale. E Noah Conopask lo sa bene.

martedì 16 novembre 2010

Daddy comes back

afx seaside specials from afx seaside specials on Vimeo.





Ma dobbiamo aspettare ancora fino al 12 marzo 2011. Tranquillo Richard, tanto per assimilare drukqs 11 anni non sono comunque sufficienti.

domenica 14 novembre 2010

La canzone non mi dice molto...





...ma il video è una bomba. Poi loro mi sembrano outsider al cubo (+10 punti, da parte mia).

venerdì 12 novembre 2010

Sono sempre più convinto che...





...se Ron English è il frullatore, Banksy il discolo, Shepard il militante, allora Blu è il poeta (sopra il suo nuovo lavoro, a Rennes).

mercoledì 10 novembre 2010

Blured beauty

Blured beauty. from v5mt on Vimeo.





Ne avevo già parlato qui e qui, ma torno volentieri sull'argomento per segnalare questi video di V5/MT. La glitch art mi affascina sempre più (e non solo me, visto che tutti i promo agli MTV EMA di qualche giorno fa erano realizzati con questa tecnica), complice il fatto che la cultura a 8bit (o lo-tech in generale) è ormai sulla bocca di tutti. Manipolare e distorcere un flusso di dati significa dare calore alla perfezione matematica. Se i vari Merzbow/Atrax Morgue/Brighter Death Now/Cazzodio costruivano discografie monumentali sulla semplice distorsione del suono, puntando tutto sul nichilismo e sull'annichilimento di ogni forma di gradevolezza, questa nuova forma di espressione pare voler dimostrare il bello dietro il caos e l'imprevedibile. In un' epoca dove si rincorre l'alta definizione ad ogni costo, dove pare più importante il numero di pixel sullo schermo che il quadro generale (quando questo dovrebbe essere a sua volta uno strumento espressivo [cosa sarebbero i video di Matthew Barney se fossero girati con una pellicola grossolana?]), non mi pare poco.

lunedì 8 novembre 2010

Botte d'autore: Crows Zero 2 di Takashi Miike (JP/2009)




La pagina imdb relativa ad Aristide Massacesi (aka Joe D’Amato) ci segnala qualcosa come 193 regie. Depenniamo i porno dell’ultima fase (quelli girati nella prima parte della carriera erano parte integrante del suo percorso autoriale, senza nessuna ironia o distacco post moderno) e superiamo comunque il centinaio di produzioni. Una quantità sconfinata di pellicola su cui si è detto di tutto. Film poveri, basati sul binomio sesso/violenza (meglio se nella stessa scena), sgradevoli in ogni aspetto. Le fisionomie dei protagonisti, la fotografia perennemente spenta, l’immancabile colonna sonora a base di sintetizzatori. Eppure in ogni singola prova dietro la macchina da presa il buon Joe riusciva a infilarci la Massacesata. Per la mente dietro a Buio Omega, Antropophagus e Endgame – Bronx lotta finale era impossibile girare un film rendendosi totalmente invisibile. Per quanto discutibile (non da me, io il Massacesi lo venero) la sua poetica era talmente forte e viva da renderne impossibile ogni tentativo di arginarne la potenza iconoclasta. Perfino il mitico Sesso Nero (primo lungometraggio porno prodotto in Italia) si concludeva con un automutilazione genitale che pareva ricollegarsi a quanto succedeva in Emanuelle e gli ultimi cannibali. Sembrerà poca roba, ma autentici Maestri del cinema di genere italiano come Bava, Di Leo o Fulci non erano in grado di garantire una tale continuità nella poetica (solo quello però. Per il resto doppiavano Aristide già al primo giro di pista). Per cercare un altro esempio di un simile stacanovismo non possiamo non pensare a Jess Franco. O al nostro contemporaneo Takashi Miike.



Se prendiamo tutta la filmografia del regista di Osaka non troveremo mai una pellicola che non abbia almeno un frangente inconfondibilmente Miikiano. Perfino in Yattaman fanno capolino un bel po’ di riferimenti sessuali non rintracciabili (se non in maniera embrionale) nel materiale di partenza. Un percorso enorme, che passa dalle produzioni per il mercato video ai prodotti più sperimentali, senza dimenticarsi qualche puntatina nel blockbuster. In questo ramo non possiamo non citare l’ipercinetico City of Lost Souls, il delirante Like a Dragon, il già citato Yattaman, il fallimentare Django, il mezzo capolavoro The Great Yokai War o i due Crows Zero.



E proprio parlando del secondo capitolo di questa serie se ne ha una conferma ancora più forte. Una gestione del ritmo totalmente sballata (e quindi profondamente Miikiana) permette di incastrare tutte le parti pallose del film nei primi 90 minuti (sovrapposizioni yakuza/teppisti, sensi di colpa, collegamenti con il primo film,…) e di concentrare tutta l’essenza della school rumble nel restante minutaggio. Quasi 45 minuti di botte da orbi, dove divise scolastiche ultrastilose e i bei faccini dei protagonisti finiranno tumefatti e coperti di sangue. Un’esagerazione che si alimenta di se stessa (il capo della gang rivale aspetta il nostro protagonista sul tetto della scuola, mentre a ogni piano deve scontarsi con un diverso luogotenente. Dopotutto Miike è sempre stato un fanatico di Bruce Lee), regalandoci frangenti genuinamente epici. Sarà mestiere, ma è artigianato di alta classe quello di cui si sta parlando. Se dietro alla macchina da presa non ci fosse il disincantato Miike le cose sarebbero andate molto diversamente. Già il fatto che in tutto il film non compaia un solo personaggio femminile, tutto a favore dell’amicizia maschile, la dice lunga. Come i suoi yakuza anche questi ragazzi lottano stancamente, più per senso del dovere che per reale convinzione. Con la paura che la prossima generazione possa rovinare tutto. Basta aver visto almeno la trilogia della Black Society per rivederci tonnellate di punti in comune.



Palesemente film alimentare, eppure saporito e soddisfacente come la più prelibata delle pietanze. Magari sarà un piatto semplice, ma gli ingredienti giusti ci sono tutti. Miike è un bel po’ che non si presenta all’ appello con IL film (facciamo da Izo o da Gozu?) ma di certo non manca mai di mandare in brodo di giuggiole noi appassionati. Un eroe.







P.S. già che si sta parlando di Massacesi & Crew, non è che nessuno ha una copia di Anno 2020 - I Gladiatori del Futuro e DNA Formula Letale
da passarmi? Li cerco da una vita! Grazie mille.

sabato 6 novembre 2010

Ronal the Barbarian: e il fantasy divenne interessante





Animazione 3D dalla Danimarca. Puro genio. Gli ammiccamenti a power metal e true defenders vari sono da lacrime, nel loro genere la cosa più divertente dai tempi dei mutandoni pelosi dei Manowar (Luca Turilli escluso, naturalmente).

venerdì 5 novembre 2010

Qualche consiglio per chi è nella stanza dei bottoni

INFLUENCERS FULL VERSION from R+I creative on Vimeo.





Riassunto per i pigri:



- si deve prendere qualcosa di sconosciuto e lo si deve immettere nel mainstream, non prendere qualcosa che ci è già e renderlo ancora più annacquato.
- stare in mezzo alla gente e avere fiducia nelle capacità di ognuno.
- ascoltare i giovani (che non significa per forza di cose metterli al comando).
- lasciarsi ispirare da tutto quello che ci circonda.



Inutile dire che condivido dalla prima all'ultima parola. Nonostante tutto rimango sempre convinto che il meglio debba ancora venire. E che probabilmente sarà qualche illustre sconosciuto a portarcelo.

mercoledì 3 novembre 2010

Quasi dimenticavo...

... grazie a tutti quelli che a Lucca sono passati a trovarci. Personalmente è stata un'edizione decisamente gradevole. Conosciuto tanta gente in gamba, rivisto personaggi mitici, scambiato due parole con Mike Allred (che tentava invano di illustrarmi le sue tavole), scroccato disegnino a Buff Monster e diffuso tante pubblicazioni estere altrimenti invisibili. Cosa chiedere di più? Non aggiungo altro, tanto nelle prossime settimane ci si riempirà fin troppo la bocca. Tanto per sprecare altre energie.

Le grandi imprese si fanno da piccoli: I Kill Giants di Kelly e Niimura




Odio le intromissioni del mio privato in fase di recensione. Nonostante questo per I Kill Giants mi sento obbligato a sovrapporre vita reale e vicende a nuvolette. Senza di questo espediente sarebbe infatti impossibile far capire la portata umana dell’opera di Kelly e Niimura.



Ho sempre considerato le persone che non riuscivano ad ammettere a voce alta i loro problemi eccessivamente fragili e insicure. Se riesci a pensarli, a descriverli nella tua mente, dove trovi la difficoltà nell’ammettere che tu stesso ne sei vittima? Mi consideravo una persona distaccata, abbastanza fredda per gestire ogni tipo di trauma. Ricordo chiaramente che la prima cosa che ho fatto dopo il funerale di mio padre sia stato andare a bere una birra con gli amici (beccati questo, Garth Ennis!) e ho sempre superato fasi drammatiche della mia vita senza portarne i segni addosso. Insomma, mi credevo impermeabile a certe cose. Nonostante una persona saggia mi avesse spiegato che non è possibile dare un peso specifico ai problemi degli altri (quello che per me è enorme magari per te è minuscolo, e viceversa) non ci avevo mai creduto veramente. Fino a circa 290 giorni fa.



Quando scopri che la tua compagna è incinta, oltre alla gioia infinita, arriva anche il senso d’impotenza. Sei terrorizzato che tuo figlio possa non essere sano. Soffri per il fatto che non ci puoi fare nulla. Devi solo aspettare nove lunghi mesi per poter tirare un sospiro di sollievo (ed è un momento veramente meraviglioso). Durante questo lasso di tempo ero a conoscenza dei nomi delle patologie e dei sintomi. Eppure per tutto il tempo della gravidanza non sono riuscito a dirne uno ad alta voce. Ci giri attorno, speri che l’interlocutore ci arrivi da solo e poi lasci morire il discorso. Sentire il suono di quelle parole significherebbe ammettere che il pericolo esiste ed è reale. Naturalmente arriva anche la regale figura della testa di cazzo, quella che certe cose te le deve spiattellare in faccia per quattro motivi validissimi:



- Deve dimostrarti quanto è cinico e scafato, perché la vita stessa lo reso tosto e corazzato. Non fa nulla se il dramma è tuo, lui certe cose le affronta di petto (non il suo).



- Deve educarti. Perché senza di lui a farti da enzima il tuo processo di interiorizzazione sarebbe troppo lungo. Allora giustamente te lo sbatte in faccia (non la sua).



- Non hai idea di cosa si stia parlando e quindi si sente autorizzato a comportarsi da schiacciasassi (non nei confronti di se stesso).



- Siccome nessuno ha mai fatto qualcosa per addolcirgli la pillola, anche lui si comporta così (solitamente scopri che i soggetti appartenenti a questa categoria hanno incontrato solamente persone che la pillola non solo l’hanno addolcita, ma l’hanno proprio sostituita con uno Zigulì).



Con o senza teste di cazzo ritrovarsi di fronte a un problema (apparentemente) insormontabile è comunque un’esperienza destabilizzante, che ognuno vive alla sua maniera. Non esiste un modo giusto o un modo sbagliato. L’unica cosa sicura è che tutti devono avere il tempo per poterlo accettare e affrontare come meglio credono. Solo così la minaccia potrà essere debellata.



I Kill Giants parla di questo. Di come tutti noi abbiamo i mezzi per superare qualsiasi ostacolo. Basta prendersi il tempo e il coraggio che occorrono. La sceneggiatura di Kelly è poetica, realistica, sboccata e infantile. Barbara, la giovane protagonista, riesce a essere irresistibile e insopportabile allo stesso tempo. L’espediente dei baloon “ oscurati” è una soluzione geniale per rendere su carta la sensazione di cui parlavo prima. Certe cose non le vuoi semplicemente sentire, non ne hai la forza. E per quanto gli altri insistano tutto dipende solamente da te.



Il fatto che la protagonista sia una fanatica dei giochi di ruolo facilita la fusione tra figura retorica e sindrome da fantasy prone personality, spostando l’asticella da fumetto autoriale minimal-ombelicale a bildungsroman dalle sfumature urban fantasy. Le tavole naïve e intime di Niimura fanno il resto del lavoro, recuperando in calore quello che perdono (raramente, a dire il vero) in leggibilità.



In conclusione un gran lavoro, capace di scavallare in più di una nicchia con una naturalezza che ha del miracoloso. I Kill Giants è una costante dicotomia: divertente/duro, fiabesco/realistico, adulto/perfettamente ancorato nell’universo di una bambina di quinta elementare, malinconico/pieno di speranza. Un bel casino, eppure lo conosci come la vita di tutti i giorni.