martedì 31 agosto 2010

La fiamma incorreggibile: Cephalic Carnage - Misled by Certainty (Relapse/2010)




Come potrei fare senza i Cephalic Carnage? Mi piacevano quando suonavano grind con le pretese jazz (ma ci mettevano anche un sacco di sludge e parlavano solo di bong ed erba). Li ho adorati ancora di più quando sono passati al death supersonico. E adesso che paiono l'incrocio tra Origin e Mastodon cosa dovrei fare? Svenire? Qui la recensione completa.

domenica 29 agosto 2010

[Lutti digitali] Ricordando Reach




Che le campagne pubblicitarie per la serie Halo siano qualcosa di sbalorditivo è un fatto. Dai corti di Neil Blomkamp a questo capolavoro la Bungie non ha mai sbagliato niente, e così succede anche per il nuovo Halo Reach. Accedendo al sito apposito è possibile fare la propria parte per la realizzazione di un monumento agli eroici soldati caduti durante le vicende narrate nel videogioco.



Basta selezionare un punto luce e il braccio robotico (vero, niente simulazioni in CG) comandato a distanza fisserà il vostro contributo. Una volta fatta la vostra parte osservate l'appendice seguire gli ordini da parte di utenti da ogni parte del mondo, mentre l'affresco evanscente prende forma poco per volta.



Un click dal monitor di casa nostra porta a conseguenze fisiche reali dall'altra parte del mondo, davanti a una platea globale. Non penso che un teaser video o una campagna stampa qualsiasi potrebbero anche solo lontanamente puntare a una tale immersione emotiva da parte dell'utente. Che ora avverte il suo apporto concreto come non mai. Se contribuisco a mettere un mattone vero su di un monumento vero allora anche i caduti sono veri.



Capolavoro nel capolavoro: ogni mattone in realtà non è che il movimento di una fonte luminosa bloccato dai CCD di una macchina da presa. Una scia destinata a non lasciare tracce, come i fari di un'auto nella notte o una lampada che si spegne. Davanti ai nostri monitor un pixel luminoso destinato a durare fino a quando il sito non verrà chiuso. Un sabotaggio interno, come a voler ristabilire l' ordine delle cose. Un modo raffinatissimo per ricordarci le differenze tra lutto nel mondo digitale e nella vita vera.

giovedì 26 agosto 2010

Yeasayer "Madder Red"





La canzone fa abbastanza schifo, però vedere Kristen Bell che si danna per la versione tenerona del Belial di Basket Case ha indubbiamente il suo fascino.

mercoledì 25 agosto 2010

Are You Ready (For Some Darkness): Grief 2 di Andrea Mozzato




Grief è un po’ Ichi e un po’ Maxx. Un killer spietato (manovrato da un cinico suggeritore) abitante di un mondo tutto suo, dove il confine tra reale e allucinazione sfuma tra le pieghe della patologia mentale. Le sue vittime preferite sono feccia della peggior specie, non troppo dissimile da lui stesso. Il campo di battaglia un dedalo di vicoli lerci e suggestioni suburbane, autentico microcosmo dove il Nostro si muove come un Re. E la famiglia? Impegnata a gestire un ristorante frequentato da anime corrotte (e per anime si intende proprio anime, quelle dei morti).



Questa una descrizione sommaria di quanto troverete tra le pagine del secondo, e conclusivo, volume del Grief di Officina Infernale. Proprio come la sceneggiatura anche la parte grafica gioca con continui sbalzi (anche d'umore), sovraccaricando le tavole e spingendole verso una funzione suggestiva più che narrativa. Il mondo visto dagli occhi del protagonista assume la forma di un girone dantesco, soffocato da tratti spigolosi e neri claustrofobici.



Esempio perfetto di fumetto con i piedi ben piantati nell’underground più melmoso e mefitico, Grief rappresenta una sorta di ponte tra le suggestioni da comics anni ’90 e le fanzine più estreme. Partendo dal classico spunto del personaggio in bilico (uno dei punti fissi del decennio Image) Andrea Mozzato sviluppa una poetica personale, attingendo da una serie di mondi agli antipodi dal mainstream e allargando lo spettro di influenze alla grafica più aggressiva. Come si è già detto le 48 pagine del volume sono più indirizzate a costruire un’atmosfera piuttosto che a seguire pedissequamente la narrazione.



Il formato da comicbook ha quasi il sapore della parodia, andando a unire il più commerciale degli spunti con la cura artigianale prestata al packaging. La tiratura limitatissima di Grief 2 arriva infatti con sketch originale e confezione rifinita a mano dallo stesso autore, rendendo ogni volume un pezzo unico. Il modello di produzione industriale viene irriso, l’autore torna a essere figura centrale. Una volta lo si sarebbe definito demiurgo, oggi meglio considerarlo elemento fondamentale di ogni passaggio della filiera produttiva.

domenica 22 agosto 2010

Questo farà un pò male: Dr. McNinja di Christopher Hastings




Come puoi non voler bene a Christopher Hastings? Il Nostro eroe non è che un ragazzo come tanti, di certo non dotato di particolari talenti nel campo del disegno o della scrittura. Eppure i tre tpb del suo mirabolante Dr. McNinja sono più divertenti, freschi e godibili di molta della paccottiglia pubblicata da blasonati autori a cui si tende a perdonare un po’ troppo. Non voglio certo unirmi al coro che fa del culto del nulla religione, così come non mi voglio avvicinare al so bad it’s good dal vago retrogusto di scimmia in gabbia o alla nostalgica beatificazione del naif più ingiustificabile, questo è certo. Eppure la genuinità delle figure sgraziate, lo sforzo di costruire una continuity organica e coerente (nonostante la follia delle vicende), l’umorismo sospeso tra idiozia da vuoto pneumatico e geniale nonsense non possono non farti innamorare di questo fumetto nato per il web. Forse perché si avverte che senza la costanza di scrivere e disegnare centinaia di pagine in completa autonomia non potrebbe neppure esistere. Una faticaccia alimentata dall’amore sincero per il mezzo e per quello che rappresenta.



Ed ecco che tra velociraptor domestici, zombie, pirati, action anni ’80, Michael Jackson, tensioni familiari, gorilla/segretarie e tanta altra roba fa capolino una costante volontà di migliorarsi. Sempre più ingredienti messi nel grande calderone del dottore esperto di arti marziali, in un succedersi di story arc legati in maniera mai gratuita o troppo brusca. Esattamente come la psicologia del protagonista anche l’universo in cui si muove tutto il ricchissimo cast della serie acquisisce profondità di uscita in uscita. In maniera del tutto inaspettata e insperata, verrebbe da dire buttando un occhio alle premesse. Eppure il succedersi di trovata in trovata costruisce un immaginario solido, dove l’attività di medico del Nostro viene continuamente interrotta dall’ennesima bizzarra minaccia. McNinja è un eroe suo malgrado, ne farebbe volentieri a meno e non è neanche tanto bravo a farlo (però è bravissimo a insabbiare i suoi errori). Già il fatto che a sostenere tutto l’affresco narrativo ci sia un’unica (valida) idea centrale è qualcosa di inestimabile, tecnica predicata da tutti (in primis da Alan Moore nel suo celebre manuale di scrittura creativa) ma puntualmente dimenticata dai più.



Cercare di spacciare il lavoro di Christopher Hastings come imprescindibile sarebbe un’assurdità, così come sarebbe ingiusto relegarlo nel gratuito angolino del bizzarro fine a se stesso. Semplicemente Dr. McNinja diverte in quella maniera selvaggia e folle che si può ritrovare solo nei fumetti underground, dove l’importanza data alle logiche di mercato e alla ricerca di una presunta perfezione formale muoiono nel tempo in cui una nuova idea passa per la testa dell’autore.

venerdì 20 agosto 2010

Altro che l'americano! Yuthlert Sippapak's SATURDAY KILLER (Tha/2010)





Pare che quel geniale cialtrone di Yuthlert Sippapak (quello di Killer Tattoo, Buppha Rahtree, Pattaya Maniac, ...) ne abbia fatta un'altra delle sue. Ecco il trailer del suo nuovo capolavoro (perchè, a modo suo, Yuthlert dirige solo capolavori). Niente sottotitoli, ma è chiaro che gli ingredienti che hanno reso famoso il thailandese ci sono tutti: mash up estremo di generi, ruolo centrale per il fuoricasta/perdente, idiozia in dosi esagerate e regia costantemente sopra le righe. A cosa si riferisce il titolo? A questo. Trova le differenze.

mercoledì 18 agosto 2010

Eroi teneroni: Cat Shit One di Kazuya Sasahara (JP/2010)




Etichettare Cat Shit One come la solita follia nipponica significherebbe abbandonarsi alla superficialità più gratuita. In realtà la serie di Kazuya Sasahara (di cui per ora si trova solo il primo episodio, a cui si riferisce questo articolo) è un raffinatissimo detournement concettuale, atto a smitizzare almeno 30 anni di retorica e tonnellate di luoghi comuni. La genialità di questo prodotto sta nel fatto di essere assolutamente serio, nel non concedere nulla alla parodia o alla commedia. Quello che lo spettatore si trova davanti è un film bellico di estrazione moderna (ambientato nel 1991), interpretato da animali. Non ci sono gag, faccine buffe o uscite kawii. Nei 23 minuti di questa prima puntata trovate tutti gli ingredienti che vanno a comporre il tipico men-on-a-mission movie: i rinforzi che non arrivano, il nemico disumanizzato (con cui non è possibile comunicare), il sacrificio, l’esercito di due uomini, le battute virili quando tutto è concluso. La regia è sporca, tutta votata alla camera a mano e alle riprese da lunga distanza (a parte un paio di odiose cessioni al rallenty), mentre la colonna sonora punta al dramma e alle suggestioni etniche (soliti vocalizzi medio orientali).



Detto in altre parole: se al posto di teneri conigli ci fossero stati attori in carne e ossa non cambierebbe nulla. Ci sarebbero state le stesse sparatorie a senso unico, le stesse fughe dagli RPG, gli stessi interventi all’ultimo secondo. E proprio qui sta tutta l’ironia iconoclasta dell’operazione. Se la stessa cosa la può fare un batuffolo morbidoso, quanto bisogno c’è dell’eroe nerboruto?



E’ esattamente lo stesso meccanismo che ha reso celebre un altro feroce critico della società come Minoru Kawasaki, quello di The World Sinks Except Japan e The Monster X Strikes Back: Attack the G8 Summit. Il suo The Calamari Wrestler verteva esattamente sullo stesso meccanismo, basti il trailer qui sotto.







All’interno del genere sportivo siamo dalle parti di quel The Foul King che demoliva il sogno di rivalsa (un impiegato insegue i suoi sogni tentando la via del wrestling) sviando l’attenzione con abbondanti dosi di umorismo demenziale. Se in The Calamari Wrestler l’eroe era un essere completamente ridicolo, nel film coreano non esisteva proprio. Il protagonista poteva raggiungere il risultato tanto ambito, ma non ne risultava all’altezza (e anche qui la commedia si incunea al dramma). Percorso differente, arrivo medesimo: niente eroi.



Continuando a cercare parallelismi con Cat Shit One si potrebbe azzardare che certi eccessi degli ‘80 portino allo stesso risultato. Si considerino le cinematografie basate sul saccheggio (Italia, Hong Kong, Indonesia,…) dove si partiva da un canovaccio tipicamente statunitense per arrivare a risultati talmente estremi da sfiorare la parodia involontaria. Il John Woo di Heroes Shed No Tears (da non confondere con l’omonimo film prodotto dagli Shaw Brothers) riprende il modello del Real American Hero e lo rinforza con una tale dose di violenza e brutalità da creare un nuovo modello. Esattamente come successe con il poliziesco all’italiana nei confronti del modello Siegeliano (senza contare il confronto western/spaghetti western). Harry potrà essere una carogna a San Francisco, ma a confronto del Fabio Testi del Grande Racket non è che un principiante della giustizia sommaria. Opere talmente sopra le righe (nella loro estrema serietà) da attuare un sabotaggio interno al genere impossibile da ignorare, astraendole da ogni concetto legato alla vita reale e relegandole unicamente allo spazio ludico dell'immaginario collettivo. Dove teneri coniglietti possono interpretare spietati eroi in divisa da soldato.

martedì 17 agosto 2010

Another Place di Jonathan Wateridge









Fotografie di scena? No, dipinti a olio. Quel folle di Jonathan Wateridge si è costruito un film (genere catastrofico) nella sua testa, si è immaginato i retroscena e li ha dipinti su enormi tele 3 x 4 m. Giorni e giorni di lavoro meticoloso (che riprendere tutti gli step lavorativi di un vero film, con tanto di casting) per rappresentare qualcosa che guadagna la sua ragione d'essere in funzione di quello che succede in un altro luogo. Gran bel cortocircuito!

domenica 15 agosto 2010

Te lo do io il nyotaimori: Hiromi Ozaki e l'arte di servire il sushi




Nyotaimori è il termine usato per indicare l'abitudine di servire il sushi direttamente sul corpo di ragazze nude. Probabilmente a Hiromi Ozaki questa cosa non deve mai essere stata simpatica, tanto da inventare Sushiborg Yukari. Tale creazione non è null'altro che una ragazza artificiale la cui unica missione è quella di accontentare la clientela maschile del ristorante dove presta servizio. Peccato che la nostra Yukari sviluppi piano a piano una propria volontà, tanto forte da spingerla a massacrare senza pietà i suoi avventori tramite la sua micidiale sushi belt.



La solita follia da V-cinema? No, l'ultima performance di un'artista già nota per altre sue trovate come la
Menstruation Machine o il Crowbot Jenny. Aldilà del valore dell'opera di Hiromi Ozaki, praticamente una Mariko Mori senza i miliardi, quello che rimane impresso è ancora una volta come la cultura giapponese permetta la completa fusione tra linguaggio popolare e suggestioni da galleria d'arte d'avanguardia, senza dimenticare una localizzazione fortissima.




sabato 14 agosto 2010

Come gioco a World of Warcraft e faccio terrorismo politico: War on Internet Addiction





War on Internet Addiction è un mediometraggio di 64 minuti realizzato da una comunità di videogiocatori cinesi esasperati dalla censura sponsorizzata dal loro paese. Realizzato con mezzi di fortuna (le animazioni di World of Warcraft) l'opera punta il dito verso tutte le assurdità del governo cinese, tra cui la cura dell'elettroshock per chi risulta dipendente dalla rete (dipendenza che penso si manifesti con il bisogno di aprire blog politici o cose così...), filtri e altri scherzetti sul genere. Nonostante il medio sia pieno di difetti (principalmente un'eccessiva localizzazione, che non permette la perfetta comprensione di tutte le gag per chi non abita in Cina) è incredibile pensare come ancora una volta la creatività abbia permesso di sfondare limiti apparentemente invalicabili. Principalmente budget nullo e la legge ad alitare sul collo. Ora War on Internet Addiction sta facendo il giro del mondo, vincendo premi praticamente ovunque (compresa una menzione d'onore al File Festival) e attirando l'attenzione perfino del The Wall Street Journal. 3 mesi di lavoro, 100 volontari e un'idea comune in cui credere. Mica male per dei nerd!

venerdì 13 agosto 2010

W la censura? I Saw the Devil di Kim Ji-woon (Kr/2010)




Direttamente da AsianMediaWiki:



In terms of violence I Saw the Devil makes Sympathy for Mr. Vengeance look like a Disney film



E per la prima volta tutti sono felici del fatto che ben 7 minuti (STOP! Adesso pare che 7 siano i tagli totali, non il minutaggio) siano stati tagliati. I casi sono due:



1) solito marketing dello scandalo,



2) quel genio di Kim Ji-woon è riuscito a rendere belli e affascinanti il cannibalismo e la tortura. Per capire di cosa si stia parlando (in termini di estetizzazione della violenza) beccatevi questa sparatoria (sopportate l'audio fuori sincrono), probabilmente uno dei momenti più alti della carriera di questo grandissimo (e altrettanto sottovalutato) regista.

martedì 10 agosto 2010

[preorder] Trash Humpers di Harmony Korine





Qui trovate il preorder della nuova fatica di Harmony Korine, l'esempio più lampante di genio/cialtrone che il cinema moderno possa proporre. Trash Humpers pare una sorta di Gummo 2.0, girato astraendo ancora di più la materia originale. Niente Dragonaught, niente Burzum, niente fotografia, niente trama. Solo vecchi lerci e insopportabili. Unica sicurezza: la versione in VHS, duplicate e customizzate una a una dallo stesso Korine, è una figata.

sabato 7 agosto 2010

All my friends are dead

Il libro che non ho mai ricevuto da bambino. Qui ne potete sfogliare qualche pagina. Quanto è crudele la gag del pensionato?

giovedì 5 agosto 2010

Viva l'arte! Symbol di Hitoshi Matsumoto (JP/2009)




In Giappone Hitoshi Matsumoto è un famosissimo comico televisivo. Fuori dai confini nazionali invece lo si conosce soprattutto per Big Man Japan, il finto documentario sui mostri dei kaiju eiga. Opera acerba, eppure molto più interessante di tanti capolavori conclamati. Piena di difetti ma carica di una potenza iconoclasta impossibile da ignorare. Talmente fresca e fuori controllo da far soprassedere a regia rozza (e con rozza non si intende “fatta apposta per essere rozza”) e gestione del ritmo non certo frizzante. Tutto questo per arrivare al nuovo film di Hitoshi, Symbol, una follia tale da far apparire il suo non-certo-per-tutti debutto come scolastico e preconfezionato.



Symbol è uno di quei film dove il labile confine tra presa in giro delle classiche opere da art house (quelle dove cerchi di convincere chi è in sala con te di aver capito tutto solo per non passare per l’ignorante di turno) e narrazione con reali significati nascosti è labile come non mai. La trama è presto detta: Hitoshi Matsumoto si sveglia in un enorme stanza dalle cui pareti spuntano decine di piccoli peni. Ogni organo stilizzato è un tasto a cui corrisponde una funzione. Nel frattempo il montaggio alternato ci tiene aggiornati sulle vicende di Escargot Man, un lottatore di lucha libre idolo dei bambini (non è vero, è l’idolo solo di suo figlio). Tutto qui. Il prigioniero, interpretato dallo stesso regista, riuscirà a scappare dalla sua prigione e l’atleta mascherato avrà il suo momento di gloria. Finale scontato? Vi assicuro di no.



Durante la visione squarci di autentica visionarietà si alternano a parentesi di un’idiozia quasi irritante, andando ad affastellare significati su significati. L’impressione è quella di avere a che fare con una parodia di tutta l’avanguardia nonsense nipponica, corrente capace di unire il mainstream (il divertente Survive Style 5+) all’underground più nascosto (il notevole Electric Dragon 80.000 V). Una pletora di film a cui si tende a perdonare tutto solo in virtù della loro provenienza. Hitoshi Matsumoto pare essersene reso conto e, dopo aver colpito al cuore il mito dei mostri giganti, cambia obbiettivo per i suoi attacchi alla soda caustica. Potrebbe non essere così, ma i significati che emergono dalla visione sono talmente didascalici da preferire l’ipotesi del raffinato mimetismo (scopo sabotaggio) alla favoletta morale su casualità e gradi di separazione.



Nonostante non si riescano bene a capire le reali intenzioni del regista è indubbio che il Nostro abbia già sviluppato una poetica ben precisa, sia a livello di regia che di sceneggiatura. Hitoshi Matsumoto riesce a essere autore demolendosi in continuazione, facendo di tutto per sminuirsi. Un percorso simile a quello del suo collega Takeshi Kitano. Una svalutazione continua dell’artista portata avanti da due figure nate dalla comicità televisiva, ora ricercati ospiti dai festival di tutto il mondo. Quale sia il fine ultimo di tale operazione al momento mi sfugge, ma far vedere agli amici Symbol e far credere loro di aver capito il senso è uno spasso.



Nota: il film magari non vi piace, ma le magliette disegnate da Nigo (quello della Bathing Ape) e ispirate al protagonista sono imbattibili.




mercoledì 4 agosto 2010

Dalla Cina con furore: Chairman Ca










Dalla scuderia Special Comix arriva il fenomeno Chairman Cha. Vi assicuro che la storia compresa tra le pagine del volume balenottero è ancora meglio delle immagini qui sopra. Luna park in putrefazione, deformità, motoseghe e animaletti carnivori.

domenica 1 agosto 2010

C'era una volta Chow Yun Fat: Once a Gangster di Felix Chong (HK/2010)





The Mission di Johnnie To rappresenta qualcosa di enorme per il noir di HK. Il passaggio da un cinema fatto di eroi romantici, caricatori infiniti e sentimenti estremi a un minimalismo che ne è l’esatto opposto. Figure tridimensionali, pochi colpi sparati e tanti silenzi (o altrettante chiacchiere, tanto il risultato è lo stesso). A sua volta la trilogia di Infernal Affairs ne era lo sviluppo ulteriore, ovvero il passaggio da film di nicchia a trilogia dal meritato successo planetario (non fa nulla se in Italia non se l'è cagata nessuno, ormai la sua particina in un certo tipo di immaginario collettivo è indubbia). Cambiano gli incassi ma il succo rimane, anche se diluito. Da questo punto in avanti la strada è in discesa, con sempre meno piombo nell’aria e sempre più antieroi fallaci a riempire lo schermo. In questo senso il meglio è rappresentato da PTU, del solito To. I poliziotti meno eroici che possiate trovare nel cinema moderno. E, proprio per questo, indimenticabili. (piccola nota personale: se non avete mai visto PTU fatelo immediatamente. Non avete idea della fortuna che avete nel poterne godere per la prima volta)



Il passaggio successivo al ridimensionato delle sparatorie fiume e dei balletti di morte ne fu la totale eliminazione, sempre da parte di Johnnie. Si sta parlando del nerissimo e politico Election (1+2). Dove non si spara un colpo di pistola ma succedono cose terribili. Le triadi perdono tutto il loro fascino e incominciano ad apparire per quello che sono: una vasca di squali spietati travestiti da uomini d’onore.



Once a Gangster è il passettino dopo, la desacralizzazione definitiva della vita criminale. Geniale fin dalla trama, capace di fondere tra loro (e di irriderli senza pietà) gli stessi Election e Infernal Affairs. Tutto parte da una domanda meno scontata di quello che sembra: e se nessuno volesse diventare il nuovo padrino della Triade? Il vecchio leader ha lasciato un debito imbarazzante e ora occorre qualcuno capace di riportare l’organizzazione ai vecchi fasti. Peccato che i due candidati migliori non ne abbiano la minima intenzione. Jordan Chan, il più dotato dei picciotti, intende gestire la sua catena di ristoranti mentre Ekin Cheng, il predestinato storico, vuole studiare economia. Rimane il ritardato Conroy Chan Chi-Chung, manovrato da un poliziotto infiltrato senza scrupoli. Altro che il rispetto e l’onore di Tony Leung.



Nonostante il tono sia sempre divertito non si sconfina mai nella parodia più pura, a dimostrazione dell’intelligenza di chi lo ha scritto e diretto (Felix Chong, già sceneggiatore di IA 1,2 e 3). Se siete nerd del genere godrete nello scovare tutte le raffinatissime citazioni (molto belle quelle relative alla fotografia) mentre tutti gli altri si troveranno tra la mani un anti-Padrino con gli occhi a mandorla. Se il tono fosse stato leggermente più amaro non sarebbe stato fuori luogo un parallelismo con i Battles Without Honour and Humanity (qui il link al leggendario tema della pentalogia) di Kinji Fukasaku (ma andrebbero bene anche il meno epocale Cops vs. Thugs o il bel Yakuza Graveyard). Una regia frizzante e ricca di trovate allontana definitivamente il tutto dal triad movie tradizionale, ponendosi quasi come parodia del giovanilismo "cool" della serie Young and Dangerous (citato letteralmente come ispirazione da uno dei protagonisti!).



Non un capolavoro, ma una mossa coraggiosa e fresca. L’intrattenimento puro incontra il cinema più teorico, elevando lo sbeffeggio a livello di teorema geometrico. I riferimenti sono talmente numerosi e di una precisione tale che è impossibile siano tutti il frutto di un brainstorming ad alta gradazione alcolica. Probabilmente il noir più frizzante, iconoclasta e colto dell’anno.