giovedì 30 luglio 2009

Soi Cheang a Venezia!

Quel mito vivente di Marco Muller ne ha combinata un'altra delle sue: ammettere in competizione a Venezia il nuovo Soi Cheang (prodotto da To). Va bene, c'è anche Tetsuo3, ma Tsukamoto ormai in laguna ci abita... Per capire cosa ci aspetta invece con il giovane Soi (per i mangofili, Soi è il regista del film di Shamo) beccatevi i trailer qui sotto. Puro HK style: tutta pancia, con i difetti e i pregi del caso.













Jack Black e il viral marketing





Che il viral marketing abbia bellamente sfondato i maroni è dato di fatto. Ogni giorno decine di filmati cercano di farsi avanti a gomitate, nella speranza di catturare qualche click più degli altri. E così avanti con finte evoluzioni atletiche, carinerie da plotone d'esecuzione e umorismo alla Johnny Knoxville (una delle piaghe dell'umanità). Tutto puntualmente cestinato. Per fortuna ecco l'esimio prof. Jack Black, arrivato in tempo per spiegarci come funzionerà la promozione di domani: per vendere un videogioco forse è il caso di mostrare il videogioco, perchè quando ci spendo 60 euro dell'esperienza virale me ne faccio una sega.

martedì 28 luglio 2009

Quante possibilità ci sono che i Raised Fist siano diventati simpatici?

Solitamente quando un gruppo fa due dischi uguali smetto di seguirlo. Sarà da snob ma è più forte di me. Sono solo due le band che hanno saputo sfuggire a questa regola ferrea: gli Zeke e i Raised Fist, che avrei pagato di tasca mia per incidere ogni volta lo stesso disco con una copertina diversa (che deve essere più o meno il ragionamento del Marduk fan medio). Peccato che i primi ce li siamo giocati, i secondi abbiano deciso di fare di testa loro. Così dopo Dedication (il disco swedish HC per eccellenza, composto da 11 concentrati di pura ignoranza identici tra loro) siamo passati al più intelligente (palloso) Sound of the Republic. Super bello, gran tentativo di evolversi, adesso però tornate alla batteria tupatupatupa e alle vocals sparate a 3000.



Ma veniamo a noi: da pochi giorni potete scaricare dal loro Myspace una traccia dell'imminente Veil of Ignorance. Quante possibilità ci sono che i Raised Fist siano diventati simpatici? Perchè se è uno scherzo non fa ridere.

lunedì 27 luglio 2009

Dr. McNinja: qualcosa che non avreste mai immaginato di leggere

Va bene, non è Watchmen. Ma vi assicuro che Dr. McNinja una manciata di minuti li merita. Primo perchè è gratis, secondo perchè è la cosa più genuinamente folle che abbia letto negli ultimi tempi, terzo perchè le magliette ufficiali sono una bomba. Sotto la dimostrazione.



Sushi! di Andrew Bell

Grandioso vinyl toy da parte dello skater Andrew Bell. Qui il sito ufficiale. Speriamo di trovarlo presto in vendita presso i soliti KidRobot o MyPlasticHeart. E che magari costi qualcosina di meno delle action figure di Ashley Wood, che sono strafiche ma costano quanto un rene.

domenica 26 luglio 2009

Assault Girls: il ritorno di Mamoru Oshii





Quello che trovate qui sopra è un cortometraggio del 2007 diretto dal Maestro Oshii. La bella notizia è che entro la fine dell'anno potremmo vederci la versione lunga, diretta sempre dalla mente geniale dietro ad Avalon (per rimanere in ambito live action). La news ancora migliore è che sul recente dvd giapponese dell'antologia televisiva Kill (in cui Mamoru produce il tutto e dirige un segmento, vedi il trailer qui sotto) si trovano alcuni screenshot del nuovo lungometraggio. Li trovate qui. Penso che il netto miglioramento sia sotto gli occhi di tutti. A questo punto non rimane che aspettare!




sabato 25 luglio 2009

Una pubblicità, due punti di vista









Sopra la patetica versione israeliana, sotto quella un pelino più realistica palestinese. C'è dell'umorismo in tutto questo.

mercoledì 22 luglio 2009

[queerpornohorrormovie] Otto; or, Up with Dead People di Bruce LaBruce (Ger/Can/2008)




Otto non è quello ci si aspetta. Non è il solito trashone fatto di zombie, sangue e carnazza al vento (omo o etero che sia). Non è neppure un morboso porno gay fatto di corpi sudati e fluidi corporei. Otto; or, Up with Dead People è un film toccante, complesso, politico e molto più sovversivo (per linguaggio e contenuti ) di quello che si potrebbe pensare.



Tutto parte dal pellegrinare dello zombie adolescente Otto. Senza memoria (a parte occasionali flashback che ci rivelano il suo essere gay) e privo di piani per il futuro decide di dirigersi verso la capitale alternativa d’Europa: Berlino. Qui incontrerà la regista indipendente Medea, assieme a tutta la sua stralunata ciurma di artisti (prima fra tutti la fidanzata Hella, muta e in bianco e nero), che lo coinvolgerà nel suo ultimo capolavoro: Up with Dead People, cronaca dell’insurrezione degli omozombie nei confronti del mondo borghese.



Il regista Bruce LaBruce, noto per i suoi lavori a metà tra pornografia queer e avanguardia, costruisce una scatola cinese funambolica, dove trovano posto le vicende di Otto, il metafilm Up with Dead People, il making off di questo, veri filmati di bombardamenti e alcuni corti della protagonista femminile. Se in principio i confini sono ben definiti, mano a mano che l’opera procede questi si fanno sempre più sfumati, fino all’inevitabile cortocircuito finale. Nonostante i ritmi più da video arte che da cinema di genere, la cura formale dedicata all’insieme è strabiliante. Dai deflagranti simbolismi (Otto che si aggira senza meta in un parco pieno di finti dinosauri all’abbandono, il primo morso dato alla carne proprio nei pressi di un crocevia) alla numerose trovate meta filmiche (si passa da vere riprese notturne al classico effetto notte senza soluzione di continuità, la regista Medea da ordini al vero cameraman che riprende il cameraman all’interno del lungometraggio) tutto è calcolato al millimetro, compresa una stupenda colonna sonora capace di fondere suggestioni gotiche, pop minimalista e feroci abrasioni power noise.



Quello che colpisce maggiormente è come, nonostante diverse scene di sensualità esplicita e non certo carica di romanticismo, in primo piano ci siano sempre i sentimenti dello zombie Otto. Per rendere ancora più esplicita questa scelta esistenzialista LaBruce si rifugia in alcuni espedienti solo all’apparenza scontati: in un film quasi totalmente desaturato la scelta di rendere i flashback sudaticci, ipercolorati e dalla carica ormonale strabordante (come dovrebbero essere i ricordi adolescenziali di chiunque) ha un effetto straziante, proprio come le laconiche e statiche scene delle nottate passate immobile, incapace di dormire e privo di qualsiasi contatto umano (se non nei ricordi) ci ricordano quando deve essere duro risvegliarsi dalla morte.



Una grande prova per il cineasta canadese. Un’opera che si stacca con violenza da cliché e luoghi comuni di ogni ceppo da cui nasce, e per questo (tra gli altri motivi) giustamente premiata con il premio come miglior film al Mix Gay Film Festival di Milano dello scorso anno.




lunedì 20 luglio 2009

[kick-ass movie] Rolling Thunder di John Flynn (Us/1977)


Rolling Thunder si pone in pieno filone post Vietnam, esattamente nel centro del triangolo formato dal grim & grit Combat Shock di Buddy Giovinazzo, l’exploitation Apocalisse Domani di Margheriti e i muscoli del Rambo di Ted Kotcheff.



Dopo sette anni di Vietnam il maggiore Charles Rane torna in Texas. Scoprirà a suo malgrado che la patria per cui ha perso la sanità mentale non è la stessa di quando è partito. Un gruppo di malviventi messicani gli sterminerà la famiglia e gli mutilerà la mano, tutto per i 2555 dollari d’argento tributati dal piccolo paese all’eroe locale. Al Nostro non rimarrà che armarsi di doppietta a canne mozze e uncino, ric
hiamare un vecchio compagno d’armi e prendersi la meritata vendetta.



Il film di John Flynn procede con il ritmo lento e sinuoso tipico di certa cinematografia americana del periodo (primo su tutti il mitologico Punto Zero), alternando lunghi silenzi ai flashback della prigionia Vietnamita del protagonista. Una fotografia spenta e sporca ci restituiscono il ritratto perfetto di una società alla deriva, mantenendosi però all’interno dei limiti imposti dal cinema di genere. Perché alla fine Rolling Thunder è proprio questo, un magnifico film di genere. Inequivocabile come un uppercut.



Nonostante la matrice seria e drammatica della vicenda, l’amante del rape’n’revenge (variante maschile, alla Da uomo a uomo di Giulio Petroni) andrà in brodo di giuggiole nel vedere il maggiore Charles Rane e il caporale Johnny Vohden rimettersi in divisa per l’ultima volta, pronti a scatenare l’Inferno sulla Terra. La critica all’assurdità della guerra è solo motore per un gioco al massacro che non ha nulla di politico, ma sfrutta gli eventi del mondo reale per costruire due antieroi disillusi e fuori tempo massimo, al limite del grottesco. Un soldato che sopravvive a sette anni di vita militare finisce per perdere la mano nel tritarifiuti del tranquillo tinello casalingo, incapace di reagire alla violenza fisica se non pagandone lo scotto con lo squilibrio mentale. Ogni scusa per richiamare l’orrore di quei giorni è buona, rischiando di trasformare una chiacchierata nel capanno degli attrezzi in una sessione di tortura.



Questo capacità disgraziatamente leggera di trattare quello che all’epoca era il più delicato degli argomenti rende Rolling Thunder un perfetto kick-ass movie. Cattivo, slegato da certa mentalità che ricerca la perfezione nel medium cinematografico e capace di iscriversi istantaneamente nell’immaginario dello spettatore. L’umorismo (volontario o meno) è sgradevole e strisciante, mai esplicito o liberatorio. Come una sorta di Mucchio Selvaggio svuotato dalle evoluzioni tecniche di Bloody Sam e privo della disarmante potenza metaforica del capolavoro crepuscolare in questione.




venerdì 17 luglio 2009

Minirecensioni da sovraccarico lavorativo: 5 grandi dischi che non ha cagato nessuno

In rigoroso ordine di apparizione:






Medulla Nocte – Dying from the Inside (Copro Records/2000)



Uno dei più grandi dischi metalcore dello scorso decennio. Claustrofobico, informe, sofferente. Tutto il contrario di quello che finiva nelle classifiche alternative fino a poco tempo fa. Incredibile prestazione vocale di Paul Catten, all’epoca ricoverato presso un ospedale psichiatrico (per la registrazione del disco fu necessario arrotondare tutti gli spigoli dello studio), autentico alienato in un mare di finti emarginati.






Beecher - Breaking the Fourth Wall (Calculated Risk/2003)



Altra gemma proveniente dalla Terra d’Albione. Tra le poche band capaci di aperture melodiche veramente significative, nonostante un involucro di ferocia e rumore quasi impenetrabile. Il postcore incontra il grind e il pop. Il risultato non è esente da difetti, ma sprigiona classe infinita. Peccato per la déblàcle dell’album successivo (nonostante la produzione di Kurt Ballou dei Converge), soffocato dalle sue stesse velleità intellettuali.






Labrat – Ruining it for everyone (Visible Noise/2003)



Solo in Inghilterra una band potrebbe puntare al successo con titoli del calibro di Diary of a piss drinker . Per di più sbattendo su disco una mistura oscena di grind, sludge e putridume assortito. Slabbrati e liquidi come i primi Cattle Decapitation, giocavano sul baratro tra estremo e modaiolo già 6 anni fa. Troppo presto.






Terminally Your Aborted Ghost – Slowly peeling the flesh from the inside of a folded hand (Macabre Mementos/2005)



Se questo non lo conoscete un motivo c’è. Un abominio. Non esiste altra parola per definirlo. Se pensate che il top dello scellerato siano i Cannibal Corpse, allora preparatevi ad allargare i vostri standard. Eppure in questo disco non esiste qualcosa che sappia di già sentito, le canzoni sono miniere di idee e la volontà di sfondare i confini dell’accettabile è tangibile e sincera. Tanto basta per farne un cult.






Dr. Doom – S/T (CrashLanding Recs./2007)



Supersonici, eppure miracolosamente piacevoli. Arrivano da Amsterdam e suonano come un incrocio tra Nasum, Gadget e Sayyadina. Intelligenza a tonnellate, lo dimostrano le 3000 chicche disseminate in questo EP, eppure la foga pare inarrestabile. La più grande grind band di domani?

giovedì 16 luglio 2009

Wapakman: quando il super eroe è filippino


Premio miglior teaser dell'anno. Topel Lee riesce a infilare in un minuto l'effetto speciale più economico di sempre (sono sicuro che a Hollywood avrebbero pagato milioni di dollari per raggiungere i risultati che qui si hanno con un semplice effetto sonoro in post produzione e un compressore) e un senso dell'umorismo che non può non ricordare il cult Mr. Suave: Hoy! Hoy! Hoy! Hoy! Hoy! Hoy! (pellicola filippina totalmente demente, vista anche in Italia su Comedy Central). Il risultato è grandioso, genuino e politicamente scorrettissimo. Cosa chiedere di più?

lunedì 13 luglio 2009

Minirecensioni da sovraccarico lavorativo: Bronson di Nicolas Winding Refn

Immaginate Chopper di Andrew Dominik diretto da Sorrentino, innestatelo con una bella dose di Samuel Fuller e pensate che a mandare avanti la baracca c'è il genio dietro alla trilogia Pusher. Per chi non lo sapesse, l'eterno emergente Nicolas Winding Refn. Direzione degli attori annicchilente, equilibrio tra dramma, grottesco e commedia misurato con il bilancino da spacciatori. Capolavoro no, ma grande cinema sì. Anche se ormai la combo carrellata laterale più mazzate è copyright di Park Chan Wook.

sabato 11 luglio 2009

Star Wars: chiamata alle armi per il remake collettivo

Il meccanismo è semplice: cliccate qui e scegliete una delle 472 clip da 15 secondi in cui è stato diviso A New Hope. Una volta che avete prenotato quella che più vi aggrada giratene il remake e inviatelo a Casey Pugh, ideatore di questa genialata. Una volta che tutti i segmenti saranno completati il film verrà rimontato integralmente e messo in download gratuito. Inutile dire che non vedo l'ora.



La libertà data è assoluta, unica richiesta è la tempestività. Nelle prime 48 ore di apertura del sito al pubblico (2 giorni fa) sono state già scelte 218 scene. Considerate che il fondatore si è già beccato quella della cantina, quindi niente comparsata della band grind core di vostro cugino .

venerdì 10 luglio 2009

[trailer] Dopo Chocolate... Raging Phoenix (Tha/2009)


E' tornata. Dopo Chocolate pare che in Thailandia si siano decisi a investire di brutto su JeeJa Yanin. E così ecco il suo film su misura: romantico, stiloso, ggiovane. Speriamo ci siano anche le mazzate.

mercoledì 8 luglio 2009

Metal: A Headbanger's Journey/Global Metal di Sam Dunn e Scot McFadyen






Dopo questa doppietta Sam Dunn e Scot McFadyen sono ufficialmente diventatati i miei documentaristi preferiti. E non è solo una questione di gusti musicali.



La ricetta è di una semplicità lapalissiana: prendi un argomento che tutti conoscono ma snobbano, analizzalo in modo serio e rigoroso, mantieni un tono divertente/divertito, dimostra di esserne il primo fan e lascia da parte didascalismi e luoghi comuni. Tutti ingredienti che paiono ben noti a Sam, nostra guida in questi due viaggi nel mondo metallaro.



Un antropologo trentenne cresciuto a pane e Iron Maiden, voglioso di passare dalle tribù del Sud America alle legioni di metalheads che punteggiamo tutto il globo. Grazie alle testimonianze di leggende viventi (da Lemmy a Dio, passando per Tony "Diabolus in musica" Iommy), mostri sacri (Slayer, Motley Crue,..) e qualche capatina più new school (Slipknot, Lamb of God,…) si riesce a dare una descrizione credibile e approfondita del suono metallico, senza scadere nel fanatismo o nel paternalismo. Colpisce parecchio l’intelligenza e l’acume degli interlocutori, ma considerando che rischia di fare questa figura anche George Fisher viene da pensare quanta parte del merito sia dei due registi (scherzo, tutti gli intervistati dimostrano di essere degni della loro fama). Coraggiosa la scelta di dare spazio a realtà poco giustificabili come il black metal, anche se la demenza dei Mayhem risulta spassosa più che intimidatoria. Mitico Gaahl dei Gorgoroth, competamente preso nel suo ruolo di elitista misantropo.



Durante i 90 minuti del documentario si ride, ci si esalta, si pensa (tanto) e si rimane basiti di fronte alla potenza di un fenomeno simile. Sia che voi indossiate una maglietta dei Bathory o meno, cosa assolutamente non scontata.



Ancora meglio la seconda fatica del duo: Global Metal. Messo completamente da parte l’aspetto da fanservice, rimane un’analisi commovente (non ho sbagliato parola) e sentita della globalizzazione attraverso il rock duro. Se le trasferte in Brasile e Giappone sono divertenti ma risapute, le sortite in Israele, Indonesia, Cina, India e Dubai hanno moltissimi punti di interesse. Il passaggio dal folklore moderno del Sol Levante alle moschee lascia spazio a riflessioni più serie, dalla libertà di pensiero e alle guerre religiose. Dopotutto quanti di noi si sono fermati a riflettere su cosa significhi Angel of Death per un ragazzo israeliano? Su cosa abbiano provato quei ragazzi indiani con la fortuna di poter assistere al primo concerto metal nella storia del loro paese (Iron Maiden nel 2008)?



Stupendo l’imbarazzo di Sua Imbecillità Lars Ulrich quando viene messo al corrente che in molte nazioni i ragazzi possono accedere alla musica dei Metallica (e a tutto ciò che è “occidente”) solo tramite il download illegale, unica finestra sul mondo per chi vive in regimi totalitari di stampo politico o religioso. [Ricordo a tutti l'azione legale da parte dei Four Horsemen nei confronti di Napster].



Non un documentario politico/sensazionalistico, ne un filmino amatoriale di qualche esaltato. Semplicemente un trattato di antropologia moderno e molto più importante di quanto i suoi stessi autori possano credere. Da recuperare (sopratutto Global Metal), per mettere in moto il cervello oltre che la chioma.

lunedì 6 luglio 2009

Nuovi compendi pop: Otaku Mag



Otaku è un magazine indipendente che funge da perfetta dimostrazione dei nuovi standard nel campo della pop culture. Privo di numerazione, si articola in uscite tematiche che ne definiscono forma e sostanza. Prendiamo il play issue, incentrato sull’immaginario videoludico. Il volume mantiene il suo formato pocket, ma questa volta si arricchisce di un poster in A2 (a opera delle superstar berlinesi della pixel art Eboy) e di un dvd interattivo. Nel dischetto troverete una succosa compilation di tracce riconducibili alla scena chiptune (musica elettronica lo-fi realizzata con vecchie consolle, con una predilezione particolare per il GameBoy) composte e registrate da artisti provenienti dai quattro angoli del globo, una lunga serie di video relativi alle esibizioni dal vivo di tale branca (tutte le riprese sono effettuate presso il Blip Festival di New York), parecchi trailer di videogiochi indipendenti (sezione molto, molto interessante) e ancora numerosi extra. Il creatures issue invece comprende adesivi dedicati al character design e un paper toy, mentre il kaidan issue ci suggestiona con una compilation di musica “fantasmatica” (anche in questo caso gli artisti coinvolti spaziano degli Stati Uniti all’Italia, passando per Giappone e Germania). Tutto senza dimenticare che ogni volta il volume si compone di più di 130 pagine farcite di manga, articoli e illustrazioni (nel play issue c’è pure un disegno esclusivo di Hayao Miyazaki). Non male per una pubblicazione autoprodotta.



Il fatto poi che una tale piccola gemma venga da un paese in via di sviluppo come la Romania ci dice molto di come stiano cambiando le carte in tavola. I vecchi punti di riferimento non esistono più, la globalizzazione sta permettendo miracoli prima neppure concepibili. La microeditoria ha infranto i limiti delle nazioni con la vendita online e, ora come ora, concepire una pubblicazione di questo genere limitata ai propri confini è una follia. Contributi da ogni parte del mondo garantiscono una pluralità di voci perfetta per definire i nostri tempi, mentre la multimedialità ci restituisce un ritratto perfetto del sovraccarico sensoriale a cui siamo sottoposti ogni giorno. Oltretutto il mercato si è allargato a dismisura, garantendo una competitività a dir poco salutare.



Se vuoi che la tua pubblicazione venda devi offrire qualcosa di più, non ci sono scappatoie, sia che si tratti di un packaging da urlo o di contenuti introvabili da nessun’altra parte. L’acquisto deve essere spinto dal desiderio di possedere qualcosa di unico e insostituibile, che ci renda felici nel momento in cui lo sfogliamo nel mondo fisico. In un'epoca dove uno dei problemi maggiori è la volatilità e la quantità esagerata di dati e informazioni a nostra disposizione, l’aspetto concreto della cultura ricopre più che mai un ruolo di primaria importanza (perché, nonostante possa scaricare centinaia di dischi al giorno, quelli che conosco meglio e amo di più sono quelli che possiedo su supporto ottico/magnetico/vinilico?). Per fortuna i bit non sono ancora riusciti a sconfiggere la sacralità della carta stampata.

domenica 5 luglio 2009

Il fumetto più bello del mondo




Pensate a un volume composto da 4 tipi di carta (diversi per grammatura, colore, porosità, formato).



Che cambi grandezza in continuazione, passando dalla strip alla quadrupla anta cartonata.



Con una sorpresa ad ogni pagina (cartoline, stampe metallizzate, superfici lucide).



Che raccolga più di quaranta artisti da ogni parte del mondo, divisi tra fumettisti, illustratori, graphic designer, pittori, registi e musicisti.



Dove trovate un dvd farcito di corti, videoarte, musica e suggestioni.



Che sia lo stadio finale di un progetto a cui hanno collaborato, tra gli altri, un pittore attualmente esposto alla Biennale d’Arte di Venezia, un noto copertinista/sceneggiatore di casa Vertigo, una vincitrice di un Gran Premio della Giuria a Cannes, un simbolo del fumetto indipendente spagnolo, un paio di disegnatori Image e una serie di altri fenomeni.



A luglio su Mega.

venerdì 3 luglio 2009

Avanguardia pop: The Paper Chase - Someday This Could All Be Yours Vol.1 (Southern Rec./2009)

Non uno dei soliti dischi che trovate recensiti su questo blog. Anzi, per dirla tutta, qui si parla di un disco che di “solito” non ha proprio nulla. Dopotutto i texani The Paper Chase hanno sempre goduto come pazzi nel mettere in difficoltà chi tentava di decifrarli, dai loro spigolosi esordi fino all’accessibilità dell'ultimo Someday This Could All Be Yours Vol.1 (prima parte di un concept sulle calamità naturali).



Questa volta il produttore/mastermind John Congleton supera se stesso, restringendo ulteriormente la linea divisoria tra genio e buffone. Pensate a una band emo (e per emo si intende angst adolescenziale alla Texas is the Reason, Cursive, The Get Up Kids e Far) pericolosamente propensa al melodramma kitsch che si ritrova casualmente a suonare con un’orchestra stonata, un gruppo rumorista e una cover band dei Sonic Youth. Aggiungete un senso dell’umorismo nerissimo e praticamente privo di tatto, la volontà di sbrodolare tutto lo sbrodolabile e avrete questo Someday This Could All Be Yours Vol.1. Irritante a tratti, affabulatore in altri. Capace di alternare frangenti tanto banali da risultare geniali e genialità tanto spinte da cadere nella banalità. Confusi? Tranquilli, è normale quando sia ha che fare con la controparte audio di Southerland Tales. Come il film di Richard Kelly si arriva alla fine senza sapere se l’esperienza sia stata piacevole o meno, indecisi se cedere al fascino dell’imperfezione.



Tra le sicurezze abbiamo il piccolo capolavoro I'm Going To Heaven With Or Without You (The Forest Fire), sintesi ultima del disco e sgangherata operina da teatro in decadenza. Una traccia fenomenale che sfrutta a pieno i limiti vocali di John Congleton, convincendoci che il suo essere naif è la cosa migliore che poteva capitare ai The Paper Chase. Fatevi piacere questa canzone e probabilmente adorerete anche il resto del lavoro, fatevela scivolare addosso con noncuranza e preparatevi a defenestrare il cd.



Si potrebbe parlare ancora a lungo di questi dieci viaggi in una mente forse fin troppo creativa, ma non sarebbe altro che un continuo alternare di termini antitetici. Giochino tanto divertente le prime tre righe quanto stucchevole sulla distanza. Tanto vale procurarsi il cd e goderselo. Male che vada avrete l’ennesima dimostrazione di quanto ci sia ancora da ascoltare.