Lo si dovrebbe definire un nobile fallimento. Nato dall’inarrestabile carica creativa di Tsui Hark e diretto da uno sconosciuto Tai Kit Mak, The Wicked City rappresenta il tentativo di far entrare il cinema dei mostri in latex nella sua fase adulta. Il risultato è un’opera sbilanciata e incerta, eppure dotata di quel fascino indispensabile a renderla oggetto di culto. Un po’ come successe con l’azzardo di tre anni prima quando, sempre Tsui Hark, produsse una versione live action delle commedie con robot giganti tipiche dell’animazione nipponica (guardatevi il trailer e invidiatemi il dvd originale, acquistato in un oscuro negozietto di HK).
Tornando a The Wicked City, la differenza più grossa rispetto alle varie uscite di Nam Nai Choi e compagnia gommosa è la presenza invadente del melodramma come parte integrante dell'opera. I due protagonisti, agenti di una presunta squadra antimostri, hanno entrambi un trascorso burrascoso legato a doppia mandata con la loro occupazione. Se il primo è figlio di una coppia mista, il suo compare vive nel rimorso di aver vissuto una storia d’amore oltre le linee nemiche. L’importante, per Tsui, è eliminare le logore spartizioni tra buoni (noi) e cattivi (loro). Così scopri che esistono divisioni interne anche tra le fila degli altri. Non tutti vogliono schiacciare la razza umana spacciando una potentissima droga (anche questa è una bella novità, per una volta l’alterità mostruosa è capace di pensare e non si limita a un temperamento bestiale). Esistono mostri capaci di sacrificare la propria vita per amore e il bene comune. A pensarci bene gli invasori fanno una figura migliore di noi uomini piccoli piccoli. Tanto chiusi e razzisti da non comprendere fino alla fine che l’unico modo per vincere la battaglia è la cooperazione.
Siamo alle prese con argomenti decisamente più profondi di quelli affrontati solitamente dal genere, soprattutto se si considera che vengono filtrati con il tipico piglio da mélo cantonese. Nessuna sfumatura quindi, ma solo passioni estreme. Come si è già detto: le intenzioni sono ottime, peccato che il risultato risulti un poco macchinoso. Più che emotivamente devastante siamo dalle parti del bizzarro gratuito. Pensare di vedere compressi in 86 minuti di pellicola antipodi che vanno dalle dichiarazioni d’amore in punto di morte a una donna mutata in flipper (per farsi sbattere dall’amante, giuro) richiede veramente un palato abituato a sapori speziati.
Come ci urlano in faccia alcune trovate clamorose nelle scene più concitate Tai Kit Mak alla regia si conferma un prestanome del Maestro. Anche a livello di linguaggio, duole dirlo, siamo nell’altalenante più puro: se certi movimenti di macchina e gli effetti speciali più artigianali (i mostri liquidi fatti con il cellophane sono genio allo stato puro) ti stampano in faccia un sorriso soddisfatto da bamboccio ebete, passaggi in una CGI paleolitica e frequenti stacchi casuali hanno l’effetto di un calcio alla bocca dello stomaco.
Un recupero obbligatorio per i completisti delle stranezze cinematografiche e gli amanti degli ibridi improbabili. Per tutti gli altri meglio ripassarsi capolavori come questo, questo o questo.
Tornando a The Wicked City, la differenza più grossa rispetto alle varie uscite di Nam Nai Choi e compagnia gommosa è la presenza invadente del melodramma come parte integrante dell'opera. I due protagonisti, agenti di una presunta squadra antimostri, hanno entrambi un trascorso burrascoso legato a doppia mandata con la loro occupazione. Se il primo è figlio di una coppia mista, il suo compare vive nel rimorso di aver vissuto una storia d’amore oltre le linee nemiche. L’importante, per Tsui, è eliminare le logore spartizioni tra buoni (noi) e cattivi (loro). Così scopri che esistono divisioni interne anche tra le fila degli altri. Non tutti vogliono schiacciare la razza umana spacciando una potentissima droga (anche questa è una bella novità, per una volta l’alterità mostruosa è capace di pensare e non si limita a un temperamento bestiale). Esistono mostri capaci di sacrificare la propria vita per amore e il bene comune. A pensarci bene gli invasori fanno una figura migliore di noi uomini piccoli piccoli. Tanto chiusi e razzisti da non comprendere fino alla fine che l’unico modo per vincere la battaglia è la cooperazione.
Siamo alle prese con argomenti decisamente più profondi di quelli affrontati solitamente dal genere, soprattutto se si considera che vengono filtrati con il tipico piglio da mélo cantonese. Nessuna sfumatura quindi, ma solo passioni estreme. Come si è già detto: le intenzioni sono ottime, peccato che il risultato risulti un poco macchinoso. Più che emotivamente devastante siamo dalle parti del bizzarro gratuito. Pensare di vedere compressi in 86 minuti di pellicola antipodi che vanno dalle dichiarazioni d’amore in punto di morte a una donna mutata in flipper (per farsi sbattere dall’amante, giuro) richiede veramente un palato abituato a sapori speziati.
Come ci urlano in faccia alcune trovate clamorose nelle scene più concitate Tai Kit Mak alla regia si conferma un prestanome del Maestro. Anche a livello di linguaggio, duole dirlo, siamo nell’altalenante più puro: se certi movimenti di macchina e gli effetti speciali più artigianali (i mostri liquidi fatti con il cellophane sono genio allo stato puro) ti stampano in faccia un sorriso soddisfatto da bamboccio ebete, passaggi in una CGI paleolitica e frequenti stacchi casuali hanno l’effetto di un calcio alla bocca dello stomaco.
Un recupero obbligatorio per i completisti delle stranezze cinematografiche e gli amanti degli ibridi improbabili. Per tutti gli altri meglio ripassarsi capolavori come questo, questo o questo.
4 commenti:
MA! certo che per film del genere potresti pure ritirar fuori la rubrica del bustone!
Era troppo accattivante e subdola da incentivare la visione di questi film! ^__^
Per le bustone ci vuole l'accumulo fine a se stesso. Qui c'è anche un discorso di linguaggi dietro, occorreva una rece seria. A questo punto mi metto a cercare, vedrai che qualche perla rara la trovo!
ma ha qualche punto in comune con the wicked city il film di animazione? nell'atmosfera e nell'amientaizone magari?
e cmq viva le bustone!
Alcune scene sono inconfondibili, chiaro riferimento all'anime di Kawajiri, come la donna ragno (dalla iolanda dentata), la moto-umana, e qualche tentacolone assortito.
Gustarsi questo remake cinese di un anime giapponese (ottimo) sarà sicuramente un'esperienza lisergica...
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