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giovedì 7 marzo 2013

Marvel Spaceballs: I Guardiani della Galassia di Abnett & Lanning


Guardiani della Galassia sia una serie che mi è piaciuta un sacco. Mi pare palese. Se cliccate su Conversazioni sul Fumetto vi spiego anche il perché. E magari prossimamente, sempre sulle stesse pagine, cercherò di convincervi su come invece Marvel Now sia una tragedia (ma non penso ci sia bisogno di convincere nessuno).

giovedì 20 dicembre 2012

Hell Yeah!


Persi negli anni '90? Allora cliccate su Conversazioni sul Fumetto e subite un nuovo articoletto da parte del sottoscritto. Questa volta parliamo di Hell Yeah, nuova serie Image che non ho ancora capito se mi piace o meno.

mercoledì 5 dicembre 2012

Coprofagia portami via: 100% Shit di Officina Infernale



Buona parte di 100% Shit è dedicata e/o attinente al grindcore. Per chi non fosse avvezzo a tali sonorità: si sta parlando di uno dei risultati massimi della destrutturazione sonora. Strappo definitivo che avrebbe portato, nel corso degli anni, a una concezione della musica totalmente slegata dai parametri tradizionali. Definibile a grandi linee come una deriva selvaggia e fuori controllo del punk più metallizzato (e viceversa). In realtà si tratta di un genere che si è sempre distinto prima di tutto per la sua implacabile forza centripeta. Il grind è un buco nero costantemente impegnato a risucchiare tutta la lordura che gli gravita attorno. Non è sfumato o ricco di sfaccettature, carico di significati o portatore di chissà quali raffinate riflessioni. Si parla di pura e semplice rabbia espressa tramite schegge soniche di pochi secondi. Principali ingredienti: ritmiche caotiche, vocals subumane, distorsioni ben oltre l’accettabile. E l’assoluta incapacità di scendere a compromessi. Penso che in più di 25 anni di storia non sia mai uscito un disco di grind definibile come morbido o accessibile. Siamo sempre sullo stesso livello di demarcazione tra bianco e nero. Il grigio non è contemplato.

La raccolta di 20 anni di attività di Officina Infernale ne è la perfetta trasposizione su carta. Chi ci vorrà vedere metafore della nostra società o argute riflessioni sul nuovo ventennio televisivo ne rimarrà parecchio deluso. Se invece andate cercando un qualcosa paragonabile a una bomba tubo (artigianale, naturalmente) fatta detonare durante le audizioni  di qualche reality show allora siete sulla strada giusta. Naturalmente ci vuole lo stomaco (e un palato di amianto) per apprezzare certe cose.

Invece di cercare una preview del volume, scaricatevi World Extermination degli Insect Warfare. Riuscite ad apprezzarne la tensione costante, il continuo sputare su tutto, il nichilismo rachitico, la reiterazione dell’aggressività,  la totale mancanza di ragionevolezza e buon gusto? Allora amerete 100% Shit. Avete da ridire su uno qualsiasi di questi punti? Lasciate perdere. Seriamente.   

Il volume è corposo, pieno di roba, incontenibile. Uno scrigno del male dove si passa dalle cover per gruppi power violence alla pornografia in bassa definizione. Poi ci sono i ferali attacchi all’immobilismo italico, ai fumetti, alla superficialità e al culto delle apparenze. Tutto passando prima di tutto da una costante demolizione dell’autore stesso di queste pagine, così irte di aculei verso il mondo esterno. Non si salva niente e nessuno, a partire proprio dal pulpito su cui un sacco di gente si sarebbe irta a sentenziare sul volgo. 

Personalmente di tutte le derive stilistiche del Moz non riesco a farmi piacere nulla come adoro questo suo bianco e nero sporco e sgranato. Dentro ci vedo tonnellate di flyer per concerti da dieci persone, fanzine fotocopiate spedite da chissà quale parte d’Europa, copie in VHS di splatter giapponesi (spesso vendute proprio a quei concerti da dieci persone). Tutto quel putridume che prima dell’era Internet era autentica ribellione verso il mercato del premasticato. Ora un sacco di quella carica autarchica è andata persa, ma farci un giro di tanto in tanto non può fare che bene.

martedì 4 dicembre 2012

Non tutti gli avvocati si nutrono di carogne


Per lo meno non il protagonista di questo fumetto. Lui preferisce cacciare.

Comunque avete capito bene. Una serie che parla di una tigre avvocato. Nulla di più, nulla di meno. Finanziata su Indiegogo e disponibile per l'acquisto sul sito ufficiale. Non ho ancora avuto il coraggio di ordinare i primi due numeri perché prima devo capire se il tutto tende più alla cazzata galattica o al colpo di genio. Le storielle lette in coda a qualche uscita Image (una spintarella da poco, direi) lasciavano intendere una sorta di legal drama con personaggi alla Spillane (e una tigre protagonista, ricordiamolo). Il che potrebbe rendere il tutto estremamente umoristico senza il bisogno di essere una serie comica. Rimane il fatto che la cover del primo numero è un capolavoro. Ci facessero le t-shirt l'acquisto sarebbe obbligatorio.


giovedì 11 ottobre 2012

X-O Manowar su Conversazioni sul Fumetto


Su Conversazioni sul Fumetto trovate da ieri un mio articoletto sul recente revival di X-O Manowar. Con annessa, già che ci siamo, qualche riflessione sull'andazzo del genere (inteso come fumetto di genere) nel mercato mainstream statunitense. Fatemi sapere cosa ne pensate cliccando qui.

domenica 23 settembre 2012

A casa!


Finalmente a casa dopo la consueta trasferta parigina di metà settembre. Nei prossimi giorni sarà dura che abbia qualcosa da dire visto quanto sono rimasto indietro con il lavoro, così per ora vi re-indirizzo (in ritardissimo) al mio umile contributo per il mese del ragno su Conversazioni sul Fumetto. Un piccolo omaggio a un numero di questa testata, magari non memorabile ma a modo suo fondamentale.

mercoledì 12 settembre 2012

Perché I Guardiani della Galassia di Gunn sarà una gran figata



Lo ammetto. Quando il primo concept per I Guardiani della Galassia è stato rivelato al pubblico gli occhi mi sono saltati dalle orbite. Non riuscivo a credere a quello che stavo vedendo. L’interesse per quella che sembrerebbe la più sconclusionata impresa cinematografica degli ultimi 20 anni è schizzato a mille. Eppure solo ora, con la conferma di James Gunn in cabina di regia, i ragazzi dei Marvel Studio sono riusciti ad avere VERAMENTE tutta la mia attenzione. Le motivazioni sono molte, tanto vale procedere per punti: 

1) Gunn ha scritto due dei Troma-movie più belli, intelligenti e urticanti di sempre. Si parla del mitico Tromeo & Juliet e di Terror Firmer. Opera che in un mondo più giusto avrebbe chiuso del tutto il capitolo meta-cinema.

2) subito dopo gli exploit tromeschi è passato a scrivere sceneggiature per Hollywood. Robe che hanno fatto incassare un sacco di soldi nonostante le premesse impossibili (si parla di due Scooby Doo e del remake di Dawn of the Dead aka Zombi).

3) ha sfruttato la fama e il potere acquisiti per dirigere Slither, il film di fantascienza gommosa più bello degli ultimi lustri.

4) successivamente è passato (sceneggiatura + regia) a Super, che è come Kick-Ass ma molto meglio e con un finale nero come la pece. Alla faccia di un sacco di gente che se lo è visto con i paraocchi.

5) oltre a tutte queste robette appena elencate Gunn ha lavorato a un sacco di altra roba (serie per il web, videogiochi,....). E in qualsiasi caso è riuscito a rendere tutto divertente, anche quando doveva colpire bassissimo.

6) come se il suo curriculum non bastasse, alla sceneggiatura dei Difensori sta lavorando l’esordiente Chris McCoy. Classe 1981, già tre volte nella Black List di Hollywood (la Black List è una classifica dove finiscono tutti i migliori script rimasti senza produzione, quasi sempre perché effettivamente belli e quindi poco adatti ai multisala).

7) si tratta di un film che si intitola I Guardiani della Galassia. Non riesco a immaginare nulla di più potente, evocativo e al contempo meravigliosamente infantile.

8) I Guardiani della Galassia è una delle serie più improbabili (e genuinamente divertenti, visto il sottile humor che ne contraddistingue ogni pagina) fra tutte quelle ambientate in un universo popolato da gente che se ne va a zonzo in calzamaglia.

9) la formazione di questo supergruppo può vantare: un procione antropomorfo dal grilletto facile, una pianta senziente, un paio di guerrieri cosmici, il clone di Kratos e un cane telepate a coordinare il tutto. Immagino già il fumo uscire dalle orecchie del robottino Nolan.

10) la space-opera di stampo favolistico non sbaglia mai. O te ne esci con un capolavoro o con uno scult da videocassetta. Uno di quelli che devi recuperare a ogni costo e si guadagnano un’aura di mito con il passare degli anni. Questo perché si parla di un genere così campato per aria che è durissima lasciare indifferenti (tranne Il Quinto Elemento, ma Besson è talmente cane che può riuscire in tutto). Quindi vinci sempre.

11) per troppo tempo nessuno si era buttato in un'impresa così cinematograficamente disperata. Andiamo, quando è stata l’ultima volta che vi siete chiesti “Come diavolo faranno a farlo?”.

12) il fumetto non è così codificato come lo erano i Vendicatori, quindi potremmo trovarci di fronte a qualcosa di realmente fresco. Non mi interessa niente di un Rocket Racoon che esordisce sullo schermo con la stessa battuta con cui si è palesato sulla carta stampata in una storia breve di chissà quale testata secondaria dell’universo Marvel. Voglio vedere cose che mai mi sarei potuto immaginare.

13) qui potrei fare il solito giochino simpatico di queste liste e ripetere una delle voci precedenti, come a dire”guarda come sono ossessionato da questo aspetto stupido ma in realtà cruciale”. Sarò banale, ma io sono veramente curioso di vedere Rocket Racoon.

14) l’interesse generato intorno a questo blockbuster (assieme a quello sui robottoni giganti di del Toro) potrebbe finalmente dare la spinta a un sacco di progetti assurdi che se ne stanno nel cassetto da troppo tempo. La speranza è che il fantastico torni fantastico. Basta grigiume, realismo e rivisitazioni dark. Volete fare gli scrittori o i registi? E allora dimostrate di essere molto più creativi di quanto noi spettatori potremmo mai essere. Sbatteteci in faccia il motivo per cui voi fate quel mestiere e noi no. Altro che uguaglianza. 

15) nella speranza che si realizzi la prospettiva qui sopra - che i film fantastici tornino a essere generatori di fantasie e non blocchi di ghisa attaccati alle caviglie della creatività - magari bloccano il film sulle Tartarughe Ninja e lo rimettono in carreggiata come dovrebbe essere fatto veramente. Macché alieni, noi vogliamo anfibi mutanti che praticano le arti marziali.

16) sempre invocando il punto 14 magari esce il nuovo Star Fox

17) abbiamo tra le mani un film con budget milionario, diretto da un pazzo proveniente dal cinema indipendente più folle e sceneggiato da un giovinastro troppo talentuso per Hollywood. Se il sistema funziona e arrivano i risultati sperati allora un bel po’ di mestieranti seduti da troppo tempo sugli allori potrebbero incominciare a inviare il CV a qualche agenzia di collocamento.

Possono bastare come motivazioni per aspettare questo film con la bava alla bocca?


giovedì 6 settembre 2012

[Nani, birra e botte da orbi] Skullkickers di Jim Zub, Edwin Huang e Chris Stevens



Skullkickers è una serie con un sacco di difetti. Di certo il livello delle tavole non è lo stato dell'arte, è priva di autentica profondità e ben lontano dall’essere un prodotto genuinamente originale. Eppure riesce in un campo dove un sacco di gente fallisce: essere davvero, davvero divertente. Che, a rigor di logica, dovrebbe essere l’obbiettivo primo di ogni opera realizzata per la pura evasione. Lapalissiano, verrebbe da dire, eppure spesso e volentieri pare che questo concetto sia pericolosamente nebuloso. 

Considerando che i protagonisti di questo fumetto passano un sacco di tempo rintanati in lerce osterie da quattro soldi – ubriachi e sfatti come lo siamo stati tutti nei nostri anni migliori - mi pareva giusto affrontarne l’analisi in chiave culinaria. Da questo punto di vista Skullkickers non è che il corrispettivo su carta di un untissimo (e altrettanto gustoso) panino da ambulanti.  Quelli a cui non puoi resistere, ma che ti rendi conto sarebbe stato meglio evitare per lasciare spazio a qualcosa di più nobile (e intanto pensi “Ormai è tardi, tanto vale arrivare in fondo”, raggirandoti da solo). Prendi un buddy movie (bromance free), sostituisci il bianco e il nero (o il cieco e il sordo) con un nano e un energumeno calvo. Non poliziotti, ma soldati di ventura a zonzo in un mondo di impianto fantasy. Condisci il tutto con abbondanti dosi di violenza e il piatto è servito. Come si diceva, nulla di che. Eppure basta guarnire la nostra leccornia con un sacco di dialoghi brillanti e mai fini a se stessi (e che siano privi di riferimenti a D&D, mi raccomando) per avere un manicaretto da leccarsi i baffi. Semplice ma efficace.

L’unica vera colpa imputabile a Jim Zubkavich, scrittore della serie, è l’immaginazione piuttosto limitata. A livello di visionarietà siamo prossimi alla piattezza dell’ultimo, terribile Conan cinematografico. Nonostante il tutto sia innegabilmente ben fatto non scatta mai quel meccanismo mentale che ti spinge a chiederti cosa arriverà dopo. Ed è un peccato perché la sinergia tra umorismo e fantasy ha un potenziale immaginifico incredibile, avendo praticamente tra le mani un mondo privo di limiti e a cui vengono fatti saltare anche i freni inibitori imposti dalla serietà (penso alla prima parte di Bone, a Shaolin Cowboy, ad Adventure Time,…). Questa mancanza di respiro viene ampiamente compensata da un ritmo supersonico, dai già citati dialoghi effervescenti - arricchiti spesso e volentieri da colorite inflessioni vernacolari - e dalla rozzezza senza precedenti dei protagonisti. Due autentiche bestie, inarrestabili e dalla complessità psicologica di una sottiletta (tanto per stare in ambito di alta gastronomia).

Esiste una sottile ma fondamentale differenza tra essere di bocca buona e amare i sapori più semplici. Se la prima ipotesi esclude a priori ogni tipo di piena soddisfazione in virtù di una pigrezza che va inficiare l’efficacia della ricerca (modo complicato per dire che vi accontentate di quello che passa in convento), la seconda ostenta una passione godereccia non per forza di cose populista. Animata da stimoli magari semplici ma per nulla scontati. Skullkickers soddisferà appieno chi si pone senza troppe remore nella seconda categoria. E se tanto vi basta, buon appetito!

lunedì 3 settembre 2012

Il Mese del Ragno


Su Conversazioni del Fumetto parte il Mese del Ragno. Perché festeggiare come si deve il cinquantesimo compleanno di uno dei personaggi più iconici mai apparsi sulla carta stampata è un compito a cui nessuno si può sottrarre. Con grande gioia posso dire di essere anche io parte di questa magnifica  - e doverosa - iniziativa.  Ne leggerete nei prossimi giorni, assieme a un'altra serie di articoletti che ho seminato nei mesi scorsi, finalmente pronti per diventare di dominio pubblico (tra cui uno su carta stampata di cui vado infinitamente orgoglioso. Non vedo l'ora di vederlo dal vivo). Come di consueto troverete tutto linkato da questa pagina.

mercoledì 1 agosto 2012

Errata corrige


Solo per segnalarvi che il gentile Andrea Gadaldi mi ha fatto notare un errore nel precedente post: i Rivera non sono fratelli, ma padre e figlio. Grazie mille!

martedì 31 luglio 2012

All Star Daredevil



Se One More Day fosse capitato a Daredevil sarebbe stato considerato da un sacco di gente come una benedizione, piuttosto che un crudele giochetto del demonio. Dopo tutto avere la possibilità di dimenticare un padre ucciso dalla malavita, incidenti con sostanze tossiche, un paio di fidanzate morte, mogli impazzite, persecuzioni, crolli psicologici, possessioni demoniache,… non dovrebbe essere poi tanto male. Siamo chiari: nessun personaggio Marvel ha subito tante angherie da parte dei suoi creatori quante ne ha dovute sopportare l’avvocato cieco di Hell’s Kitchen. Una linea guida che ne definisce la gran parte delle run - dagli anni ’80 a oggi - aderente in toto alla caratterizzazione cattolica del Nostro. Tanto da donargli, in più di un’occasione, dei contorni da Cristo urbano. La stessa saga Born Again potrebbe essere stata scritta, visti i punti in comune con Il Cattivo Tenente, da un Abel Ferrara in stato di grazia. Entrambe sono opere dove la religione assume un ruolo centrale e il martirio viene analizzato in una prospettiva inedita e straziante. Partendo da questo presupposto è facile concedersi al gratuito giochino dei paralleli e fare un confronto con la controparte di casa DC del nostro scavezzacollo. Che non è Batman, come in troppi credono, ma il più solare Superman. Un Messia paternalista destinato a rimanere solo – in quanto unico nella sua specie - confinato su di una terra dove può praticamente tutto.  A differenza di quello che ci si aspetterebbe una vita per nulla facile, dove le minacce più grandi vengono proprio dal senso di colpa. Che rimane sempre il motivo primo di ogni atto riconducibile a Matt Murdock: un macigno enorme – ma in realtà inesistente – sulla coscienza. 


Non è un caso se una delle copertine più famose della serie All Star Superman veda Kal-El sospeso a mezz’aria, con le braccia nella tipica posizione del predicatore. Alle sue spalle il sole, i cui raggi rifranti dal corpo dell’alieno paiono avvolgerlo in una luce divina. Una dichiarazione d’intenti per una serie di storie che definiranno una volta per tutte Superman. Oltre che creare un clamoroso strappo con gran parte di quello proposto dai comics in questi anni (leggi come: finto realismo votato al gioco al ribasso). Il capolavoro firmato Morrison e Quitely parte con il Nostro protagonista consapevole che dovrà morire entro breve tempo (ne viene a conoscenza nel primissimo arco narrativo), eppure la run non sprofonda mai in toni oscuri o apocalittici. Al contrario, è intrisa di un classicismo fatto di sfide enormi, di viaggi al di là di ogni immaginazione, colori luminosi e inquadrature ariose. Oltre che vagonate di umanità. Le stesse, identiche parole che si potrebbero usare per definire il nuovo Daredevil.


Dopo anni di buio ci voleva il veterano Waid per portare un raggio di luce sul mondo oscuro di questo tormentato personaggio. Anche se in più tratti il fido Foggy insinui nel lettore - in maniera per altro estremamente sottile - la presenza di un cono d’ombra tutt’altro che inoffensivo, questa serie è un capolavoro di spensieratezza e positività. A partire dalle sceneggiature incredibili, non per quello che succede ma per la potenza e la cristallinità della narrazione, e passando per un comparto grafico con ben pochi pari in tutta l’industria. Non rimanere sbalorditi di fronte alla doppia splash nelle primissime pagine del numero 9 - la vedete qui sopra - è un’impresa che sarà possibile solo al più cinico. I fratelli Rivera sono una potenza, asciugano l’impossibile e spesso paiono puntare più all’astrazione che alla saturazione della tavola. Senza contare le mille influenze retro in cui imbevono ogni singola vignetta. Aspetto che rende la loro arte letteralmente irresistibile.


Il Messia di rosso vestito pare essere finalmente sfuggito al suo Golgotha senza fine per trascinarci in un universo di trovate narrative, dove ogni pagina riserva una sorpresa. In questo senso la testata in questione è un prodotto assolutamente votato all’onanismo, dove la grammatica del fumetto viene raffinata e rinfrescata per il puro piacere di arrivare a una forma linguaggio che si mangia a colazione qualsiasi megaevento o altra trovata da major possiate immaginarvi. A differenza della serie di Grant Morrison qui il team creativo è concentrato in maniera quasi esclusiva sulla forma, relegando le storie a mero scheletro su cui scatenarsi. Ci sono un sacco di trovate stuzzicanti – Murdock impossibilitato a esercitare in tribunale che diventa consulente, le scappatelle sexy con la Gatta  Nera,… - ma la loro freschezza deriva sempre da come ci vengono servite. L’assenza totale di riferimenti post-moderni o metalinguistici poi è la ciliegina sulla torta su di una portata di cui non si sarebbe mai sazi.


Tutto questo se siete avidi lettori alla bulimica ricerca di classe e intelligenza applicate a una purissima espressione di cultura pop. Altrimenti sappiate solo di avere tra le mani un gran, gran, gran fumetto di pagliacci mascherati che svolazzano tra i palazzi di New York. Che dovrebbe già essere abbastanza per invogliarvi alla lettura.

martedì 24 luglio 2012

Ritorno alla 36ma camera



Su Conversazioni sul Fumetto una nuova recensione del sottoscritto. Questa volta a base di kung fu, tecniche segrete e splatter a go go (che bello scrivere per un sito di intellettuali!). Già che ci siete leggetevi anche i commenti, il buon Antonio Solinas mi bacchetta per un'imprecisione piuttosto interessante.

martedì 17 luglio 2012

Saga 1-4: sempre meglio. Incredibilmente sempre meglio.



Prendi la famiglia più Miyazakiana del fumetto statunitense: una madre tostissima e appartenente a una razza guerriera ipertecnologica, un padre devoto ma imbranato (fervente pacifista, mago praticante), un figlia biologica su cui tutti vorrebbero mettere le mani e una sorella maggiore di fresca adozione. Anzi, il fantasma di una sorella maggiore, visto che la nuova arrivata è morta e può comparire solo di notte. Si consideri che, per quanto questo nucleo appaia sgangherato, i dialoghi tra i vari membri riescono a essere naturali, organici e realistici. Capaci di trasmettere un senso di calore e affetto tangibile stando immersi in un plot fatto di guerre intergalattiche, mostruosi cacciatori di taglie e razze sempre più bizzarre numero dopo numero. Aggiungi poi a questo bel polpettone da favola fantascientifica qualche colpo ben assestato alla bocca dello stomaco, tipo l’esplicito riferimento alla pedo-prostituzione nel numero quattro. Fai scrivere tutto a un Brian K. Vaughan in formissima e chiedi a una strepitosa Fiona Staples di metterlo su carta. E considera che l’artista canadese è bravissima nel rendere il tutto, pagina dopo pagina, ancora meno scontato di quanto non lo sia già in fase di sceneggiatura. Prendiamo il personaggio di Alana, la protagonista. Nonostante (o forse proprio perché) il suo design sia l’esatto opposto di quello che ci ha propinato il fumetto statunitense negli ultimi 20 anni riesce a essere bellissima. Fisionomia severa, mascella importante, costume che ne copre completamente le forme. Confrontate con l’imbarazzante accumulo di volgarità sfruttato dalla DC per il rilancio dei suoi personaggi femminili e provate a non rimanere mortificati.


Quattro numeri usciti e sarà la terza volta che parlo di Saga su queste pagine. La narrazione procede lentissimamente – siamo ancora all’introduzione – eppure l’impressione è quella dell’opera importante. Nata come ruffianata per essere venduta alla Tv (è palese), eppure inscindibile dal medium su cui ci è stata recapitata. Se Trono di Spade (libro e serie) può essere definito come fantasy-senza-fantasy-eppure-fantasy, Saga ne è l’esatto opposto. In un universo dove la fantasia non ha limite tutto il realismo è affidato al più delicato degli indicatori: i rapporti umani. Sono esattamente le stesse cose che ho scritto in fase di recensione del numero uno, lo ammetto. Ma in un pugno di uscite il team creativo di questa serie è riuscito a elevare tutto al cubo. Vedere una copia di alieni sfuggiti a un’imboscata potenzialmente letale battibeccare per via del nome di una ex spuntato nel momento sbagliato è senza prezzo. Ancora di più quando i dialoghi  sono il perfetto sunto tra iper-realismo e brillantezza da commedia alla Audrey Hepburn. E poi monarchie campate in aria, pianeti del sesso, gattoni senzienti, donne ragno con le tette al vento,… 


Insomma, oggi esce il quinto numero. A recuperare tutto fate ancora a tempo. Io non aspetterei oltre.

mercoledì 11 luglio 2012

Come Tartarughe Ninja sotto Paroxetina



Su Conversazioni sul Fumetto dico la mia circa la fantastica serie Elephantmen. Fateci un salto e vedete se riesco a convincervi a ordinare i tpb balenottero su Amazon.

giovedì 28 giugno 2012

Follow this! Infomaniacs di Matthew Thurber



Forse dovrei incominciare a interessarmi di più ai lavori della PictureBox. A partire dal pluri-rimandato acquisto del fantasy Powr Mastr (ultimamente questo tipo di fantasy tremolante pare sia sulla bocca di tutti, vedi le recensioni entusiastiche - e meritatissime – per il Danger Country di Levon Jihanian) fino a 1-800 Mice di Matthew Thurber. Tomo di cui ultimamente parla un sacco di gente in maniera oltremodo positiva (vedi quest'ottima intervista, anche se un po’ spocchiosetta da parte del fumettista, sulle pagine di Vice).


Il volume non l’ho ancora acquistato, però mi sono letto Infomaniacs -  la striscia settimanale che Matthew pubblica sul suo sito. E, senza mezzi termini, ho scoperto uno dei migliori web comics in cui mi sia capitato di incappare in tempi recenti. Riducendolo ai minimi termini potremmo dire che le bizzarre vicende imbastite puntata dopo puntata si presentano come l’ennesima satira velenosa della società moderna e - sopratutto - della nostra percezione di essa. A differenza di un sacco di altre proposte del genere però non abbiamo a che fare con vignette statiche e auto compiaciute, ma con una vicenda più tangente al thriller complottistico (con ampie cessioni al surreale puro). Quindi un sacco di personaggi, una narrazione contorta e una svolgimento che dovrebbe portare, prima o poi, da qualche parte.


La scrittura è sghemba e meravigliosamente traballante, esattamente come il tratto dell'autore statunitense. Il vero valore aggiunto lo si trova però nell’umorismo profuso in ogni tavola: coltissimo, mai banale, lontanissimo dalla concezione di battuta fulminante o di gag “a scadenza”. L’ironia è diffusa in maniera omogenea in ogni aspetto di questo fumetto, dalla costruzione dei personaggi al montaggio. Sembrerà una banalità, ma in questo modo si evita ogni effetto piacioneria. Che è poi il principale motivo per cui il sottoscritto si tiene alla larga da un sacco di web umorismo. Escludo da questa affermazione il sempre stupefacente Dr. McNinja, naturalmente.

In Infomaniacs si parla della lotta tra mondo reale e mondo virtuale, di come stiamo perdendo la capacità di scindere la profondità del mondo vero dalla bidimensionalità dei nostri monitor. Detto così parrebbe di una banalità disarmante, con in più l’aggiunta del solito paternalismo fastidioso. Poi leggi qualche puntata e ti ricredi. Tra luddisti moderni in gilet di jeans (con tanto di scritta Marshall McLuhan ricamata sulle spalle), strane sette agresti per la disintossicazione da social network, agenzie governative in cui militano animali antropomorfi, biblioteche di tweet e un sacco di altre trovate bizzarre c’è parecchia roba con cui divertirsi. Sia leggendola che, come traspare in ogni singolo episodio, scrivendola.


Che piaccia o meno Matthew Thurber è l'ennesima dimostrazione che la produzione indie statunitense vive un momento d'oro. La forza cinetica di questa nuova e frastagliata scena è tale da permettergli di flirtare apertamente con il genere più puro (vedi Benjamin Marra, di cui ho già parlato su queste pagine), mantenendo comunque uno spessore autoriale di primissimo piano. E finalmente pare accorgersene anche qualcuno dalle nostre parti, vedi il nuovo volume di Johnny Ryan edito dalla milanese The Milan Review

giovedì 14 giugno 2012

[Non preoccuparti e ama la bomba] The Manhattan Projects di Hickman & Pitarra (Image Comics)



Che Jonathan Hickman non manchi di ambizione è cosa nota. Arriva dal nulla e ribalta i Fantastici Quattro come un calzino, torna in Image da vincitore e prova a giocarsi la carta della saga spazio-temporale con Red Wing (bellissima ma troppo, troppo, troppo compressa). Continuando, nel frattempo, ad allargare la sua influenza presso la Casa delle Idee fino al punto di diventarne uno dei principali architetti. Un bottino che accontenterebbe un sacco di gente, ma evidentemente non ancora abbastanza ricco per il Nostro. Nulla di meglio per il proprio ego insaziabile di lanciare quindi ben due serie personali per la casa editrice più in forma del mercato statunitense: The Secret – di cui non so nulla se non che si presenta benissimo grazie a una serie di cover davvero suggestive – e il folle The Manhattan Projects (e anche qui la grafica di copertina è qualcosa di meraviglioso e suicida allo stesso tempo - vedi sopra).


Se dovessi tracciare un parallelo con qualcosa che ho già letto la risposta più ovvia sarebbe Ballard. Vuoi per l’amoralità insita nelle pagine dei primi tre numeri di questo fumetto (tra l’altro esauriti e già in ristampa), vuoi per la pratica sempre rischiosa di sfruttare personaggi reali in un contesto ben al di sopra delle righe. Non parlo di atrocità alla Abraham Lincoln Vampire Hunter o Barack the Barbarian, ma di un Robert Vaughan che ha come sogno erotico definitivo l’atto di schiantarsi a folle velocità contro Elisabeth Taylor (aiutato, sulle pagine di Crash, dallo stesso James Ballard autore e contemporaneamente personaggio di finzione). Da una parte abbiamo spazzatura priva di senso, dall’altra una soluzione narrativa piuttosto disturbante. E delicata, visto che l’unheimliche di Freud non è materia proprio stabile e di facile manipolazione (il rischio di sconfinare nel famigerato artsy-fartsy è sempre dietro l’angolo).


The Manhattan Projects si basa su un’idea tanto scontata quanto inquietante. E se l’infame team che ci ha portato la bomba atomica avesse lavorato anche ad altre armi di distruzione di massa? Nonostante Hickman si ostini a definire questa sua nuova serie come “divertente” sono ben pochi (nessuno) i momenti genuinamente spensierati che si vanno a incontrare tra le sue pagine. Tra un ordigno nucleare sganciato solo per non chiudere il laboratorio (e non parlo di una bomba immaginaria con morti immaginari, parlo proprio di Enola Gay e  Little Boy), un Einstein temuto come il peggior supercriminale e un Enrico Fermi privo di umanità, di roba “divertente” ne vedo ben poca.


Piuttosto userei il termine “sottilmente sgradevole”, con le invenzioni dello sceneggiatore rese ancora più incisive dalle matite di Nick Pitarra. Uno che pare uscito da qualche casa editrice underground anni ’80 (sarebbe fichissimo vederlo all’opera sulle Tartarughe Ninja). Il suo tratto tremolante e l’amore per le anatomie sgraziate vanno a braccetto con tavole farcite di particolari e soluzioni spettacolari (dovreste vedere come rendeva i viaggi nel tempo su Red Wing). Una sintesi perfetta di quanto serve a una serie per porsi in equilibrio su quella sottile linea che divide mainstream e mercato indipendente.


Il risultato finale per ora è molto più che soddisfacente e la voglia di leggersi il primo story-arc in trade paperback è tanta. Hickman si conferma intelligente e smaliziato quanto basta per far rizzare le antenne a tutti. Qui cerca di arricchire il suo consueto iperclassicismo con qualche trovata di montaggio un po’ fuori asse, ma da qui a dire che anche la forma segua la freschezza dei contenuti ce ne vorrà ancora molto (non che voglia dire molto, a dirla tutta. Il Saga di Vaughan & Fiona Staples continua a migliorare - incredibilmente - nonostante sia raccontato nel modo più tradizionale possibile). Per ora perfetto così, in trepidante attesa del prossimo numero.

giovedì 7 giugno 2012

Se la Cannon avesse fatto fumetti: Night Business di Benjamin Marra



Avevo già parlato del grande Benjamin Marra in occasione della pubblicazione del suo web comic Zorion the Swordlord (magnifico, l’unica vera alternativa – anche se meno ignorantemente parossistico - al Prison Pit di Johnny Ryan, il fumettista amato dal pubblico che lui stesso detesta). Nei giorni scorsi ho terminato la lettura anche di tutto il resto dell’opera omnia del Nostro e vorrei spendere qualche parola su quella che è a oggi la sua creazione più complessa: Night Business. Per rigore di cronaca segnalo che, quando il pacco con i miei fumetti è partito da Brooklyn, il nuovo Lincoln Washinghton: Free Man! non era ancora uscito. E da quanto si legge in giro parrebbe proprio il lavoro della maturità – nel senso che per una volta si va a parare in territori quasi seri - di Benjamin.  Facciamo quindi finta che io non ne sappia nulla e concentriamoci sui primi quattro numeri del fumetto più anni ’80 che mi sia capitato di leggere ultimamente.


Night Business sfrutta – pur essendogli antitetico come stile e intenti - gli stessi meccanismi comici del film di Capitan America (quello nuovo, non quello di Pyun). Fa sorridere non perché c’è la battuta, ma perché tutto è tanto tipicizzato da rendere la parodia (o l’omaggio) sottocutanea. Il film di Joe Johnson è un polpettone dove nessuno offende nessuno e la via per il cinema spettacolare passa dalla riproposizione filologicamente manicale di una scena de Il Ritorno dello Jedi (l’inseguimento, ma dovreste saperlo già). A modo suo è perfetto: gratuito e inoffensivo come era una volta la tv dei ragazzi. Il Capitano ci crede tantissimo e non ride praticamente mai. Fa solo il suo dovere pestando cattivoni privi di  profondità.  Quasi una caricatura del bel cinema d’avventura di una volta, ma senza battutacce a rovinare l’atmosfera (cosa che nei Vendicatori – con Joss Whedon abilissimo a creare situazioni da action hero moderno in cui far muovere un eroe pulp anni ’40, educato anche quando appeso fuori dall’eliveivolo - funziona ancora meglio). Alla stessa maniera Night Business basa tutto il suo fascino sulla riproposizione di certe atmosfere grim & gritty da cinema urbano dei primi anni ’80. Non parliamo di un finto-grindhouse girato da Rodriguez, ma di uno straight-to-video girato in Romania con un budget da filmino della Comunione e una sceneggiatura recuperata dai cassetti della Cannon. Non c’è un momento comico in quattro numeri, eppure la poetica di Marra è talmente perfetta nell’adattarsi a un immaginario ormai mitologico da farti sorridere per tutto il tempo della lettura. Anche se si parla di stupri, sette segrete, giustizia sommaria e donne sfregiate assetate di vendetta.


Night Business è genere purissimo. Di quello sempre uguale a se stesso, eppure generoso nel riservarci ogni due/tre pagine una trovata sopra le righe.  Esattamente quel tipo di intrattenimento che pare destinato all’estinzione, affogato in un mare di contaminazioni, ammiccamenti e ipocriti tentativi di elevare i generi (come li riconosci? Dal fatto che il regista/scrittore non ha mai visto/letto nulla del filone, ma pensa comunque di capirlo. Alla faccia di chi ci ha bruciato ore e ore). 


Il tratto di Marra è legnoso, scoordinato, grottesco e sgradevole. “Perfetto”, se si vuole usare una sola parola. La stampa – autoprodotta - su carta economica (di quella giallognola) fa il resto. L’esperienza è completa. Si è più felici di tutti i difetti di un Night Business che di mille leccate di tanti prodotti impeccabili, eppure privi di quella visceralità che ti fa tornare bambino. Perché la fanciullesca assenza di pretese, se affiancata a una compattezza di poetica da bulldozer e a qualche colpo di genio (indispensabili e irrinunciabili, in ogni lettura/visione), rimane una cosa a cui rinunciare è un crimine.

mercoledì 11 aprile 2012

E chi lo ferma più? Thief of Thieves arriva in TV (forse)


Dopo Walking Dead anche la nuova serie di Robert Kirkman Thief of Thieves arriva in TV. E considerando il materiale di partenza - un action-comedy brillantissima e ultrastilosa - direi che il pericolo di incappare nella narcolessia indotta dai già noti zombi televisivi è piuttosto labile. Sperando che il tutto non faccia la fine di Powers (dov'è finito il pilot?). Trovate tutti i particolari qui.

mercoledì 4 aprile 2012

Johnny Ryan goes death metal


All'appello mancava solo lui. Anche il mitico Johnny Ryan (autore di quella perla di ignoranza che risponde al nome di Prison Pit, fuori per la Fantagraphics - penso non ci sia bisogno di spiegare l'importanza di questa casa editrice) si è autoprodotto l'ennesima, marcissima fanzina da tardo-adolescente metallaro: Infinite Stench (simpatico e di buon gusto riferimento al compianto Foster Wallace?). Stampata (fotocopiata) in 100 copie è andata esaurita nell'arco di due giorni. La vera notizia è però che alla libreria Desert Island di Brooklyn ne hanno ancora qualche copia (e penso che gli rimarranno pure tutte, visto che mi hanno sparato un 20 dollari tondo tondo come prezzo). Nell'autentico spirito del progetto non esistono foto dell'interno o qualche spiegazione in più. Puro underground, proprio come va di moda adesso.

Tutto questo non toglie nulla al fatto che tirare in ballo i Nuclear Assault è da fighi. Prendetelo come un bollino di garanzia.

lunedì 2 aprile 2012

L’occhio non perdona! The Bulletproof Coffin: Disinterred di Hine & Kane



Ancora un articolo su una serie Image. Non è che mi pagano (e neppure mi regalano i fumetti), è che oggi come oggi sono pochissime le serie di questa rinata casa editrice che non seguirei. Un fatto condivisibile, credo, con tutti quelli che decidono di scavalcare i distributori italiani per seguire direttamente in lingua originale. Bastano un manciata di titoli del calibro di Saga, il nuovo Prophet, Thief of Thieves, Fatale e adesso anche questo spin-off di quel gioiello che era The Bulletproof Coffin per capire che il confronto con le altre due major è impietoso. Si concentrassero di meno su mega-eventi e reboot vari…


Prima di andare a parlare di TBC: Disinterred occorre introdurre la mini originale a chi non l’avesse letta. Sappiate che si parla di un delirio metalinguistico senza freni inibitori, dove gli stessi autori del fumetto che noi stringiamo tra le mani (i grandissimi Hine & Kane, entrambi venuti fuori da quella fucina di talenti che era 2000AD) sono anche gli autori/personaggi di finzione delle storie-dentro-alla-storia dove il protagonista, da avido lettore, viene risucchiato. Da qui una serie di elucubrazioni alla Flex Mentallo sulla paternità dell’opera, sull’autorialità,… Tutta una serie di cose molto interessanti, però la verità era solo una: la cosa più fica di The Bulletproof Coffin erano i fumetti di questa fittizia casa editrice della golden age. Personaggi già di per sé strampalati, restituiti al lettore dalle matite grottesche di un Shaky Kane in formissima. Una gioia per gli occhi. Psichedelia, pop art, Jack Kirby. Tutto intriso di un umorismo tanto cinico quanto intelligente. Se siete interessati alle proposte borderline - quelle a cavallo tra mainstream e indipendenza arty - questa è una serie da recuperare a ogni costo.


In qualunque caso ora la coppia è tornata. E dai primi tre numeri di questa Disinterred paiono aver eliminato tutte le sovrastrutture della serie originale, concentrandosi maggiormente su storie (per ora) autoconclusive (le cose di complicano leggermente nel terzo, un piccolo capolavoro alla The Twilight Zone). Cancellata quindi la cornice meta- rimane solo spazio per i personaggi della mitica (e inventata di sana pianta) Golden Nugget.  Se la scelta pare populista - viene tagliato tutto quello che denotava autorialità e profondità - in realtà il risultato è straordinario.  Senza grilli per la testa ora Kane è ancora più Kane e Hine ancora più Hine. A tavole sempre più esagerate corrisponde questa volta una scrittura che riesce a rimanere al livello, con picchi di cattiveria e cattivo gusto perfettamente incastonati da scelte linguistiche da romanzetto pulp d’altri tempi. L’impressione è quella che i due abbiano deciso di abbassare il dosaggio di surreale per concentrarsi maggiormente su di un cinismo per nulla -post. Bastino le prime pagine del numero 1, dove un’epica evasione da una bara interrata si risolve nel più annichilente degli anti-climax.


E’ indubbio che per ora questo spin-off abbia un’identità più marcatamente da divertissement rispetto alla serie originale (ma quale spin-off non lo è?), ma è pur sempre intrattenimento di livello. Dove la padronanza della fusione tra alto e basso la fa da padrone. Sia a livello di sceneggiatura che di disegno. E poi, particolare mai come in questo caso fondamentale, le copertine sono fantastiche. Piatte e iconiche come ci si aspetterebbe da una serie a fumetti di serie B realizzata da talenti di serie A.