mercoledì 18 novembre 2009

Ci sono vampiri e vampiri: Thirst di Park Chan Wook (Kor/2009)

Il problema più grosso di Thirst è che dentro c’è troppa, troppa roba. A conti fatti basterebbe uno spezzone di dieci minuti a caso del nuovo lavoro del sommo Park Chan Wook per fare tabula rasa dell’indigestione vampirica degli ultimi anni, fatta eccezione per il magnifico Lasciami Entrare (perfetta e cinica rappresentazione del vampiro come parassita). Il sud coreano ci porta un film meno visivamente sontuoso della commedia romantica I'm a Cyborg, But That's OK (straordinario fin dai titoli di testa) e lontano dalle efferatezze di Sympathy for Lady Vengeance (a oggi il suo capolavoro), eppure incomparabile come libertà e aderenza alle proprie ossessioni personali. Tematiche e intuizioni si affastellano lungo i 135 minuti della pellicola, appesantendola per una sorta di eccesso di scene madri. La cosa sorprende ancora di più pensando al fatto che, mai come in questo caso, Park Chan Wook procede per sottrazione, asciugando l’impossibile e sfruttando l’elisse narrativa al limite del comprensibile. Se vorrete capire qualcosa in Thirst dovrete accendere il cervello e cercare di capire cosa stiano pensando i personaggi, visto che di spiegoni e linee di dialogo chiarificatrici non ne vedrete neppure l’ombra. Esemplificativo di questa tendenza il magnifico finale, dove tutte le fila del racconto vengono tirate senza dire una sola parola (e dura tipo 20 minuti!). Una fetta larghissima del metraggio viene dedicato alle scene di sesso, umide e grottesche, mentre l’emoglobina finisce per scorrere, tanto, quando meno te lo aspetti. Tutto il contrario di quello a cui ci hanno abituati anni di nostalgia, postmodernismo, splatter gratuito e miopia da nerd. Dopo averci narrato il vero orrore, quello che non ha bisogno di allegorie e metafore, con i due Sympathy adesso è il momento di parlare di Autorialità partendo da materiale di genere. A conti fatti Thirst sembra fatto per non piacere a nessuno, a chi ricercava denti cavati con il martello, sontuosi dolly su carte da parati improponibili (anche se di movimenti impossibili ne è pieno), nevicate purificatrici o corridoi della paura color pastello. Unici fattori a riconfermare al 100% che la mano dietro la macchina da presa la conosciamo già sono le consuete riflessioni sulla moralità e i picchi di humor nero. Che non si traducono in schizzi di sangue o battute smargiasse, ma in colpi diretti alla bocca dello stomaco (se li si sa cogliere). Come di consueto gli umori e i registri si avvicendano senza il minimo stridore, portandoci anche perle di romanticismo assoluto (la già mitologica scena delle scarpe, dieci-secondi-dieci, è la cosa più dolce che vedrete quest’anno) o spiragli di pura potenza visionaria (le balene sul finale, i balletti amorosi sui tetti). Le genialità del Nostro è sempre più consapevole e si adagia sullo sfondo, perdendosi nei particolari. Il linguaggio segreto dei due protagonisti o l’organizzazione del loro appartamento sono aspetti talmente sottili e raffinati che un normale cineasta ci avrebbe costruito l’intero film. Park Chan Wook no, non li mette neppure in evidenza. Li tratta come se fossero spezzoni di banalità, sfaccettature di quotidiano a fare da fondamenta per un mosaico più grande. Cinema astratto, lontano da tutto quello che già si conosceva. L’uomo dietro alla trilogia della vendetta è la punta di diamante di una nuova generazione di registi (dentro ci mettiamo anche il nostro Sorrentino, il Pang Ho Cheung più autoriale, Pen-Ek Ratanaruang, Bong Joon-ho e, se Valhalla Rising riconfermerà il suo nuovo corso avviato in Bronson, Nicolas Winding Refn) capaci di dare nuova linfa alla narrazione partendo proprio dall’essenza prettamente visiva del cinema. Non più opere teatrali su grande schermo, ma inquadrature, montaggio e fotografia.



Qui la scena delle scarpe.

6 commenti:

DIFFORME ha detto...

"Non più opere teatrali su grande schermo, ma inquadrature, montaggio e fotografia"

AMEN FRATELLO AMEN

MA! ha detto...

Avrei dovuto aggiungere anche "...o inquadrature alla cazzo che saltano ogni 3 secondi e riprese fatte con 15 camere contemporaneamente, tanto poi ci pensa il montatore a far quadrare tutto".

Doner ha detto...

mi sembra dovuto omaggiare Kang-ho Song!
attore presente in pellicole incredibili come the host, the good/the bad/the weird (che ho scoperto in questo blog), lady vengeance (ANCHE PER ME il top del regista in questione), mr vengeance e che potrebbe candidarsi come feticcio di PCW.

e senza l'attore feticcio NON PUOI entrare nella leggenda (corman , carpenter, lang...).
qualcuno lo spieghi a questo genio della giallonia

Doner ha detto...

...a quanto vedo anche qui piedini a raffica!

molti registi asiatici mi vogliono bene ultimamente

Unknown ha detto...

Come ti dicevo aspetto una seconda visione per un giudizio definitivo.
Però si, quello che dici ci sta tutto.
E' che di base da JSA in poi il peggior film della carriera di park tagliato male mandato al contrario e doppiato da de sica e la hunzicker sarebbe comunque molto meglio del miglior film di chiunque altro.

Sacrosanta la lista di registi che hai citato. Di Retanaruang devo ancora vedere Nymph, appena preso, e aspetto anche io Valhalla Rising, nonostante abbia letto in giro pareri contrastanti.
Me ne vergogno, ma di Pang Ho Cheung ho lì da vedere Exodus, e Beyond Our Ken ormai da una vita.
Rimedierò.

MA! ha detto...

@ Greg: il problema è che Kang-ho Song compare bene o male nel 90% dei film di Park Chan Wook (JSA, Mr Vengeance, Lady Vengeance, Thirst), Bong Jooh Ho (Memories of Murder, The Host e nella produzione Antarctic Journal) e di
Ji-woon Kim (tutti a parte A Bittersweet Life). Oltre a essere già feticcio lo è di tre mostri. E se lo merita tutto.

@ leonardo: Nymph visto ieri sera, rece on line. Exodus guardalo subito, è un capolavoro senza mezzi termini.