Kenta Fukasaku è l’antitesi di tutta quella pletora di splatter nippostatunitensi che stanno invadendo il mercato occidentale. Tanto quelli sono fintamente pericolosi, nascondendo la loro sterilità dietro un mare di emoglobina gratuito e inoffensivo, tanto ogni lavoro di Kenta (a esclusione di Under the Same Moon) si dimostra una bomba a orologeria mimetizzata da caramella gommosa. Da il via alla sua carriera parlando della società, nascondendo la metafora prima in una delle migliori (anche se finta) trasposizioni videoludiche di sempre (Battle Royale 2) poi in una riproposizione idolcentrica del classico filone nipponico delle scolarette combattenti (Yo Yo Girl Cop). In un secondo tempo, con XX, decide di esplorare i generi, raccontando una vicenda rosa dalle tinte adolescenziali attraverso il linguaggio dell’incubo rurale. Il risultato è una pellicola come mai si era vista prima, dove i toni romantici non sono inframmezzati da segmenti horror (o viceversa) ma fusi nel loro dna profondo. Peccato che a tutta questa irruenza teorica spesso il figlio del Maestro non riesca ad affiancare una competenza tecnica equivalente, andando puntualmente a macchiare le sue opere con facilonerie e cadute di tono (soprattutto quando si parla di ritmo). E con Kodomo Zamurai, secondo episodio dell’antologia Kill (supervisionata da Mamoru Oshii) torna nuovamente sui suoi errori. La solita tonnellata di idee caustiche e dolorosamente divertenti ficcate in un involucro cazzone: ragazzini che combattono il bullismo con katane. Se si è capaci di leggere tra le righe non è difficile percepire il livore che Fukasaku (metto il cognome perché valeva anche per il padre) matura nei confronti della società nipponica. Qui si parla di bambini schiacciati da grosse responsabilità, adulti assenti e di immaginari totalizzanti. Insomma, un bel mucchio di idee e riflessioni schiacciate all’interno di un cortometraggio che a una visione superficiale potrebbe sembrare solo una sciocchezzuola leggera, dove i bambini si aprono il ventre a vicenda con lame affilate come rasoi. Come tutto il resto della sua filmografia anche Kill è un paradosso: troppa pancia nel mettere su pellicola intuizioni da sociologo trattate con linguaggio da teen ager. Pare che la furia iconoclasta del Nostro sia talmente incontenibile da sabotare il suo stesso lavoro. Anche se gli interrogativi a cui ci mette di fronte sono enormi e di una profondità non indifferente, l’impressione è sempre quella di un esercizio di stile futile e privo di peso specifico. In questo modo allontana sempre di più la sua consacrazione a regista di primo livello, andando a compiere un miracolo di mimetizzazione all’interno del magazzino di significati da lui sondato incessantemente. In altre parole: è più pericolosa una bomba con stampato sopra un teschio minaccioso o una mina a forma di giocattolo?
4 commenti:
"bambini schiacciati da grosse responsabilità, adulti assenti e di immaginari totalizzanti"
Questo mi ha ricordato Bokurano.
Non lo conosco ma mi intriga. A questo punto incomicnia il recupero. Grazie!
Bokurano è di Mohiro Kitoh, lo stesso di Narutaru. Se lo conosci puoi prepararti ad immagini forti e tematiche dure. Questo nello specifico non l'ho letto, ma ne parlano un gran bene(ma ne abbiamo già parlato, per caso?).
Narutaru lo conosco bene, mi sono preso la serie completa in blocco. A questo punto l'interesse sale ancora di più!
Posta un commento