Da pochi giorni è stato pubblicato anche in Italia l'ultimo tomo della serie MAX scritta dall'irlandese Garth Ennis. Una bomba (tutta la run) per cui vale la pena spendere qualche minuto.
Parliamoci chiaramente: Garth era partito con il piede sbagliato. Dopo l’ottimo story arc d’avvio (dove Frank si trovava a fronteggiare la famiglia Gnucci) lo sbadiglio non si celava che dietro l’angolo. Humor nero, frasi a effetto, cadute nel grottesco e troppa autoreferenzialità. Il Punitore tornava ad essere quello che tutti temevano potesse tornare a essere: un fumetto dove un vigilante uccide i criminali con armi sempre più grosse. Nessun tipo di carica eversiva, nessuna reale pericolosità. Poi venne la serie Max e il Nostro irlandese si rese conto che NON prendere per il culo il lettore è la strategia che paga meglio.
The Punisher MAX è un capolavoro del fumetto moderno. Fumetto d’autore, tra l’altro. Poco importa se Ennis scrive e basta, il suo è un universo così compatto e ratificato da meritarsi l’alloro dell’autorialità a prescindere dal medium (fumetto seriale) e dalla sua posizione di sceneggiatore. Non riconoscergli questo status in virtù della sua natura di genere significherebbe svilire il lavoro di Maestri riconosciuti come Don Siegel o Sam Peckinpah, tanto per fare il nome di due dei numi tutelari dell’autore di Preacher e Hitman. Chiarito questo analizziamone i punti principali, mettendo in evidenza come la scelta di pretendere attenzione da parte del lettore si sia rivelata, ancora una volta, vincente.
Il primo aspetto che merita menzione è la costruzione del personaggio: Frank è vecchio. Sulla sessantina. In un universo popolato da tardo adolescenti che non invecchiano mai e da super maggiorate antigravità non è una cosa da poco. La scelta del realismo viene portata fino in fondo, consegnandoci un antieroe che ha passato i suoi anni migliori. La guerra del Vietnam rimane la guerra del Vietnam, non si aggiorna tirando in ballo Desert Storm o missioni in Afghanistan. Questo peserà non poco su molti dei temi di tutta la run. Così abbiamo un personaggio decisamente poco accattivante (non esiste il fascino del bello e maledetto) che si muove in un contesto riconducibile senza dubbio alla nostra realtà. Qui il secondo sforzo richiesto al lettore: essere informati sugli ultimi trent’anni di storia moderna rende la lettura di questo fumetto qualcosa di decisamente diverso da fruirne da totali sprovveduti. Garth Ennis decide poi di spingere ulteriormente sull’acceleratore costruendo un complesso mosaico di personaggi ed eventi finzionali all’interno della nostra complessa VERA storia.
La gestione Ennis si potrebbe bene o male dividere in due filoni: quello malavitoso e quello delle storie di guerra (con alcuni casi di crossover tematico, tipo Gli Schiavisti). In entrambi i casi gli eventi non si susseguono casualmente, ma procedono come se si trattasse di un’unica grande storia. Anche qui si gioca sporco: tra le pagine del Punitore non troverete nessun tipo di riassunto. I collegamenti devono essere afferrati nel giro di qualche riga di dialogo, penalizzando così il lettore occasionale e costringendo l’aficionado a un lavoro mentale non indifferente. L’impressione è quella di essere spettatori di qualcosa di più grande di noi, con risultati opprimenti e claustrofobici.
Ultimo punto: la gestione della politica. Troppo facile spegnere il cervello e proclamare ai quattro venti che il Punitore è di destra. O antiamericano. O guerrafondaio. L’antiretorica dominante non permette battute machiste o esagerazioni alla Millar. L’attenzione si sposta sull’uomo e sulla sua moralità in guerra. Sul soldato come individuo tradito dalle stesse istituzioni che lotta per difendere dagli invasori del caso. Il pericolo di una serie troppo fallocentrica o eccessivamente virile è ovviato dall’amarezza che ne permea ogni pagina (con l’eccezione della macchietta comica Barracuda). Questo è l’aspetto in cui Ennis da il meglio, eliminando ogni tipo di didascalismo o semplificazione, rendendo il suo Punitore l’antitesi di quello che ci sarebbe aspettati. Sembrerà incredibile ma Frank Castle fa riflettere. Sulla vita, sulla morte, sul rispetto e sul nostro mondo. Impossibile adagiarsi sugli allori, per capire a fondo questo personaggio dovrete accendere il cervello.
Parliamoci chiaramente: Garth era partito con il piede sbagliato. Dopo l’ottimo story arc d’avvio (dove Frank si trovava a fronteggiare la famiglia Gnucci) lo sbadiglio non si celava che dietro l’angolo. Humor nero, frasi a effetto, cadute nel grottesco e troppa autoreferenzialità. Il Punitore tornava ad essere quello che tutti temevano potesse tornare a essere: un fumetto dove un vigilante uccide i criminali con armi sempre più grosse. Nessun tipo di carica eversiva, nessuna reale pericolosità. Poi venne la serie Max e il Nostro irlandese si rese conto che NON prendere per il culo il lettore è la strategia che paga meglio.
The Punisher MAX è un capolavoro del fumetto moderno. Fumetto d’autore, tra l’altro. Poco importa se Ennis scrive e basta, il suo è un universo così compatto e ratificato da meritarsi l’alloro dell’autorialità a prescindere dal medium (fumetto seriale) e dalla sua posizione di sceneggiatore. Non riconoscergli questo status in virtù della sua natura di genere significherebbe svilire il lavoro di Maestri riconosciuti come Don Siegel o Sam Peckinpah, tanto per fare il nome di due dei numi tutelari dell’autore di Preacher e Hitman. Chiarito questo analizziamone i punti principali, mettendo in evidenza come la scelta di pretendere attenzione da parte del lettore si sia rivelata, ancora una volta, vincente.
Il primo aspetto che merita menzione è la costruzione del personaggio: Frank è vecchio. Sulla sessantina. In un universo popolato da tardo adolescenti che non invecchiano mai e da super maggiorate antigravità non è una cosa da poco. La scelta del realismo viene portata fino in fondo, consegnandoci un antieroe che ha passato i suoi anni migliori. La guerra del Vietnam rimane la guerra del Vietnam, non si aggiorna tirando in ballo Desert Storm o missioni in Afghanistan. Questo peserà non poco su molti dei temi di tutta la run. Così abbiamo un personaggio decisamente poco accattivante (non esiste il fascino del bello e maledetto) che si muove in un contesto riconducibile senza dubbio alla nostra realtà. Qui il secondo sforzo richiesto al lettore: essere informati sugli ultimi trent’anni di storia moderna rende la lettura di questo fumetto qualcosa di decisamente diverso da fruirne da totali sprovveduti. Garth Ennis decide poi di spingere ulteriormente sull’acceleratore costruendo un complesso mosaico di personaggi ed eventi finzionali all’interno della nostra complessa VERA storia.
La gestione Ennis si potrebbe bene o male dividere in due filoni: quello malavitoso e quello delle storie di guerra (con alcuni casi di crossover tematico, tipo Gli Schiavisti). In entrambi i casi gli eventi non si susseguono casualmente, ma procedono come se si trattasse di un’unica grande storia. Anche qui si gioca sporco: tra le pagine del Punitore non troverete nessun tipo di riassunto. I collegamenti devono essere afferrati nel giro di qualche riga di dialogo, penalizzando così il lettore occasionale e costringendo l’aficionado a un lavoro mentale non indifferente. L’impressione è quella di essere spettatori di qualcosa di più grande di noi, con risultati opprimenti e claustrofobici.
Ultimo punto: la gestione della politica. Troppo facile spegnere il cervello e proclamare ai quattro venti che il Punitore è di destra. O antiamericano. O guerrafondaio. L’antiretorica dominante non permette battute machiste o esagerazioni alla Millar. L’attenzione si sposta sull’uomo e sulla sua moralità in guerra. Sul soldato come individuo tradito dalle stesse istituzioni che lotta per difendere dagli invasori del caso. Il pericolo di una serie troppo fallocentrica o eccessivamente virile è ovviato dall’amarezza che ne permea ogni pagina (con l’eccezione della macchietta comica Barracuda). Questo è l’aspetto in cui Ennis da il meglio, eliminando ogni tipo di didascalismo o semplificazione, rendendo il suo Punitore l’antitesi di quello che ci sarebbe aspettati. Sembrerà incredibile ma Frank Castle fa riflettere. Sulla vita, sulla morte, sul rispetto e sul nostro mondo. Impossibile adagiarsi sugli allori, per capire a fondo questo personaggio dovrete accendere il cervello.
In poche parole: se cercate pornografia action questa non è la vostra serie. Da non mancare invece se tra i vostri film preferiti mettete senza problemi La croce di ferro e L'inferno è per gli eroi.