Iron Fist rappresenta qualcosa di più di un fumetto di arti marziali. Iron Fist è l’ultima spiaggia del post moderno a fumetti, l’ultimo baluardo di una tendenza che pare destinata a morire soffocata dai suoi stessi punti cardine. Al di là della storia e dei meccanismi narrativi (funzionali e ben oliati, come ci aspetterebbe da un narratore abile come Brubaker) è la costruzione dell’immaginario a colpire e a far riflettere. Iron Fist è un fumetto leggero, scorrevole e che vive di cultura pop senza per questo vertere unicamente su citazioni, allusioni, dialoghi fiume o svisate meta narrative. Questo perché le avventure di Daniel Randal sono talmente immerse in quel continuum viscoso conosciuto come immaginario collettivo da perdere ogni connotazione ben definibile, assumendo cosi lo status di "senza tempo." Il team creativo dietro a questa serie (buona parte della riuscita va data anche al maniacale studio degli outfit da parte di David Aja) riesce a tessere una tela ricca di particolari che tutti conosciamo a menadito, impregnandoli al contempo di un feeling talmente moderno e “cool” (passatemi il termine, ma non esiste parola più giusta) da renderli qualcosa di mai visto. Ogni numero costruisce tutto il suo fascino sulla capacità di far convivere contrapposizioni clamorose, rendendolo incapace di invecchiare in qualche nicchia. Iron Fist fornisce al lettore un pacchetto più che fantasioso (città celesti, un Hydra sempre più vicina agli eccessi della Spectre, dragoni, tornei alla Morta Kombat) ma mantiene comunque un feeling urbano e stradaiolo, si basa su un fumetto spiccatamente anni ’70, prende spunto dal pulp degli anni ’40 ma è narrata e disegnata in uno stile moderno e ficcante. E’ totalmente devota all’intrattenimento ma è priva di ogni tipo di ironia, è basata sulle arti marziali ma richiede attenzione per poterne seguire la trama. Un equilibrio precario e difficilissimo da mantenere, ancora più affinato di quanto fatto da Grant Morrison durante la sua run di Batman. Così finisci per vederci di tutto, dalle sortite americane di Bruce Lee ai gongfupian di HK, senza che questi vengano neppure lontanamente chiamati in causa. Che fosse questo il fine ultimo del postmoderno , piuttosto che lo sterile giochino a chi tira in ballo il cult movie più nascosto (o il blockbuster più sopravvalutato da sua maestà nostalgia canaglia)?
3 commenti:
A me Brubaker sta piacendo molto su Daredevil e abbastanza su Capitan America (a tratti un pò lento), mi è piaciucchiato su altri cicli ma non mi ha convinto più di tanto in CRIMINAL.
Iron Fist l'ho conosciuto proprio di recente tra le pagine di Daredevil, ma non è che avesse chissà quale caratterizzazione...
Ma se dici che la sua miniserie è così interessante, non posso che crederti!
quando ho visto questo volume mi aveva colpito e un pensierino l'avevo avevo fatto, oltretutto i disegni soacccano quindi...
io se fossi in voi prenderei anche il primo volume, sul secondo ci sono n botto di riferimenti che rischiate di perdervi.
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