Provate a cercare informazioni circa lo spot Halo - Believe. Tutto quello che troverete saranno sterili argomentazioni su come le scelte registiche riescano a comunicare un pathos incredibile, come l’accompagnamento musicale sia adatto, come l’uso dei soldatini riesca a ricollegarsi con il prodotto da commercializzare,... Tutte colte elucubrazioni che nulla hanno a che fare con il vero motivo di fascinazione da parte di questo capolavoro della comunicazione. Detto senza presunzione ma con un occhio aperto sulla realtà.
Believe colpisce ed emoziona perché va ad agire su una sfera che diciassette anni di anestesia televisiva hanno completamente sopito. Un numero piuttosto preciso e che ci riporta al 1991, data fatidica in cui la guerra perdeva l’aspetto di barbaria e diveniva videogame non interattivo. Non ci sono più le foto dei morti, il dolore, la sporcizia. Solamente lucette colorate nel cielo, simulazioni computerizzate delle traiettorie di missili intelligenti e bottoni da pigiare, a migliaia di chilometri da dove la gente muore. Anni dopo questo porterà alla strana sensazione che tutti provarono in quel giorno di settembre, cioè la completa incapacità di concepire la morte reale se posta davanti agli occhi di uno spettatore inerte. Quello che ci colpiva attraverso lo schermo TV era troppo vero per esserlo, ciò che stavamo vedendo era un kolossal televisivo e non un tragico spaccato di realtà. Nel 2004 lo stesso concetto avrebbe reso Damien Hirst l’artista più pagato del mondo.
Lo spot di Halo agisce esattamente in maniera contraria: Believe ci ricorda la guerra, quanto possa essere dura e dolorosa. E stiamo parlando di un videogioco reclamizzato con un diorama e qualche decina di miniature. Il fruitore non si trova di fronte alla possibilità di passare qualche ora smanettando su di un joypad, il fruitore diventa un soldato. Master Chief, il milite ignoto del nuovo millennio. Se i campi di battaglia reali diventano patinati set per servizi della Fox, i cunicoli di Doom diventano simulacro del mondo reale, portando quest’aspetto al cubo e introducendoci al magico mondo dell’iperealtà. Dove i sentimenti più recessi hanno ancora un significato.
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