domenica 11 maggio 2008

Chocolate di Prachya Pinkaew (2008/Thailandia)


Tom Yung Goong stava a Devil May Cry come Chocolate a Double Dragon. Al femminile però.

Il nuovo hit del sempre più florido cinema delle mazzate thai si pone come non plus ultra per quanto riguarda il lato marziale, ma non riesce a raggiungere Tabunfire (Dynamite Warrior) sul versante cinematografico. Come nei due Tony Jaa movies (Ong Bak e TYG) e l’ultraviolento Born To Fight, la trama è un semplice pretesto per portare lo spettatore da un combattimento all’altro, fino alla sfiancante maratona finale, 25 minuti su 80 di durata totale. Gli scontri e il corpo, con la sua fisicità e il suo dinamismo, sono quindi al centro dell’opera, e con loro tutta una serie di rimandi all’immaginario collettivo.

Non è un caso se il primo combattimento, dove la giovane protagonista rivela la sua furia distruttrice, si consuma proprio in una ghiacciaia. Tra l’altro nei primi trailer promozionali di questo Chocolate si potevano notare proprio alcune clip in cui l’addestramento di Zen passava anche dalla visione di Game Of Death, ultimo film (anche se mai completato) del compianto Piccolo Drago. Insomma un vero e proprio omaggio alla genesi di un mito, confermato anche durante la sequenza da una sere di urli e mosse tipiche dell’ attore/regista/atleta/filosofo di origini Hong Konghesi.

Ma la vera scena di culto, quella che compete alla pari con il piano sequenza di scuola PS/XBOX di Tom Yung Goong, sono i dieci minuti passati tra leve, ginocchiate e stunt su tre cornicioni posti a diversi livelli. La cosa più simile che si potesse immaginare a un picchiaduro a scorrimento. Come è logico i movimenti in profondità sono impossibili in un tale contesto, lasciando libertà di movimento soltanto in verticale e in orizzontale. Non avete idea di quanto dolore possa trasmettere il passaggio da pixel a carne e ossa quando portato fino in fondo (piccola frecciatina alle produzioni statunitensi?).

Per il resto il film è una magnifica sarabanda di trovate, con un incipit forse fin troppo melò, ma che dopo la prima mezz’ora subisce un accelerazione vertiginosa verso la sublimazione della narrazione. Una valanga di calci, pugni, salti e stunts al limite dell’umano. Peccato che la costruzione di una mitologia locale sia ancora lontana, escludendo appunto il già citato fantasy spaghetti western Tabunfire: a fare grande il cinema marziale dell’ex colonia inglese infatti non furono soltanto registi e atleti, ma anche il significato iconico che molti personaggi si portano appresso anche oggi. Impossibile negare che mexican stand off, doppie Beretta e Chow Yun Fat che scivola su di un passamano non richiamino immediatamente una certa idea di azione esagerata, fatta di sangue, lacrime, onore e quintalate di piombo rovente. Anche senza essere fan esagerati di John Woo.


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