In occidente quasi neppure sappiamo cosa significi mecha design. Questo non pare comunque abbastanza per fermare il francese Zamak, che riesce anche a fornire un'interpretazione tutta europea di questa disciplina tipicamente nipponica.
mercoledì 31 dicembre 2008
lunedì 29 dicembre 2008
The Good, the Bad, the Weird di Kim Ji-Woon (Corea del Sud/2008)
Questo era il film che tutti, consciamente o meno, stavano aspettando. Perché Ji-Woon Kim ci consegna, finalmente, un capolavoro di puro intrattenimento. Senza alcun compromesso. The Good, the Bad, the Weird è un blockbuster privo di difetti, cinema enorme che si afferma come tale senza politica, senza piani di lettura, senza riferimenti colti o poetiche autoriali. The Good, the Bad, the Weird è tutto quello che conoscete già, ma fatto meglio. Molto molto molto meglio.
Ji-Woon Kim si dimostra un virtuoso senza pari (e in questa occasione supera di gran lunga anche il connazionale Park Chan-Wook), giocando continuamente con gru, profondità di campo e dolly vorticose. Dopo anni e anni di visioni per la prima volta mi trovo a sperare, con la paura di dover tarare su nuovi standard la definizione di perizia registica, che certi passaggi siano realizzati con l’aiuto della CG. Picchi assurdi di cinema si piegano al volere della spettacolarità, sempre in funzione di un ritmo e di una messa in scena che non permettono un solo istante di noia.
Esplosioni di violenza mai caricaturale vanno a braccetto con una sceneggiatura ricca di sottile umorismo, mentre colpi di scena calcolati con il bilancino (in senso buono) fungono da raccordo a scene action di 25/30 minuti (senza che, notate bene, una sola inquadratura venga ripetuta due volte). E poi c’è il cattivo supercool, le musiche che non c’entrano nulla, le spalle assurde e una sceneggiatura che costruisce un mondo più che raccontarci una storia.
The Good, the Bad, the Weird è uno di quei film dove si vedono tutti i (molti) soldi che ci sono stati investiti: nessun intervento digitale, set sconfinati (e perfetti per sparatorie), decine e decine di comparse pronte a cadere come mosche, una fotografia raffinatissima e un montaggio che pare calcolato al millesimo di secondo. La superficie si eleva a contenuto, senza che nessuno se ne accorga o ne abbia a male. Ji-Woon Kim vince ancora una volta il premio di regista più furbo della Terra, dimostrando anche di saper gestire la complessa macchina organizzativa di un kolossal come questo.
In conclusione: The Good, the Bad, the Weird è tutto quello che i produttori di Hollywood tentano di fare da 20 anni a questa parte, ma che non riusciranno mai a raggiungere. E’ la dimostrazione che la leggerezza può essere più intelligente di mille voli pindarici da intellettuale scoppiato. Sempre che si sappia come fare.
Se siete utenti BitTorrent e cliccate qui può darsi che riusciate a vedere il film con i sottotitoli in inglese. E se un distributore vi viene a dire che certe cose non si fanno perchè danneggiano il cinema voi rispondete che potreste tranquillamente affermare lo stesso. Ma nei suoi confronti.
Ponyhell Records: il MiniDisc come stile di vita
Alla Ponyhell Records non hanno mezze misure. Il loro scopo è sempre stato quello di diffondere e supportare le più sghembe forme di noise, fregandosene alla grande di tutto quello che non è underground.
Come palesare questi intenti all'ascoltatore occasionale? Semplice, scegliendo il MiniDisc come supporto unico e studiando packaging talmente intricati da limitare le tirature a un massimo di 50 copie per uscita (ma qui si parla già di bestseller). I ragazzi in questione sono dei grandi, e nella mia scala di gradimento personale hanno battuto anche la cassettina pelosa dei Nightbear.
Si noti che ho evitato di postare immagini dei lavori di cui si sta parlando, così da costringere gli interessati a farsi una visitina sul Myspace dei soggetti in questione. Quando ci vuole, ci vuole.
Come palesare questi intenti all'ascoltatore occasionale? Semplice, scegliendo il MiniDisc come supporto unico e studiando packaging talmente intricati da limitare le tirature a un massimo di 50 copie per uscita (ma qui si parla già di bestseller). I ragazzi in questione sono dei grandi, e nella mia scala di gradimento personale hanno battuto anche la cassettina pelosa dei Nightbear.
Si noti che ho evitato di postare immagini dei lavori di cui si sta parlando, così da costringere gli interessati a farsi una visitina sul Myspace dei soggetti in questione. Quando ci vuole, ci vuole.
sabato 27 dicembre 2008
Be a Man! Samurai School di Tak Sakaguchi (Jap/2008)
Se tutta una serie di pellicole fintamente nipponiche (come Tokyo Gore Police o Death Trance) sono riuscite ad arrivare nei nostri lettori un po’ di colpa è anche di Tak Sakaguchi. Noto ai più come Prisoner KSC2-303 (da Versus), attore e action director per la gran parte dei film del compare Ryûhei Kitamura, presenza fissa di un certo tipo di produzioni pensate con più di un occhio al mercato occidentale ora, per il Nostro, è il momento del grande salto dietro la macchina da presa. E, incredibile a dirsi, il risultato non è dei più terribili.
Be a Man! Samurai School è un film minuscolo, mediocre dal punto di vista tecnico e nullo da quello della scrittura, ma con il pregio di essere indiscutibilmente jappo. Non una cosa da poco, in tempi di globalizzazione forzata come i nostri.
Be a Man! Samurai School è iscrivibile nel genere/cliché delle botte liceali, filone che pare sul punto di rifiorire anche grazie al recente contributo di Miike, ma il suo obbiettivo è ben altro rispetto alle solite guerre intestine tra gang rivali. Nel suo debutto alla regia Tak Sakaguchi mette alla berlina tutta una serie di stereotipi su virilità, onore e senso di fratellanza troppo ancorati alla cultura nipponica per essere completamente digeriti dal consumatore occasionale di cinema. Dalla recitazione sopra le righe a una serie di crudeltà che stridono non poco con i toni da commedia dell’insieme, il prodotto finito assume una conformazione troppo di nicchia per ambire a nuovo cult da nerd orientofilo.
Se invece avete passato ore e ore in compagnia di samurai, yakuza e falangi mozzate allora c’è anche la possibilità di farsi qualche grassa risata. Il tenore dell’umorismo è sempre sospeso tra il surreale e la feroce parodia, con diversi picchi di totale demenza. Molto controllato lo splatter (era ora che qualcuno si accorgesse che gli schizzi di sangue non fanno ridere per forza) e non malaccio la regia, capace di regalare anche qualche colpo di testa non da poco.
Tak Sakaguchi dimostra di saper giocare col fuoco scrivendo e dirigendo un film ben più pericoloso e destabilizzante di quelli ultimamente spacciati come tali. I valori derisi (e non certo con raffinata ironia inglese) sono fulcro centrale di una fetta enorme della produzione giapponese, oltre che parte integrante della mentalità di questo popolo. Deriderli senza pietà significa esporsi molto più che filmare l’ennesima donnina nuda coperta di sangue.
Senza prendere in considerazione quei casi dove non c’è neppure la donnina nuda.
martedì 23 dicembre 2008
Nobody Dies: il superflat di Mr. invade Parigi (ma Kenta Fukasaku c'era arrivato prima)
Fino al 10 gennaio, presso la galleria parigina Emmanuel Perrotin, sarà possibile visitare Nobody Dies, l'ultima mostra del nipponico Mr. Esponente della corrente del superflat, pungente osservatore della nostra realtà mediata, abile manipolatore di medium e linguaggi. Insomma, un gran figo. Anche se, per essere sinceri, c'è qualcuno che tutto questo l'ha gia fatto nel 2002. Parlo di uno dei registi più incompresi degli ultimi anni. Parlo di Kenta Fukasaku.
Quando, nel 2002, gli appassionati poterono mettere le mani su Battle Royale 2 fu il finimondo. Il figlio del maestro Kinji aveva consegnato ai posteri un manifesto della società liquida potente quanto una bomba termonucleare, incomprensibile a chiunque si fosse avvicinato al lungometraggio bramando la solita dose di sadismo e mutandine bianche da weirdata nipponica.
A sei anni dalla sua uscita Battle Royale 2 gareggia ancora con Starship Troopers per il titolo di blockbuster più politico, amorale e disturbante di sempre. Qui (e qui, nel caso vi interessi la seconda parte) trovate un mio speciale sul regista e sull'opera in questione. Fatemi sapere cosa ne pensate.
Quando, nel 2002, gli appassionati poterono mettere le mani su Battle Royale 2 fu il finimondo. Il figlio del maestro Kinji aveva consegnato ai posteri un manifesto della società liquida potente quanto una bomba termonucleare, incomprensibile a chiunque si fosse avvicinato al lungometraggio bramando la solita dose di sadismo e mutandine bianche da weirdata nipponica.
A sei anni dalla sua uscita Battle Royale 2 gareggia ancora con Starship Troopers per il titolo di blockbuster più politico, amorale e disturbante di sempre. Qui (e qui, nel caso vi interessi la seconda parte) trovate un mio speciale sul regista e sull'opera in questione. Fatemi sapere cosa ne pensate.
lunedì 22 dicembre 2008
Sukiyaki Western Django di Takashi Miike (Jap/2007): come mi riprendo il Giappone e me ne fotto degli americani.
Difficile trovare una figura più controversa di Takashi Miike nel panorama cinematografico dei nostri giorni. Il regista di Osaka riesce a imporsi nel medesimo tempo sia come autore austero che come perfetto prodotto del mercato. Inutile stupirsi di come un artista osannato da Ghezzi e Muller (mica gli ultimi due arrivati) possa passare alla speculazione videoludica, senza dimenticarsi di essere stato scelto dagli intellettuali nipponici come regista di The Great Yokai War e di essere amato in tutto il mondo per la sua misoginia e crudeltà, cosi come per le sue dolci digressioni infantili. Una schizofrenia che lo ha portato, a solo un anno di distanza dalle sperimentazioni queer di Big Bang Love, Juvenile A, a dirigere questa marchetta pulp.
Sukiyaki Western Django è chiaramente un’operazione studiata a tavolino (come testimonia il cameo di Tarantino nei panni di Ringo), un mezzo fallimento concepito come il prossimo cult planetario. Lo stadio finale di un piano ben congegnato, ma sabotato dall’interno da Miike stesso. Un uomo che non riesce in nessun modo a rendersi invisibile, abbassandosi al livello di shooter pagato a ore.
La prima barriera contro cui il grande pubblico rischia di infrangersi è la concezione di ritmo del Nostro: assistere a un film di Miike è una prova non da poco. Si ha la sensazione di aver assistito a un lungometraggio di 3 ore dopo soli 20 minuti di proiezione. Per lassi di tempo enormi non succede nulla, poi tutto si brucia nel giro di una manciata di secondi. Nel frattempo davanti ai nostri occhi si affastellano decine di personaggi, situazioni, storie apparentemente inutili. Un linguaggio cinema che non affabula lo spettatore, che non lo anestetizza. Una continua corsa alla sperimentazione all’interno del genere puro che non può che ricordare il pioniere Seijun Suzuki. Esattamente come il regista di Tokyo Drifter (1966) la composizione dell’inquadratura è maniacale, sfruttando a pieno l’enorme talento visivo di Miike, ma mai convenzionale. Si ruba a piene mani da manga, videogiochi, cinema di ogni parte del mondo. Quello che ci viene restituito è un affresco western rivisto con ottica iper moderna. Dentro ci trovi un po’ di tutto: fondali dipinti, sangue a fiumi, pose plastiche, umorismo slapstick, dramma, citazioni dalla serie Female Prisoner Scorpion di Shunya Ito fino a Da uomo a uomo di Giulio Petroni,… Il perfetto prontuario per una versione wasabi del Grindhouse statunitense, se in ballo non ci fosse il regista meno adatto a questi contentini per un pubblico di nostalgici.
La messa in scena è sontuosa, dai paesaggi agli stupendi costumi, e tutto gioca con la confusione tra occidente e oriente. O meglio: tra come l’oriente voglia apparire occidentale e come appare in realtà. Una recitazione in un inglese stentato diventa cifra stilistica se messa in mano a un pazzo come l’uomo dietro Ichi the Killer. Scelta confermata dal fatto che l’unica frase in Giapponese di tutto il film viene urlata da un uomo in punto di morte. Come se il tempo dei giochi fosse finito. Come se, sotto sotto, la propria nazionalità fosse più forte di ogni condizionamento.
E se questo Django fosse il primo film moraleggiante di Miike? Cosa vi sareste aspettati da un remake di un film italiano (anzi, per un certo senso, del film italiano per eccellenza) girato con mentalità statunitense da un giapponese? Una puttanata, poco altro. Takashi si toglie un sassolino grande quanto un macigno dalla scarpa e rincara la dose di polemica bulldozer portata avanti dal suo episodio Imprint per la serie Masters of Horror (l’unico episodio di un regista orientale per una serie americana, l’unico episodio censurato). Probabile che la sua parentesi americana nasca e finisca qui, con sua (e nostra) grande felicità.
Iconoclasta fino alla fine. Proprio come il Django di Corbucci.
venerdì 19 dicembre 2008
[trailer] Samurai Zombie di Tak Sakaguchi (Jap/2009)
Basta! Qualcuno ricordi ai giapponesi quanto è stato grande il loro cinema. Ne ho francamente piene le palle di ragazze mitragliatrici, macchine delle polpette e katane da Final Fantasy. Eppure c'e chi, come Tak Sakaguchi (protagonista di Versus, regista di Be a man samurai school), ancora non l'ha capito. Si prevede diffusione capillare tra i circolini del bizzarro a tutti i costi, festival del retrobottega, classifiche di fine anno (prossimo). Io passo.
Qui sinossi e trailer.
Qui sinossi e trailer.
domenica 14 dicembre 2008
Protest the Hero - Fortress (Vagrant Records/2008)
La tecnica e la follia dei Between The Buried And Me. La paraculaggine degli Every Time I Die. Un goccio di Faith No More e di classic rock/metal a insaporire ulteriormente il tutto. Mentre si perde tempo a giustificare dischi nati morti e si spendono soldi per arricchire ancora di più vecchie cariatidi, qualcuno cerca di portare avanti un discorso che i più cinici dichiarano morto da almeno 20 anni. I Protest the Hero ci si presentano con un miracolo: Fortress è accattivante, melodico, accessibilissimo. Ma anche maledettamente complesso, ricco e impenetrabile nelle sue architetture math. Basterebbe una sola canzone di questi canadesi per avere tante idee da spazzare via qualsiasi democrazia cinese, sarebbe sufficiente scegliere una delle decine di linee melodiche del cantante Rody Walker e ripeterla a loop per tre minuti e avremmo tra le mani il singolo dell’anno. Eppure non funziona così, perché una volta qui era tutta campagna e si stava meglio quando si stava peggio. Continuiamo a pagare 60 euro per vedere i Metallica toppare gli stessi passaggi che sbagliavano negli anni ’80, tiriamo fuori i 120 euro per comprarci il cofanetto a forma di bara bianca e lasciamo ancora una volta sullo scaffale Mastodon, Dillinger Escape Plan e da qualche mese a questa parte anche questi Protest the Hero. Tanto a cambiare il rock ci pensano gli scartini di Axl. Che bello.
giovedì 11 dicembre 2008
Lo specchio dell'amore di Alan Moore e Villarrubia José (Edizioni BD/2008)
Le dichiarazioni seguenti sono tratte dal forum del Corriere della Sera. Sono commenti riguardo alla scelta della RAI di trasmettere il film Brokeback Mountain in versione censurata. Si consideri che non si vuole discutere della qualità artistica del film in questione, ma dell’atteggiamento di certa gente nata nel nostro stesso secolo (difficile a credersi, lo so).
“Come molti sanno l omosessualità è una deviazione della sessualià, una risposta psicosessuale sbagliata , come l'incesto , come il sadomasochismo il voyerismo ecc. Una certa medicina in seguito ai numerosi e riprovevoli (oltre che criminosi) atti discriminatori verso gli omosessuali ha pensato bene di eliminare l omosessualità dal prontuario delle malattie , piu per un fatto politico che su basi medico scientifiche , tant'è che ancora oggi esistono molte terapie per guarire dall omosessualità. Col tempo però un certo potere mediatico entrando nelle nostre case ha forzato la nostra cultura facendo passare l omosessualità come comportamento corretto. Quando ho letto della proiezione del film mi sono molto meravigliato di questo notevole abbassamento di livello culturale da parte del servizio pubblico , evidentemente però esiste ancora un sistema in Italia capace di tener lontano dalle fasce protette. E' giusto che il "ben pensante progressista" possa accedere a spettacoli che reputa consoni al proprio modo di pensare e vivere, ma è giusto che cio avvenga a pagamento e o soprattutto lontano dagli orari in cui le famiglie ancora sono riunite davanti alla tv. Per chiudere inviterei la RAi a spostare ulteriormente programmi violenti cruenti ed inauditi a fasce notturne (es Criminal minds ecc)”
“Ha fatto bene la RAI. Non è che vedere l'atto amoroso tra due uomini sia il massimo della bellezza. I gay la smettano di comportarsi da diversi e saranno trattati da uguali.”
“con buona pace dell'arcigay, non e' che alla maggioranza della gente faccia molto piacere vedere scene omosessuali. la rai ha fatto bene a tenerne conto.”
“Ma finitela con i piagnistei, non siamo tutti omosessuali e alla maggioranza degli uomini, vedere due maschi che si sbaciucchiano fa veramente schifo, imparate a rispettare anche gli altri, invece di pretendere che la maggioranza si adegui ai gusti bizzarri della minoranza. Trovo giusto non trasmettere certe scene in una tv nazionale che, deve rispettare l sensibilità di tutti.”
“Sinceramente il rischio che qualcuno dei miei figli potesse vedere due maschi che si baciano mi preoccupava alquanto. Ancora ricordo il disgusto di quando ho visto un bacio simile in un film di Ozpetek. Bleah”
C’è forse bisogno di chiedersi se un’opera come “Lo specchio dell’amore” abbia ancora senso di esistere? Sorvolando sul lato più tecnico della composizione (non ho le competenze necessarie per analizzarla in maniera competente) rimane da discuterne l'immenso valore artistico.
Il poema del Maestro Moore trascende la sua identità di opera queer fin dalle prime pagine, assurgendo a manifesto dell’amore negato in ogni sua forma. Senza moralismi o cadute nel patetico, il Bardo ci lancia in una cavalcata (è proprio il caso di dirlo, vista la velocità con cui si consumano le pagine) tra i secoli e i volti di una lotta che, evidentemente, non vede ancora la fine. Alternando umorismo dallo spiccato accento britannico, ubriacature di libertà e la solita, immane quantità di riferimenti storici quello che ci rimane tra le mani è un volume da lasciare a portata di mano, per essere letto e riletto fino allo sfinimento. Perché parlare solo di amore tra le persone dello steso sesso sarebbe un delitto per tutti quelli divisi da convenzioni e convinzioni che non hanno più di senso di esistere da secoli. Ma altrettanto delittuoso sarebbe parlare solo di amore, quando in ballo c’è la libertà di essere ciò che si vuole essere.
Completano il volume le fotografie di Villarrubia José. A tratti semplici semplici a tratti deflagranti, sempre suggestive e mai banali. Preziose come un forziere colmo di emozioni e sogni, vicine come un libro di fiabe.
Correte a comprare "Lo specchio dell’amore". Subito.
mercoledì 10 dicembre 2008
[ma quanto lo aspetto?] Thirst [Bakjwi] di Park Chan-wook (KR/ 2009)
Direttamente da tg korea le prime immagini dal nuovo lavoro di Park Chan-wook. Secondo le anticipazioni il lungometraggio parlerà di vampiri e dovrebbe essere il film che la troupe protagonista del segmento coreano di Three...Extremes (di Park Chan-wook, Takashi Miike e Fruit Chan) sta girando all'inizio del segmento stesso (alla faccia dell'autoreferenzialità!). Cosa aspettarsi quindi dal regista di Old Boy, Lady Vendetta e di I'm a Cyborg, but that's ok ? Difficile immaginarselo quando il soggetto in questione ama passare dalle commedie surreali a noir amorali fino all'affresco politico. Riconfermando ogni volta il suo feticismo per la carta da parati.
martedì 9 dicembre 2008
[trailer] Yatterman di Takashi Miike (Jap/2009)
Da regista icona dell'estremo più intollerabile a mente dietro a questo live action di Yatterman. Solo Miike poteva tanto.
lunedì 8 dicembre 2008
[trailer] Elite Yankee Saburo di Yudai Yamaguchi (Jap/2009)
Il buon Yudai Yamaguchi nasce come sceneggiatore di Ryuhei Kitamura. Esatto, quest'uomo ha sceneggiato Versus. Probabilmente su di un postit attaccato al retro di una cartuccia per Gameboy.
Dopo un avvio di carriera così importante è sembrato logico a tutti il passaggio dietro la macchina da presa. Tra le sue gemme possiamo ricordare il geniale dittico scolastico Cromartie High School/Battlefield Baseball e la fuffa per nerd occidentali Meatball Machine.
Fortunatamente con il prossimo lavoro del Nostro pare si torni nei territori del film di bande liceali. Con tutto il bene e il male che ne verrà.
Fortunatamente con il prossimo lavoro del Nostro pare si torni nei territori del film di bande liceali. Con tutto il bene e il male che ne verrà.
domenica 7 dicembre 2008
Evil Dead: The Musical
E se andate sul sito c'è pure un trailer stupendo.
giovedì 4 dicembre 2008
Natale, tempo di buoni sentimenti
Scoprite il senso della vita ascoltando la triste storia di Pete, il burattino di carne. Cocaina, cannibalismo, catene di fast food e tanto altro ancora!
A seguire simpatici consigli per i vostri regali natalizi.
mercoledì 3 dicembre 2008
Psycroptic - Ob(Servant) (Nuclear Blast/2008)
Vengono dalla Tasmania e fanno un casino di male. Proprio come il noto personaggio dei cartoni animati gli Psycroptic ci aggrediscono con un attacco ipercinetico e inarrestabile, un’autentica forza della natura. Con lo sbriciolamento delle barriere tra HC, death e grind ormai realtà tangibile è lecito aspettarsi da ogni uscita un alternarsi furibondo tra assalti ferini e rallentamenti spaccaossa, ma ben poche volte ci si è trovati in presenza di un esperimento così ben riuscito. Prendendo le distanze dal groove quasi NY dei Despised Icon o dagli eccessi math di band come Red Chord o Animosity, i Nostri preferiscono intraprendere un percorso del tutto personale. Meno colti e corrosivi dei neo zelandesi Ulcerate, ne condividono freschezza e allergia al già sentito (oltre che continente). Una ricerca spasmodica verso un modernismo tutto votato all’impatto si sposa alla perfezione con una costruzione millimetrica di ritmi e strutture, garantendo sempre e comunque un ascolto scorrevole. Nonostante si stia maneggiando materiale che necessita di tutta l’attenzione possibile per non rimanerne scottati. Un lavoro che parrà poco più che discreto a chi concepisce l’estremo come accozzaglia di riff e cantati da lavandino intasato, ma imperdibile per chi non può vivere senza un cambio di riff ogni 2 secondi, vocals al vetriolo e strutture che sembrano prese dal seminale Calculating Infinity. L’impressione ultima è che il percorso da Unique Leader, passando per Neurotic Records e concludendo per la major Nuclear Blast abbia fornito ai Nostri la sicurezza necessaria per allontanarsi dallo spettro di ennesimo gruppo clone dei Suffocation, regalandoci l’ennesima grande band. Cosa chiedere di più?
martedì 2 dicembre 2008
Nuova arte cinese alla Saatchi Gallery
Presso la prestigiosa Saatchi Gallery di Londra va in scena The Revolution Continues: New Chinese Art, interessante mappatura delle correnti artistiche provenienti dalla nuova superpotenza mondiale. Che ora ci appare più problematica e contradditoria che mai.
[trailer] Fireball di Thanakorn Pongsuwan (THA/200?)
Finalmente, grazie al grande Alexander, sono venuto a capo di qualche informazione circa questo fantomatico Fireball. Studiando il trailer la conclusione a cui si arriva è solo una: per quanto brutto possa essere il risultato finale, non avremo a che fare con la solita commedia sportiva US. Bene, bene.
Qui un breve comunicato stampa:
New movie Fireball is not only a new blend of action -- melding Muay Thai with basketball -- it's also the first film from a new Thai studio, albeit one with some familiar names behind it.They were behind such films as the original Bangkok Dangerous, Tears of the Black Tiger and Bang Rajan.
Story line - Tai gets out of jail to find that twin brother Tan had been in a coma for a year. He discovers that his brother had entered the world of Fireball, a violent game based on basketball hosted by an underground criminal gangs, so as to raise the money for Tai's early release. However, he was brutally beaten by another player Tun. Tai agrees to join Dens' team so that he can track down the man who hospitalized his brother.
Tai is befriended by his teammates: Singh, a Thai boxing champion who wants to prove that he is the best; Muk, a Thai-African guy who needs money to support his family; IQ, a cheerful character who only wants to help his mother; and K, an old friend of Tai's, who has a mysterious past. He and his teammates must risk their lives and fight their way to the final round of the deadly Fireball championships so that Tai can avenge his brother on the court.
lunedì 1 dicembre 2008
Like a dragon di Takashi Miike (Giappone/2007)
Paradossi a cui si va in contro se si decide di collaborare con Takashi Miike. Quando il produttore Toshiro Nagoshi decise di spingere la software house Sega a finanziare una controparte orientale di Grand Theft Auto, la scelta del fuorilegge di Osaka come regista per le scene di raccordo fu quasi automatica. Così come il capolavoro della Rockstar (soprattutto il capitolo ambientato a Vice City) non ha mai fatto mistero circa i suoi prestiti nei confronti dei grandi crime movies occidentali, era naturale che l’erede di Fukasaku (e, non per nulla, autore di un fantastico remake di una delle pietre miliari dello yakuza eiga a opera del maestro) fosse incaricato di donare un'aura cinematografica al progetto. Ma cosa succede se Miike finisce per essere incaricato anche della trasposizione del videogioco su grande schermo?
Like a dragon vale molto di più come cortocircuito di linguaggi che come opera filmica, forte di tutti i pregi e i difetti che ogni lungometraggio dell’iconoclasta giapponese comporta. La volontà di unire un cast oceanico (scelta che rimanda direttamente a Battles without honour and humanity e a tutti gli Yakuza papers seguenti) con una sceneggiatura a incastro di scuola Tarantinesca/Guy Ritchiana è quantomeno deleteria se messa a contatto con la concezione del ritmo narrativo di Miike. Come in ogni altra regia del Nostro i tempi si dilatano all’infinito per poi comprimersi all’improvviso, dando spazio infinito a parentesi (apparentemente) inutili per bruciare tutti gli snodi narrativi fondamentali in un pugno di minuti (si veda l’intro del primo DOA, un lungometraggio di ampio respiro riassunto in sette minuti). Affascinante cifra stilistica che in un contesto come il blockbuster appare invece come incapacità nella gestione dei tempi.
Ricollegandoci al concetto di cortocircuito Like a dragon è invece una prova di forza fenomenale. Rifiutando di tornare a girare un nuovo Agitator (200 minuti di sommesso e livido intimismo yakuza) Miike decide di punteggiare lo script di trovate al limite del surreale. Boss mafiosi che uccidono a colpi di palla da baseball, duelli molto John Woo ma con fucili a pompa al posto delle celebri Beretta, risse alla Tekken con tanto di auree vitali e pugni in fiamme, enormi elicotteri Huey capaci di volare rasoterra alle trafficate strade di Tokyo, miracolosi reintegratori vitaminici e un protagonista, Kiryu, dotato di tutto il carisma necessario a fissarsi a lungo nell’immaginario collettivo. Se il videogioco era dotato di una regia e di una sceneggiatura capace di elevarlo quasi allo status di film interattivo, così la sua trasposizione su pellicola fa di tutto per ricordarci da dove viene.
A una serie di trovate registiche stupefacenti per freschezza e audacia Miike affianca, come sempre, un lungo giro sull’ottovolante delle emozioni più viscerali. In Like a dragon si passa da farsa a dramma (e viceversa) senza soluzione di continuità, lasciando spesso spiazzati per la velocità con cui si viene sbalzati dall'umorismo cartoonesco al pathos dell’affresco criminale. Le trovate visive alternano un uso sorprendente del digitale (sempre esplicito) con immagini di una poesia e di una potenza mozzafiato, senza dimenticare i classici micro cut tanto cari al regista di Ichi the Killer.
Di certo non il miglior Miike, ma di sicuo l'ennesima dimostrazione di quanto questo cineasta stia riscrivendo le regole del cinema. Giapponese e non solo.
Person John Woo
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