Fresca fresca da Fangoria ecco l'ultima news talmente made in Japan da sembrare studiata apposta per gli occidentali: è entrato in produzione Tokyo Gore Police, ennesimo frullatone trash/weird che butta nel piatto sangue, mostri di gomma, demenza e qualche forzatura di troppo. Tutto dalla stessa squadra che vi ha portato i film citati nel titolo del post. Coincidenze che non fanno che confermare la mia tesi di una produzione nipponica sempre meno genuina (casi a parte) e sempre più votata all'autoreferenzialità più sterile. Nell' articolo di seguito (scritto proprio per Meatball Machine) trovate tutto spiegato meglio.
Anche se in ritardo di almeno due anni (anche se accessibile al pubblico anglofono da pochissimo) vale comunque la pena parlare di questo Meatball Machine, lavoro che potrebbe nascondere sotto le oziose pieghe del divertissement fine a se stesso alcuni particolari a dir poco inquietanti (per la salute del cinema nipponico).
La trama del film è spiegata in una manciata di parole: piccoli alieni parassiti combattono tra loro prendendo il controllo di ignari terrestri e tramutandone il corpo in una micidiale quanto informe macchina da guerra. Fine. Il tutto spingendo sull’acceleratore del cheapo e del weirdo a ogni costo. E proprio qui nascono i primi problemi, perché per quanto l’idea (?) di base possa fungere da solida base per sviluppi visivo/linguistici (meglio lasciare i contenuti in disparte…) inediti, il tutto sembra girato per dare in pasto al pubblico occidentale quello che ci aspetterebbe da un b movie giapponese. Mano a mano che il film procede si ha l’impressione di avere tra le mani una versione ignorante di quel Tetsuo (Shinya Tsukamoto, 1988) capace di fondere in maniera eccellente linguaggio manga e ossessioni riconducibili ai maestri Cronenberg e Lynch. Peccato che qui non ci sia nessuna riflessione sulla nuova carne, sulle macchine e sulla modernità, nessun nuovo tentativo di contaminazione tra linguaggi, riducendo il tutto ad un susseguirsi di siparietti tra il gore e l’alienato, e piuttosto che al valore semantico della letteratura disegnata si preferisce dare spazio a influenze super cool alla She, the Ultimade Weapon. L’uso reiterato di filtri colorati, inquadrature fisse ossessionanti, personaggi sopra le righe ad ogni costo danno all’intero lungometraggio una patina sospesa tra l’arty di bassa lega e la stravaganza studiata in laboratorio, lasciandosi alle spalle quanto di buono aveva fatto in precedenza il regista Yudai Yamaguchi. Un uomo capace di salire alla ribalta per aver scritto (probabilmente su di un post it) la sceneggiatura di Versus, trampolino di lancio per Ryuhei Kitamura (oggi impegnato in lidi barkeriani) e per aver diretto due tra le più dementi pellicole del cinema moderno: Battlefield Baseball (2003) e soprattutto Chromartie High (2005), autentica perla di stupidità e leggerezza.
La trama del film è spiegata in una manciata di parole: piccoli alieni parassiti combattono tra loro prendendo il controllo di ignari terrestri e tramutandone il corpo in una micidiale quanto informe macchina da guerra. Fine. Il tutto spingendo sull’acceleratore del cheapo e del weirdo a ogni costo. E proprio qui nascono i primi problemi, perché per quanto l’idea (?) di base possa fungere da solida base per sviluppi visivo/linguistici (meglio lasciare i contenuti in disparte…) inediti, il tutto sembra girato per dare in pasto al pubblico occidentale quello che ci aspetterebbe da un b movie giapponese. Mano a mano che il film procede si ha l’impressione di avere tra le mani una versione ignorante di quel Tetsuo (Shinya Tsukamoto, 1988) capace di fondere in maniera eccellente linguaggio manga e ossessioni riconducibili ai maestri Cronenberg e Lynch. Peccato che qui non ci sia nessuna riflessione sulla nuova carne, sulle macchine e sulla modernità, nessun nuovo tentativo di contaminazione tra linguaggi, riducendo il tutto ad un susseguirsi di siparietti tra il gore e l’alienato, e piuttosto che al valore semantico della letteratura disegnata si preferisce dare spazio a influenze super cool alla She, the Ultimade Weapon. L’uso reiterato di filtri colorati, inquadrature fisse ossessionanti, personaggi sopra le righe ad ogni costo danno all’intero lungometraggio una patina sospesa tra l’arty di bassa lega e la stravaganza studiata in laboratorio, lasciandosi alle spalle quanto di buono aveva fatto in precedenza il regista Yudai Yamaguchi. Un uomo capace di salire alla ribalta per aver scritto (probabilmente su di un post it) la sceneggiatura di Versus, trampolino di lancio per Ryuhei Kitamura (oggi impegnato in lidi barkeriani) e per aver diretto due tra le più dementi pellicole del cinema moderno: Battlefield Baseball (2003) e soprattutto Chromartie High (2005), autentica perla di stupidità e leggerezza.
Yamaguchi è tutt’altro che un maestro, soffre di una penuria tecnica ingiustificabile e spesso dimentica quanto la nozione di ritmo sia importante per la riuscita di un lavoro. Eppure la sincerità e l’onestà dei suoi precedenti lavori era palpabile, facendoci sorvolare sui (molti) difetti a favore dei (pochi) pregi. Dotato di un umorismo puerile e scevro da ogni velleità di politicamente scorretto, il buon Yamaguchi riusciva a trasmettere quel senso di vuoto pneumatico di cui solo certi manga o anime detenevano il segreto. Si è già detto che questo Meatball Machine non è che punti molto più in alto, ma è la sua fastidiosa tendenza a puntare sempre più in alto (si veda l’escalation di armi generate dai Necroborg) a dare fastidio, come se ci si trovasse di fronte ad un idealizzazione forzata del cinema nipponico che, detto per inciso, nella concezione dello spettatore medio occidentale si riduce a un guazzabuglio di bambine nero crinite, presunti ritmi zen e bizzarrie a base di mostri gommosi (alla faccia del razzismo culturale!). Questa riflessione (tra l’altro parzialmente confutata dalla lungaggine con cui sono stati venduti i diritti per l’estero di questo Meatball Machine) ci porta ad un altro film recente, Death Trance (2005) di Yuji Shimomura, co prodotto dall’americana Tokyo Shock (sussidiaria orientofila della label Media Blaster). Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un guazzabuglio talmente nipponico non risultare più come tale: in un medioevo che pare essere tratto di peso da un Final Fantasy qualsiasi si scontrano personaggi di ogni tipo, dagli emuli di Django a quelli di Berserk, armati di spade, bazooka e chopper. Il tutto accompagnato dalle note dei super popolari Dir En Grey e diretto dal regista dei filmati di Devil May Cry 3 e stunt coordinator per Godzilla: Final Wars (2004). Detto questo, detto tutto: sebbene il film risulti divertente e spesso sorprenda per alcune trovate, si ha un senso di artificioso che lascia il sapore di plastica in bocca. E si noti il termine “plastica” e non lattice (allora sarebbe stata tutta un'altra storia).
Il cinema del paese del Sol Levante ha veramente bisogno di questi mezzucci per essere appetibile a un pubblico lobotomizzato dall’imperialismo culturale statunitense? Una nazione che, ricordiamolo, ha bisogno di convertire (ri doppiaggi, remake, registi comprati e stuprati a suon di contratti milionari) ogni cosa di buono che proviene al di fuori dai suoi confini a qualcosa di interno, capace di mettere autentici maestri come Tsui Hark e Ching Siu Tung a dirigere film con Van Damme e Steven Segal. Continuo a ribadirlo: detto questo, detto tutto.
Ora non ci rimane che attendere il nuovo parto delle teste pensanti dietro ai cult di cui si è appena parlato, che tra l’altro sembrerebbe ancora co prodotto dagli americani della TS: The Machine Girl, storia di una liceale che in seguito ad un stupro si ritrova con un potentissimo vulcan cannon al posto del braccio sinistro. Il trailer promette sangue, motoseghe, tempura e una vagonata di altre cazzatone che fanno tanto Troma sotto anfetamina. Già sul web si sprecano elogi a priori e incoronazioni a cult dell’anno, ma sarà vera gloria? Riuscirà questa sorta di “one armed machine girl” a trasmettere quel senso di autentica follia che solo chi vive a pane e tokusatsu riesce ad apprezzare e a contestualizzare nel panorama dell’immaginario collettivo moderno?
Ora non ci rimane che attendere il nuovo parto delle teste pensanti dietro ai cult di cui si è appena parlato, che tra l’altro sembrerebbe ancora co prodotto dagli americani della TS: The Machine Girl, storia di una liceale che in seguito ad un stupro si ritrova con un potentissimo vulcan cannon al posto del braccio sinistro. Il trailer promette sangue, motoseghe, tempura e una vagonata di altre cazzatone che fanno tanto Troma sotto anfetamina. Già sul web si sprecano elogi a priori e incoronazioni a cult dell’anno, ma sarà vera gloria? Riuscirà questa sorta di “one armed machine girl” a trasmettere quel senso di autentica follia che solo chi vive a pane e tokusatsu riesce ad apprezzare e a contestualizzare nel panorama dell’immaginario collettivo moderno?
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