domenica 5 dicembre 2010

Seul come Manhattan: I Saw the Devil di Jo Woon Kim (Kr/2010)




Jo Woon Kim è il miglior mestierante del mondo. Uno che ha spiattellato tutto quello che c’era da dire in due film e ora può dedicarsi alla forma come solo un vero autore farebbe. Confusi? Andiamo per gradi. Kim viene dal teatro ma vuole fare cinema. Il ponte è The Quiet Family, farsa esagerata e nerissima. Il pregio maggiore del film è quello di fornire a Miike materiale per un remake straordinario (The Happiness of the Katakuris), mentre per il resto è mero esercizio. Pratica necessaria per passare al prossimo The Foul King, commedia amara a base di wrestling e perdenti (una sorta di The Wrestler ancora più pessimista, forse perché completamente rassegnato). Alla seconda prova dietro la macchina da presa JWK dimostra che ci troviamo di fronte a un grande artista, dotato di sguardo lucido e poetica potente. Chiarito questa cosa il Nostro decide di mollare ogni discorso interiore per dedicarsi all’esplorazione dei generi. A oggi la sua è un’opera estetizzante, capace di svuotare il cinema di ogni significato per lasciarne solo uno sfavillante (e riconoscibilissimo) involucro esterno. E proprio qui sta la sua forza. Per spiegarlo tiriamo in ballo l’artista statunitense Kaws.



Il soggetto in questione è diventato famoso ridisegnando i Simpson, SpongeBob e altri personaggi di fantasia in maniera identica agli originali (copiando proprio i fotogrammi), se non sostituendone il volto con il suo logo. Sono personaggi autentici in due sensi: Homer è veramente Homer (creazione di Matt Groening), ma è anche un qualcosa riconducibile esclusivamente al writer di NY. Proprio come i generi modificati da Kim: il suo Bittersweet Life è un noir melodrammatico come tanti ma che solo lui poteva fare, Two Sisters è un k-horror banalissimo ma inconfondibile, e così via. Sono OriginalFake, per usare un’espressione dello stesso Kaws. Che, guarda caso, chiama proprio così il suo negozio di Tokyo. Dove, tanto per rincarare la dose, vende la sua linea di abbigliamento e i suoi giocattoli definendoli estensioni del proprio percorso artistico. Sono Original perché disegnati da lui, Fake perché riprodotti in serie. Ron English diventa famoso sabotando cartelloni pubblicitari in maniera clandestina, Kaws assurge a celebrità perché in quel di Manhattan invece li abbellisce (sempre in maniera illegale). La gente comincia a rubare le affissioni, mentre i grandi fotografi lo lasciano accedere agli scatti originali. Kaws vuole essere la cultura visiva che ci circonda, non sovvertila. Proprio come la mente dietro a I Saw the Devil.



Jo Woon Kim può contare sul suo bagaglio tecnico impressionante per portare a nuova vita sceneggiature già viste mille volte. Un meccanismo perfetto se applicato al blockbuster (vedi il suo precedente The Good, the Bad, the Weird) perché cinema di superficie, ma che lascia qualche riserva se fatto aderire all’exploitation pù di pancia (come il rape’n’revenge). I Saw the Devil punta al basso ventre ma è troppo bello in senso classico per poterci riuscire. Si è concentrati a perdersi nella fotografia maniacale e nei movimenti di macchina impossibili (c’è un combattimento in macchina che vi farà cercare la mascella sotto il divano) per provare veramente orrore e raccapriccio. Anche lo scaltro Bong ci era arrivato, affidando a una messa in scena (solo apparentemente) sommessa e minimale il suo capolavoro Mother.



Peccato, perché la sceneggiatura era di quanto più volgare e dritto in faccia si potesse cercare. In poche parole: un serial killer uccide la fidanzata di un poliziotto, questo si mette a indagare sul colpevole. Lo trova prima che sul display del lettore dvd scatti la mezz’ora. Il film dura due ore e venti.
Se si conosce la tipica variazione sud coreana al genere cosa succede nei restanti 110 minuti è abbastanza intuibile. Di splatter e torture ce ne sono in abbondanza, ma sono filmate in maniera troppo elegante per fare veramente male. Tanto per capirci un film come The Chaser, bello senza essere nulla di trascendentale, colpiva in maniera molto più efficace (nonostante una scrittura meno immediata e furba).



Una delusione, quindi? No. No perché Jo Woon Kim gira veramente da paura, gli attori sono straordinari, tutto ha una classe insuperabile e ci sono un pugno di scene che riconciliano con il linguaggio cinema. Però l’amaro in bocca rimane comunque.



Brutta storia essere viziati…




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