The Chaser non è che la riproposta pop e patinata di quel capolavoro di Memories of Murder. La stessa sfiducia cronica nelle istituzioni e la stessa mancanza di prospettiva pensando al futuro. Naturale che la rilettura di un film politico produca un qualcosa di meno concettuale e più vicino al genere, ma The Chaser rimane comunque avvolto in un fascio di buio talmente impenetrabile da non perdere un grammo di fascino.
Joong-ho Eom è un pappone, ex poliziotto, convinto che qualcuno stia vendendo le sue ragazze. Fino al giorno in cui un dubbio incomincia a farsi sinistramente spazio nei suoi pensieri. Sarà l’inizio di una crociata personale.
The Chaser è un noir dalle sfumature horror dove, piuttosto che lo splatter gratuito e la ricerca dello shock a ogni costo, sono i sentimenti e l’umanità di chi sta ai margini a essere sempre in primo piano. Le forze dell’ordine ci vengono descritte come incompetenti, perse in un mare di burocrazia e relazioni pubbliche, mentre un assassino porta avanti la sua missione di morte senza nemmeno curarsi di nascondere le tracce. Dopotutto sarebbe lavoro inutile, sprecato. Solo la rabbia incontrollabile di Joong-ho sembra dare qualche frutto, tra indagini improvvisate e scoppi d’ira. Non abbiamo a che fare con un film da inscrivere nel filone della giustizia privata, dove un cittadino qualunque diventa una gelida macchina da vendetta. Qui il protagonista è un duro, nel senso più classico del termine, ma prima della conclusione saranno infinite le goffe corse a perdifiato, gli sbagli e le percosse subite. Tutto narrato in maniera estremamente pacata ed elegante, con un comparto fotografico raffinato che dona a tutto il lungometraggio un' aura da film importante, lontano dai cromatismi sporchi che il genere “serial killer” pare richiedere fin dal terremoto Seven.
Sorprende come il basso profilo della messa in scena (musica col contagocce, montaggio e movimenti di macchina invisibili) si sposi in maniera egregia con i numerosi colpi allo stomaco che The Chaser distribuisce con generosità. Complice anche la scelta della completa assenza di sonoro (a livello diegetico in un caso, mentre extradiegetico nella scena madre) durante i momenti più duri.
Non un capolavoro, ma un altro grande esempio di come il genere più puro possa arrivare a raccontare qualcosa d’altro e di altissimo.
Joong-ho Eom è un pappone, ex poliziotto, convinto che qualcuno stia vendendo le sue ragazze. Fino al giorno in cui un dubbio incomincia a farsi sinistramente spazio nei suoi pensieri. Sarà l’inizio di una crociata personale.
The Chaser è un noir dalle sfumature horror dove, piuttosto che lo splatter gratuito e la ricerca dello shock a ogni costo, sono i sentimenti e l’umanità di chi sta ai margini a essere sempre in primo piano. Le forze dell’ordine ci vengono descritte come incompetenti, perse in un mare di burocrazia e relazioni pubbliche, mentre un assassino porta avanti la sua missione di morte senza nemmeno curarsi di nascondere le tracce. Dopotutto sarebbe lavoro inutile, sprecato. Solo la rabbia incontrollabile di Joong-ho sembra dare qualche frutto, tra indagini improvvisate e scoppi d’ira. Non abbiamo a che fare con un film da inscrivere nel filone della giustizia privata, dove un cittadino qualunque diventa una gelida macchina da vendetta. Qui il protagonista è un duro, nel senso più classico del termine, ma prima della conclusione saranno infinite le goffe corse a perdifiato, gli sbagli e le percosse subite. Tutto narrato in maniera estremamente pacata ed elegante, con un comparto fotografico raffinato che dona a tutto il lungometraggio un' aura da film importante, lontano dai cromatismi sporchi che il genere “serial killer” pare richiedere fin dal terremoto Seven.
Sorprende come il basso profilo della messa in scena (musica col contagocce, montaggio e movimenti di macchina invisibili) si sposi in maniera egregia con i numerosi colpi allo stomaco che The Chaser distribuisce con generosità. Complice anche la scelta della completa assenza di sonoro (a livello diegetico in un caso, mentre extradiegetico nella scena madre) durante i momenti più duri.
Non un capolavoro, ma un altro grande esempio di come il genere più puro possa arrivare a raccontare qualcosa d’altro e di altissimo.
1 commento:
Allora guarderò prima MEMORIES OF MURDER (il solo fatto che qualcuno, sul web, lo ha paragonato al MONSTER di Urasawa mi ha convinto del tutto!)
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