In Giappone Hitoshi Matsumoto è un famosissimo comico televisivo. Fuori dai confini nazionali invece lo si conosce soprattutto per Big Man Japan, il finto documentario sui mostri dei kaiju eiga. Opera acerba, eppure molto più interessante di tanti capolavori conclamati. Piena di difetti ma carica di una potenza iconoclasta impossibile da ignorare. Talmente fresca e fuori controllo da far soprassedere a regia rozza (e con rozza non si intende “fatta apposta per essere rozza”) e gestione del ritmo non certo frizzante. Tutto questo per arrivare al nuovo film di Hitoshi, Symbol, una follia tale da far apparire il suo non-certo-per-tutti debutto come scolastico e preconfezionato.
Symbol è uno di quei film dove il labile confine tra presa in giro delle classiche opere da art house (quelle dove cerchi di convincere chi è in sala con te di aver capito tutto solo per non passare per l’ignorante di turno) e narrazione con reali significati nascosti è labile come non mai. La trama è presto detta: Hitoshi Matsumoto si sveglia in un enorme stanza dalle cui pareti spuntano decine di piccoli peni. Ogni organo stilizzato è un tasto a cui corrisponde una funzione. Nel frattempo il montaggio alternato ci tiene aggiornati sulle vicende di Escargot Man, un lottatore di lucha libre idolo dei bambini (non è vero, è l’idolo solo di suo figlio). Tutto qui. Il prigioniero, interpretato dallo stesso regista, riuscirà a scappare dalla sua prigione e l’atleta mascherato avrà il suo momento di gloria. Finale scontato? Vi assicuro di no.
Durante la visione squarci di autentica visionarietà si alternano a parentesi di un’idiozia quasi irritante, andando ad affastellare significati su significati. L’impressione è quella di avere a che fare con una parodia di tutta l’avanguardia nonsense nipponica, corrente capace di unire il mainstream (il divertente Survive Style 5+) all’underground più nascosto (il notevole Electric Dragon 80.000 V). Una pletora di film a cui si tende a perdonare tutto solo in virtù della loro provenienza. Hitoshi Matsumoto pare essersene reso conto e, dopo aver colpito al cuore il mito dei mostri giganti, cambia obbiettivo per i suoi attacchi alla soda caustica. Potrebbe non essere così, ma i significati che emergono dalla visione sono talmente didascalici da preferire l’ipotesi del raffinato mimetismo (scopo sabotaggio) alla favoletta morale su casualità e gradi di separazione.
Nonostante non si riescano bene a capire le reali intenzioni del regista è indubbio che il Nostro abbia già sviluppato una poetica ben precisa, sia a livello di regia che di sceneggiatura. Hitoshi Matsumoto riesce a essere autore demolendosi in continuazione, facendo di tutto per sminuirsi. Un percorso simile a quello del suo collega Takeshi Kitano. Una svalutazione continua dell’artista portata avanti da due figure nate dalla comicità televisiva, ora ricercati ospiti dai festival di tutto il mondo. Quale sia il fine ultimo di tale operazione al momento mi sfugge, ma far vedere agli amici Symbol e far credere loro di aver capito il senso è uno spasso.
Nota: il film magari non vi piace, ma le magliette disegnate da Nigo (quello della Bathing Ape) e ispirate al protagonista sono imbattibili.
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