lunedì 19 luglio 2010

A Serbian Film di Srdjan Spasojevic (Serbia/2010)




Maledetto il giorno in cui Miike fu sdoganato in occidente. Una data da odiare almeno quanto quella in cui, dalla Francia, ci si mise a decodificare la famigerata scheggia oculare di Fulciana memoria. Eventi che hanno arricchito il panorama culturale di ognuno di noi, ma che dal loro primo minuto di vita hanno permesso a troppa gente di specularci sopra. Prima dell’arrivo del nipponico ex motociclista il non plus ultra della violenza erano certe produzioni amatoriali crucche, le code exploitation del genere italiano (Mattei e Fragasso su tutti, lascerei fuori i vari Fulci e Massacesi perché parte di un discorso molto più complesso), i Guinea Pig e qualche Tromata a buon mercato. Sangue e budello facevano ridere, erano gratuiti e si prestavano solo al connubio amici+birra+pomeriggio estivo. Certe provocazioni alla Cronenberg, Tsukamoto, Verhoeven o Ferrara rimanevano esclusiva di oscuri cineforum, mentre il grottesco di Teruo Ishii, Takashi Ishii e Kôji Wakamatsu (il suo Violated Angels rimane l’inizio di tutto) erano impossibili da raggiungere se non attraverso il tape trading più hardcore (come il Cat.III di HK). Poi arriva la TartanVideo e Miike diventa di dominio pubblico. Uno che gira film di genere ultraviolenti, dove ogni morte ha un significato ben preciso (e qui si torna allo sguardo trafitto di Zombie 2). Quando, su forum e blog, si viene a conoscenza che lo stesso ha rinnegato il suo cammeo in Hostel perché in fase di sceneggiatura le scene cruente venivano indicate con un generico “tortura” piuttosto che con la dovizia di particolari richiesta dal caso, scatta il finimondo. Allora il gore può essere funzionale al messaggio, ci si dice. Fa nulla se il suo film più pregno di concetti non se lo caga nessuno (Izo, che è anche la sua creatura più estrema), così come gli excursus autoriali (dai due Young Thugs a Big Bang Love, Juvenile A). Per tutti Takashi rimarrà quello degli spilloni di Audition, dell’episodio censurato di Masters of Horror (come se il Nostro fosse un semplice regista horror) e delle guance tagliate di Kakihara. E’ da questi malintesi che arrivano tutto il nuovo torture porn e certi episodi come questo A Serbian Film.



I punti di partenza non potrebbero essere migliori. Il senso di morte che si prova a nascere e crescere in una delle nazioni più disastrate degli ultimi 50 anni (basti ricordare i fatti di Srebrenica), il bisogno di una vittima da parte di chi è dall’altra parte della linea, il corpo flagellato come territorio ultimo del reale. Riflessioni attuali come non mai, bruciate dalla voglia di andare dove nessun altro è mai giunto. Per la precisione sono due le scene che fanno crollare il castello. Provare a caricare di significati una scena di stupro è come puntare tutto al tavolo verde. Magari fai centro e affondi il banco, ma molto più probabilmente te ne tornerai a casa con la coda fra le gambe. La didascalia, il banale, il paternalismo sono lì che ti alitano sul collo. Pronti a rovinarti la festa. Proprio come succede a Srdjan Spasojevic, troppo impegnato ad alzare l’asticella del filmabile per rendersi conto di aver sconfinato nel cialtronesco. Aldilà di queste due allegorie da sagra dello spiegone non rimangono che un pugno di provocazioni tra lo splatter e l’incesto di gruppo. Peccato, perché ci sono veramente tantissime idee valide in questo A Serbian Film. A partire dal continuo richiamo alla sua nazionalità, intuizione capace di unire (nelle intenzioni) pornografia e politica internazionale.



Prendendo l’opera per quello che è, la cosa più scioccante rimane la facilità con cui i picchi di cattiveria (e sarà dura avere idee più malate di quelle che troverete qui dentro) ci scivolano addosso come se nulla fosse. Quando la voglia di mandare avanti veloce è data dalla noia più che dal disgusto ci si rende conto che forse l’estremo non è più così accattivante. Guarda caso il profeta di tutto questo, il Miike di cui si parlava sopra, è passato a fare tutt’altro. E il film più disturbante di questo anno appena passato rimane quel The Horseman che di grafico non ha proprio nulla.

6 commenti:

Doner ha detto...

a dire il vero su questo film un filino ci stavo puntando...

ma poco male se è una merdata, almeno mi godo la tua recensione colma di citazioni illustrissime!

"Lucio Fulci, nostro signore e padrone..."

Officina Infernale ha detto...

l'ho beccato e non e' che mi abbia fatto impazzire, bella la ricostruzione finale in cui lui non si ricorda nulla e lo fa un poco alla volta con tutti i flashbacks del caso...e non per menarmela anzi me la meno, Video Inferno (mia prima graphic novel(non scritta da me)) e' molto simile...secondo mel la tematica snuff e' una roba anni 90, adesso mi sembra obsoleta come soggetto....

MA! ha detto...

Anche a me il discorso snuff mi ha un pò deluso, pensavo si puntasse a un qualcosa più legato alla pornografia. Comunque nulla di che, da vedere solo per avere il polso della situazione.

E comunque a me il Fulci splatter non mi ha mai gasato, 1000 volte meglio quello giallo. "Una lucertola..." rimane un capolavoro di tecnica.

Doner ha detto...

indubbiamente il periodo GIALLO mostra le vette artistiche più alte della carriera (strano per un regista italiano, eh?) ma non si può negare che fino a new york ripper ci sia stato di che godere profondamente. questo significa 10 anni buoni di viulenza, pomodoro e lenti a contatto bianche, yeah

Greg ha detto...

Ragazzi.. vi do un consiglio.. all'università cinematografia lasciatela stare! Questa è una perla più unica che rara. Siamo daccordo che si tratta sicuramente di un NC17 ma al di là di questo si tratta di una trasposizione metaforica nel film che centra in pieno l'effetto che voleva ottenere. Personalmente non ho potuto che provare orrore (nel vero senso della parola) nella scena finale in cui il padre stupra il figlio ma se andiamo a vedere il significato metaforico non si può dire che non abbia ragione. Ah e tanto per smentire "la recensione colma di citazioni illustrissime": La differenza fra hostel e srpski film sta nel fatto che Hostel usa l'orrore per fare soldi e Srpski film per far riflettere!

SAL ha detto...

a me questo film ha letteralmente sconvolto in positivo, e principalmente perchè riesce a coniugare due estremi prima inconciliabili, cioè la violenza ad oltranza da videocassetta snuff ed un sottotesto politico di tutto rispetto.

il fatto che venga criticato da moltissimi, anche autorevoli nel settore (di certo molta gente si rifiuterà di guardarlo nel leggere di certe scene) fa capire semplicemente che Spasojevic ha colpito nel segno. l'horror deve spaventare, il thriller deve shockare, pena la modificazione genetica del genere stesso.

la violenza, per quanto davvero eccessiva, assume qui il carattere di una metafora sociale e politica piuttosto esplicita e mai fine a se stessa (almeno, secondo me).

probabilmente mette molto a disagio i critici avvezzi al politically correct...