venerdì 9 luglio 2010

Lo sguardo esploso: Gamer di Neveldine/Taylor (Us/2009)




Non ci avrei mai creduto (e il ritardo con cui ho recuperato questa pellicola ne è testimonianza), ma pare proprio che Neveldine e Taylor siano indirizzati verso la strada dei grandi. Se il disastro di Crank2 faceva pensare a un precoce esaurimento della poetica del duo, questo Gamer ne è invece sviluppo e approfondimento (della superficie). Un piccolo passo indietro: qualche anno fa la nota rivista Cineforum si riferiva all’inglese Paul W.S. Anderson con l’espressione “autorialità da Playstation”, formula perfetta per indicare un cinema ipercinetico e totalmente illusorio. Uscita dopo uscita il regista di Mortal Kombat si dimostrava però incapace di portare a fondo questo presupposto, chiudendosi in un guscio fatto di faciloneria e tendenza all’eccesso più innocuo. Con Speed Racer ci provarono anche i fratelli Wachowski, limitati da grandi aspettative e un budget a nove cifre. Tutti esperimenti interessanti, ma nessuno fino a ora era riuscito a rendere in maniera soddisfacente il senso di velocità e la privazione dell’attesa tipici dei nostri tempi. Anni in cui il fatturato dell’industria del videogioco supera la somma di quelli di cinema e musica, facendoci riflettere su come questo medium sia qualcosa di più di semplice intrattenimento. In questo senso, se si considera l’essere nel tempo come indicatore di profondità, Gamer è qualcosa di straordinario. Nel suo accumulo furioso di raccordi, inquadrature e stacchi abbiamo un’istantanea perfetta delle nostre vite.



A Neveldine/Taylor non interessa raccontare storie, ne creare mondi. Le parole d’ordine della loro concezione di cinema sono due: velocità e movimento. In Gamer (come in Crank) non ci può fermare a pensare, il dopo non esiste. Tutto è subito. Le parti narrative soccombono sotto l’ingombro delle sequenze action, guadagnandosi l’attenzione solo in virtù di cambi di fotografia o di figure retoriche al limite del subliminale (tipo i flashback). Le provocazioni disseminate sono talmente grevi e sopra le righe da non richiedere decodifica. Proprio come nel post moderno il linguaggio diventa fulcro su cui ruota ogni aspetto creativo, sebbene con risultati agli antipodi. Non più pornografia della finzione ma immersione totale nell’iperreale. Si segue l’esempio di District9. Lo sguardo non è più sufficiente, così si frammenta. Documentario, videogioco, camera a mano ed effetti speciali di ultima generazione. Il mondo descritto in queste due opere non è così diverso dal nostro, è come ci viene restituito a trasmetterci il senso di avveniristico.



Scompare la pellicola, ci si vota all’alta definizione del digitale. In senso tradizionale il film non esiste. Non ha peso, sono solo dati. Come l’abitante medio del nuovo millennio. Privo di radici e di programmi a lungo termine, incapace di bloccarsi con i piedi per terra. Essere fluido in costante evoluzione, impossibile da inquadrare e definire. E allora ci si vota alla superficie frastornante, abbandonandosi alle magnifiche coreografie tessute dai due registi. Motocross in fiamme, teste che esplodono, decine di persone impegnate a spararsi addosso, veicoli in moto perpetuo. Il cinema è un videoclip espanso dove non esiste più nessuna costruzione del climax e la stessa intuizione non può essere utilizzata due volte di seguito (ecco dove andava a morire Crank 2). La fruizione multitasking di ogni aspetto della nostra giornata ci ha reso più rapidi e reattivi, consentendoci di capire cosa succede in sequenze sminuzzate in micro inquadrature di pochi decimi. Pensate a uno spettatore di 50 anni fa messo di fronte a Gamer. Quanto di quello che passa sullo schermo riuscirebbe a cogliere?

7 commenti:

rae ha detto...

ma guarda, io crank 2 lo reputo superiore al primo. Perchè se l idea alla base è la stessa, il risultato è un esplosione inarrestabile. Crank 2 non è il seguito, è il film c he avevano in mente e che non hanno potuto fare, limitandosi nel primo all interno di una struttura classica del cinema d azione (pur con le sue derive nel video game, nel fumetto, nei documentari sugli sport estremi e in formati autolesionistici come jackass). Crank era una sberla, crank 2 è un Hyakuretsu Harite di E. Honda. Che ricordo si faceva premendo velocemente il tasto pugno ma non era semplicemente una somma di singoli pugni.

mo mi guardo gamer.

MA! ha detto...

Capito! Non hai tutti i torti, però secondo me Crank 2 è troppo tutto. Troppo esagerato, troppo ricamato, troppo urlato. Meglio tenere buono il primo tentativo e via, anche se non è perfetto. Comunque Gamer è meglio di entrambi. Lunedì Baroness?

rae ha detto...

hell yeah.

Valentino Sergi ha detto...

Gamer ha una trama debolissima (che finale patetico), soluzioni visive povere e per nulla originali, riflessioni distopiche bollite, personaggi piatti (il fighetto nerd più preoccupato della partita che della vita delle persone, il "Leonida" a cui importa solo di salvare la famiglia, il cattivo ricco e fuori di testa, la moglie "prostituta per necessità", il villain sanguinario nero e stupido, il ciccione pervertito... ebbasta!).
Ok, è girato bene e sa incuriosire, ma no, davvero, non è sufficiente. Crank 2 almeno era un onesto compendio del cinema expolitation con qualche interessante soluzione videoclippara.

MA! ha detto...

Come ho già scritto... a Neveldine e Taylor interessa solo l'adesso. Trama e personaggi richiedono riflessione e decodifica. Cosa non consentita nel loro mondo. Le provocazioni servono solo per strappare una grassa risata, non certo per accendere il cervello. Approcciarsi a un loro film cercando queste cose significa non aver afferrato proprio bene la loro poetica. Esistono film di sceneggiatura e altri di regia. Diciamo che questo fa parte della seconda categoria.

Sulle soluzioni visive invece... quanti altri registi conosci capaci di montare sequenze action così veloci ma allo stesso temo comprensibili (escluso Tsui Hark)? Capaci di sfruttare così bene l'estetica del digitale (escluso Mann. Concedimi questi due "escluso", qui si parla di maestri!)? Poi il cinema di N/T è vuoto per definizione, è solo ipersaturazione dello sguardo e velocità. E a me non sembra poco. CI vedo l'istantanea perfetta dei nostri tempi.

Valentino Sergi ha detto...

Io credo che il montaggio ipertrofico e stroboscopico a sostegno di una sceneggiatura frammentata e post-"qualcosa" sia un'idea già morta con Pulp Fiction (ma lì la sceneggiatura c'era eh?!) proprio lì dove il cinema "post" comincia. Cercare una poetica dietro Gamer è fuori tempo massimo.

MA! ha detto...

Il fatto è che in Gamer la sceneggiatura non esiste. Non c'è tempo. Neveldine/Taylor di "post" non hanno nulla. Non è linguaggio che parla di linguaggio, è linguaggio che parla di noi.