lunedì 12 ottobre 2009

Casanova (di Matt Fraction e Gabriel Bà) e le diverse vie al postmoderno

Mettiamo subito in chiaro le cose: Casanova non è un fumetto imperdibile. Però è uno di quei tre/quattro volumi usciti quest’anno che chiariscono alla perfezione l'idea di postmoderno.



Il concetto di tale corrente artistica nasce all’inizio del secolo e finisce per essere applicato alla settima arte solo alla fine del millennio. Il cinema come meccanismo cosciente di sè non è affatto una novità quando, nel 1994, Tarantino esplode con il fenomeno Pulp Fiction. A livello di immaginario e struttura Mario Bava e Seijun Suzuki avevano già toccato vette impossibili, mentre Fernando di Leo ci aveva già regalato linee di dialogo definitive in questo senso (come dice Roberto Curti in Italia odia, i personaggi del pugliese parlano come se fossero parte di un’opera teatrale). Ma solo dopo il boom del ex commesso tutti incominciano a fare i distaccati, con le vicende che si fanno sempre più caricaturali e la parola ironia arricchita ogni giorno di un significato nuovo. Tutto bellissimo, fino all’ecatombe Kill Bill.



Se Pulp Fiction era un lavoro perfetto, dove i contenuti erano tipizzati ma non localizzabili, Kill Bill risulta essere solo un giochino metacinematografico. In altre parole PF crea una mitologia, KB la saccheggia e basta. Vincent e Jules sono personaggi così perfettamente cesellati attorno ai cliché dell’immaginario collettivo da entrarne subito a farne parte. Senza saperlo li conoscevamo già, li avevamo già visti in decine di altri film ma non riuscivamo a mettere a fuoco di quali pellicole si trattava. Un lavoro di scrittura immane, che prevede la visione e l’interiorizzazione di una quantità enorme di cinema, letteratura e fumetto. Significa creare qualcosa di totalmente nuovo partendo dal dominio pubblico. Tutto il contrario di KB, dove l’unica attrazione è data dal cogliere la citazione. Prendiamo la trama di Lady Snowblood (oltre che la scena più famosa e la colonna sonora), le suggestioni western di Da Uomo a Uomo e I Giorni dell’Ira, qualche attore feticcio che vada dallo yakuza eiga agli Shaw Brothers, i dialoghi di Miike (lo scambio di battute più bello dell’intera opera), le soggettive di Ching Siu-tung. Manca solo la scena a base di sangue e fango sotto la pioggia.



E’ decisamente doloroso scoprire che un capolavoro del post moderno come Miami Vice (rappresentazione definitiva del cinema come entità dotata di vita e forma proprie, in costante mutazione e alla ricerca continua di un’identità ben definita) non l’abbia cagato nessuno, a favore di Spose e tutine gialle.



Tornando ai fumetti, è indubbiamente più facile percorrere la via di KB rispetto a quella di PF. L’accozzaglia di riferimenti (compresa l’insopportabile gara a chi va a scovare il film più introvabile e sconosciuto) sopperisce a tutte le mancanze, con risultati che passano in fretta dal divertente alla noia catacombale. Per fortuna che con i vari Iron Fist, Umbrella Academy e Casanova (per rimanere nelle pubblicazioni italiane di quest’anno e senza contare Atomic Robo, leggermente inferiore agli altri tre esempi) la situazione cambia: nessuno di questi fumetti è originale in senso assoluto (anzi), eppure tutti vengono percepiti come freschi e frizzanti. Dialoghi troppo brillanti (al limite del teatrale per Umbrella Accademy e Casanova) per uscire da bocche di personaggi che non sanno di essere tali, organizzazioni criminali che si firmano con acronimi assurdi, snodi narrativi da soap opera. Tutto è fumetto al cubo, ma senza spiegoni che ne chiariscano la natura (in questo senso Iron Fist è perfetto, mentre Casanova pecca in un paio di punti). Esattamente come succedeva nella miglior serie Marvel da molti anni a questa parte. Gli Ultimates? No, Nextwave. Uno dei picchi più alti mai raggiunti da Warren Ellis. Quello che sarebbe stato Tom Strong se al posto dei fumetti anni ’50 ci fosse stato 2000AD.



Scrivere opere simili significa avere il polso dell’immaginario degli ultimi 50 anni, saper stare sempre sul bilico tra cazzata immane e buona narrativa (capolavoro no, per definizione) ed essere in grado trattare il lettore da complice in un triangolo amoroso tra fruitore, creatore e personaggi. Senza dimenticare che in questi casi il rapporto tra disegni e sceneggiatura non può ovviare dalla perfezione, complice la caduta di tutto il castello di carte eretto a suon di metalinguaggi e strizzatine d’occhio.



Fortunatamente Casanova riesce a rispondere perfettamente a tutti questi punti. Vi può bastare?

10 commenti:

Bapho aka Davide Costa ha detto...

Secondo te Jack Staff di Paul Grist rientra in questo discorso?

Officina Infernale ha detto...

non conosco questo fumetto, mi sono fatto una ricerca su googl, figo, me lo becco sicuramente, yes man, la felpa zombie plague e' stata realizzata, purtroppo il fumetto che doveva andare in allegato e' saltato...in questo periodo stiamo "ristrutturando" il marchio e anche tutto il resto...

MA! ha detto...

@Bapho: non ne ho idea. Nel senso che non l'ho mai letto. Però da quello che si deduce da Wiki direi di si. A questo punto recupero. Grazie per la segnalazione.

@Officina: allora tengo d'occhio Lucha Libre!

Doner ha detto...

lo odio proprio kill bill eh?

:)

Doner ha detto...

volevo scrivere LO ODI cazzo

ODI

MA! ha detto...

Non è che lo odio, lo trovo inutile.

MA! ha detto...

Cazzo, quanta roba nuova sul vostro blog. Dopo mi leggo tutto.

:A: ha detto...

Sai che non sono sicuro di cosa tu intenda con "postmoderno", dopo aver letto questo articolo...? Io facevo riferimento a Brian McHale, con il suo discorso sulla dominante (prevalentemente ontologica nel postmoderno, a differenza di quella epistemologica del modernismo).
Tu parli di "citazionismo", ma mi sembra che distingui tra "citazionismo creativo" e, passami l'espressione, "meta-citazionismo"...davvero, a che definizione fai riferimento?

MA! ha detto...

Brian McHale è quello del "from problems of knowing to problems of modes of being", vero? In poche parole ci si interroga sul passaggio da come descrivere la realtà a quale realtà descrivere. Le cose non appaiono più in un modo solo, ma dipende da chi le guarda (di chi era quel racconto del tizio che raccoglieva i sassi sulla spiaggia e ci vedeva 3000 cose diverse?). Adesso filtra tutto questo attraverso gli occhi di Warhol e la tipizzazione del prodotto di massa. Sovverti il significato che Walter Benjamin attribuisce al kitsch, aggiorna ai giorni nostri (ormai il post moderno non è più sovversione, è maniera) e avrai la mia definizione di postmoderno. Nel 2009 non perdono il citazionismo esplicito, quello che si basa sul singolo film o singola opera (a meno che non che la citazione non abbia un senso all'interno della struttura della sceneggiatura). In Pulp Fiction le citazioni sono talmente raffinate che ci puoi vedere più film nello stesso richiamo. Perchè? Perchè sono tipizzati. Significa poter guardare dalla distanza l'immaginario collettivo e averne una visione d'insieme. Il famoso distacco che permette all'opera di avere coscienza di se.

:A: ha detto...

Grazie, Ma (Sì, McHale è quello lì),
adesso ho capito il passaggio che mi mancava. Molto interessante. E mi torna utile come approcio creativo, oltre che critico. (E comunque già sai che di postmoderno ne riparliamo più avanti con "Tipologie".)