C’era un tempo in cui il nome di Miike incuteva timore reverenziale. Dopotutto Takashi era il regista estremo per eccellenza, quello che spostava di volta in volta il limite dell’accettabile. Quello della tempura sulla schiena, delle donne affogate nelle feci, dell’avanguardia splatter di Izo e delle torture di Audition. Tutti a ricordarci pedissequamente quanto i film del giapponese fossero la cosa più folle si potesse trovare sul mercato. Un mare di superficialità in cui finivano dispersi i veri temi su cui vertevano le sue opere: i fuori casta, la nostalgia, l’esule, l’amore queer. Tra le altre cose. E fra tutte era proprio il ricordo e l’infanzia a occupare un posto di riguardo nella sua poetica. Uno dei pochi punti fissi a non essere minimamente intaccato dalla sua furia. Penso a Dead or Alive 2 e ai due bellissimi Young Thugs. Soprattutto questi ultimi, che di estremo non hanno proprio nulla, se non la malinconia per un tempo ormai passato. Lo sguardo di Miike sull’infanzia è sempre stato carico di un affetto al limite del commuovente, affascinato dall’immaginazione strabordante di ogni bambino.
Basti vedere un minuscolo film come Zebraman, amatissimo da chiunque consideri il regista di Osaka qualcosa di più di “quello del cameo in Hostel”, sentito omaggio al candore dei tokusatsu. L’amicizia tra un mediocre e un bambino disabile salverà il mondo, grazie alla potenza dei sogni. Il film è girato con budget risicato ma con un’empatia e con una fiducia nella fantasia che si può ritrovare solo in un altro grande tributo all’innocenza come Be kind rewind di Gondry. Anche nel “kolossal” The Great Yokai War è la potenza dello sguardo bambino a condurre la vicenda. Film imperfetti, dove gli effetti speciali non erano certo allo stato dell’arte, eppure autoriali nel senso più nobile e meno snob del termine. Miike ci ficcava le sue ossessioni, qualche strizzatina d’occhio agli adulti (tanto per far capire che il film era rivolto a loro) e tutti i suoi limiti. Di cui ci lamentiamo sempre ma che, alla fine, non possiamo fare a meno (un film di Miike con un ritmo normale? Non lo guardo neanche sotto tortura!).
Immaginatevi quindi l’hype che si è creato attorno a una pellicola come Yattaman. Un grande budget a disposizione delle fisse di un autore come Miike, qui in uno dei suoi campi da gioco preferenziali. Invece nulla. Yattaman è freddo come un blocco di ghiaccio. Non brutto (forse un po’ pesante nel montaggio) ma praticamente nullo come valore artistico. E’ il classico film che farà impazzire chi è andato al cinema a vedersi il Signore degli Anelli munito di libro per controllare le battute, chi si è lamentato del finale di Watchmen, chi passa il mese prima di Lucca a prepararsi il costume da pagliaccio. Probabilmente in Giappone avrà mandato in brodo di giuggiole tutti quelli che hanno trovato il cambio di costume (rispetto alla serie originale) la parte più trasgressiva di quell’attentato dinamitardo di Yo Yo Girl Cop.
Proprio come tutta la nuova pletora di splatter giappotrash che stanno invadendo il mercato occidentale anche questo Yattaman farà impazzire chi di cinema asiatico non ne sa nulla. Qualche anno fa un autentico gioiello di stupidità ultrapop come Cutie Honey venne totalmente ignorato dal pubblico italiano, nonostante il suo valore linguistico incontestabile. E magari senza neppure sapere che la mente dietro a quel progetto fosse quella di Hideaki Anno (nel suo carnet una sciocchezzuola come Evangelion), non proprio uno shooter senza carattere. Allora perché premiare questo tentativo di imitazione?
Devo troppo a Miike per parlare bene di questo pasticcio. Come unica consolazione pare che ci sia nell’aria un sequel per Zebraman, mentre il remake del classicone The Thirteen Assassins è dato per certo. Sperando che Miike si ricordi come si fa.
Basti vedere un minuscolo film come Zebraman, amatissimo da chiunque consideri il regista di Osaka qualcosa di più di “quello del cameo in Hostel”, sentito omaggio al candore dei tokusatsu. L’amicizia tra un mediocre e un bambino disabile salverà il mondo, grazie alla potenza dei sogni. Il film è girato con budget risicato ma con un’empatia e con una fiducia nella fantasia che si può ritrovare solo in un altro grande tributo all’innocenza come Be kind rewind di Gondry. Anche nel “kolossal” The Great Yokai War è la potenza dello sguardo bambino a condurre la vicenda. Film imperfetti, dove gli effetti speciali non erano certo allo stato dell’arte, eppure autoriali nel senso più nobile e meno snob del termine. Miike ci ficcava le sue ossessioni, qualche strizzatina d’occhio agli adulti (tanto per far capire che il film era rivolto a loro) e tutti i suoi limiti. Di cui ci lamentiamo sempre ma che, alla fine, non possiamo fare a meno (un film di Miike con un ritmo normale? Non lo guardo neanche sotto tortura!).
Immaginatevi quindi l’hype che si è creato attorno a una pellicola come Yattaman. Un grande budget a disposizione delle fisse di un autore come Miike, qui in uno dei suoi campi da gioco preferenziali. Invece nulla. Yattaman è freddo come un blocco di ghiaccio. Non brutto (forse un po’ pesante nel montaggio) ma praticamente nullo come valore artistico. E’ il classico film che farà impazzire chi è andato al cinema a vedersi il Signore degli Anelli munito di libro per controllare le battute, chi si è lamentato del finale di Watchmen, chi passa il mese prima di Lucca a prepararsi il costume da pagliaccio. Probabilmente in Giappone avrà mandato in brodo di giuggiole tutti quelli che hanno trovato il cambio di costume (rispetto alla serie originale) la parte più trasgressiva di quell’attentato dinamitardo di Yo Yo Girl Cop.
Proprio come tutta la nuova pletora di splatter giappotrash che stanno invadendo il mercato occidentale anche questo Yattaman farà impazzire chi di cinema asiatico non ne sa nulla. Qualche anno fa un autentico gioiello di stupidità ultrapop come Cutie Honey venne totalmente ignorato dal pubblico italiano, nonostante il suo valore linguistico incontestabile. E magari senza neppure sapere che la mente dietro a quel progetto fosse quella di Hideaki Anno (nel suo carnet una sciocchezzuola come Evangelion), non proprio uno shooter senza carattere. Allora perché premiare questo tentativo di imitazione?
Devo troppo a Miike per parlare bene di questo pasticcio. Come unica consolazione pare che ci sia nell’aria un sequel per Zebraman, mentre il remake del classicone The Thirteen Assassins è dato per certo. Sperando che Miike si ricordi come si fa.
8 commenti:
O_O
wow, grandioso!! :)
Ho visto giusto la settimana scrosa Imprint...bellissimo..impeccabile..ed è stato il primo film in cui mi son dovuta coprire gli occhi per non guardare!!!
=/
ti prego MA dimmi che stai scherzando...
Non dico che il film sia brutto, anzi. Ma il vero Miike è su un altro pianeta.
Concordo. E' un bel film, ma potrebbe anche non essere un film di Miike.
Non riesco a capire se qui gli è scattato il "senso dell'otakuismo" ("Oddio, oddio, sto facendo Yattaman e lo rifarò UGUALE").
Comunque ammetto che anch'io a Udine mi sono messo a gridare quando è spuntato il maiale che si è arrampicato sull'albero, che vergogna... -.-'
Comunque l'inquadratura dei piedi di Miss Dronio durante il bagno è uno dei cortocircuiti nerd/fetish più inquietanti che abbia mai visto.
"l'inquadratura dei piedi di Miss Dronio durante il bagno è uno dei cortocircuiti nerd/fetish più inquietanti che abbia mai visto"
allora qualcosa di buono questo film ce l'ha!!!
:)
Io non ho mai avuto il culto di Miike, ma c'è anche da dire che non ho mai visto tutti i suoi film.
E considerando che non ho mai neanche avuto tanto il culto di Yattaman, è probabile che se vedessi questo film non ne rimarrei poi tanto deluso, a questo punto.
Il film ti ha deluso? Beh, c'è stato un grosso hype promozionale in Giappone, quindi forse è normale...
Il problema è che il film mantiene quello che tutti si aspettavano, ed è una cosa assolutamene poco Miikiana. Non ha neppure provato a sabotarlo come ha fatto con Django. E non ci vedo neppure il rispetto quasi religioso che ha messo nel remake di Graveyard of Honour del Maestro Fukasaku. Probabilmente l'ha fatto come gli è stato chiesto da chi l'ha pagato. Dopotutto Miike è anche un artigiano rapidissimo (qualche anno fa non ripeteva mai le scene) e che lavora con due soldi. Comunque Miss Dronio da mascella a terra.
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