martedì 23 giugno 2009

[oldies but goldies] Sword of the Beast di Hideo Gosha (Jap/1965)

Parlare della società, magari sfruttando qualche metafora suggestiva, è sempre un’operazione molto rischiosa. Basta un passo in più per scadere nel didascalico (o nella generalizzazione), mentre in senso opposto si rischia di finire nell’astruso o inintelleggibile. Un bel problema, soprattutto quando si va a riflettere su di un universo complesso come quello giapponese, famoso per la spersonalizzazione dell’individuo a favore della struttura (conta di più l’appartenenza a una determinata rete sociale rispetto alla propria famiglia). E non sono luoghi comuni.



Sapendo che quello che ci si appresta a vedere è un chambara del 1965 risulta facilissimo immaginarsi nette divisioni tra samurai, ronin e briganti. Questo perché non si prende in considerazione la presenza di un fuoriclasse come Hideo Gosha dietro la macchina da presa. Al di là di un incredibile perizia registica (soprattutto nell’uso della profondità di campo, si prenda come esempio la rissa con il getto d’acqua direzionato verso lo spettatore e gli sbuffi di vapore) colpisce come al centro di quest’opera ci sia soprattutto l’individuo. Sia che si tratti di un soldato
o di cane sciolto, il personaggio cambierà caratterizzazione almeno due o tre volte nell’arco degli 85 minuti di film. Non esiste schema precostituito su cui costruire l’agente, ma una serie di mutamenti che ci appariranno più che mai umani. Una stessa persona può avere atteggiamenti positivi e negativi nella stessa giornata, seguire pedissequamente le regole l’attimo prima per poi fregarsene alla grande pochi minuti dopo. E’ la fragilità dell’essere umano, motore primo di tutto quello che percepiamo come realtà.



Alla stessa maniera i personaggi di Gosha sbagliano, si pentono, ritornano sui loro passi e cambiano spesso idea. Una bella mazzata rispetto alla rigida ubbidienza del samurai, spesso glorificato per la sua dedizione totale al padrone e alla via. Siamo dalle parti di un Kill! di Kihachi Okamoto, ma senza l’umorismo e l’atmosfera picaresca (piccolo consiglio, li trovate entrambi nell’incredibile cofanetto Rebel Samurai a cura della Criterion). Un film di spade sottilmente esistenzialista, dove non si perde l’occasione per deridere gli stessi comportamenti che in altri titolo assumono valore quasi di definizione per il gender (quella che negli anni sarebbe diventata l’ipervirilità, crepuscolare o meno, da eroe) o per bacchettare gli aspetti meno nobili della nostra razza.



Parlando di vittime, carnefici, branchi e lupi solitari, gli aggettivi più utilizzati nei dialoghi sono, guarda caso, proprio legati al mondo animale (fin dal titolo). Tutto a dimostrare come la vitalità (bestialità) di un uomo non possa essere contenuta in un rigido reticolato di regole e convenzioni e, per forza di cose, tenderà sempre a emergere. In che modo è tutto da vedere.



8 commenti:

Doner ha detto...

aaaaaah coi titoli così mi bagno tuttaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa

Faust VIII ha detto...

Ok, mi hai convinto! Ma dove si recupera?

MA! ha detto...

Le solite vie, Faust, le solite vie. Oppure sfoderi la carta di credito e vai su Amazon (ma ricordati di craccare prima il tuo dvd player).

Faust VIII ha detto...

Ehm e quali erano le solite vie?(me le avevi già dette?) E, come si cracca il dvd player?

Doner ha detto...

@Faust:
il film naviga tranquillo nel TORRENTe trasportato da un buon numero di pesci seminatori, tipica razza dei condotti sotterranei europei... dovresti trovarne traccia nella BAIA DEI PIRATI!

per mettere a regione zero il tuo dvd (e vederti così tutti i formati esistenti) devi ottenere un codice di "sblocco". cerca la seguente stringa su google, verrai rimbalzato su qualche forum per le istruzioni:

"[marca del tuo lettore] [modello del tuo lettore] region free"

buona visione
:-)

Faust VIII ha detto...

Ok, grazie Greg. ma non gli avevano fatto il culo a quelli della BAIA DEI PIRATI?

Doner ha detto...

non sembra...

MA! ha detto...

Greg fondamentale