Se fossi il produttore di The Sniper bacerei in fronte Dante Lam. Mentre da una parte del mondo ci si perde in un gigantismo spastico e infantile, un buon professionista come Dante riesce a consegnarci un prodotto impeccabile spendendo meno di 4 milioni di dollari. Non è certo un film per cui gridare al miracolo, ma in 90 minuti (90, non 150 o 180) troviamo concentrati tutti gli ingredienti che servono per rendere godibile un action thriller dal taglio adulto.
C’è alla base un’idea originale (una faida interna tra i cecchini della polizia di HK), il percorso di maturazione della giovane recluta talentuosa (ruolo interpretato dal sex symbol nascente), la caduta nell’abisso della follia da parte dell’antagonista (naturalmente ex cecchino radiato), due storie che si intrecciano fatalmente, un pizzico di melodramma e l’inevitabile sparatoria finale. Se non si considera qualche caduta nel machismo al momento dell’addestramento (anche se pare una costante inevitabile, a qualsiasi latitudine) il film è virtualmente inattaccabile. Sceneggiatura semplice e compatta come un blocco di marmo, buoni interpreti e regia calibrata sulla storia che deve raccontare. E questo è molto meno scontato di quello che sembra.
Qui si parla di tiratori scelti, non di Chow Yun Fat con doppia Beretta. Dante Lam questo lo sa e, una volta inserite a forza (per far contenti i produttori) le solite due carrellate accelerate in post produzione, costruisce tutta la narrazione su di un' atmosfera rarefatta e dilatata. Il sonoro viene incontro alle esigenze del regista, mettendo spesso in primo piano i suoni convenzionalmente collegati ai momenti di massima concentrazione (il respiro del protagonista, il vento,..). Non esplode nulla (quasi), nessuno uccide 3000 persone nell’arco di pochi minuti, succede solo una cosa per volta e tutti sembrano essere in attesa di qualcosa. Esattamente il tipo di regia che ci si aspetterebbe per un film che parla di cecchini. Si sarebbe potuto lavorare di più sul parallelismo tra la poetica del caricatore infinito tanto cara ai registi di HK e l’inedito one shot, one kill di questo The Sniper, fatto sta che a mantenere alta l’attenzione dello spettatore più smaliziato ci pensano i minuscoli colpi di genio disseminati da Dante per tutta la durata del lungometraggio, sia a livello di linguaggio che di sceneggiatura. Una sparatoria al chiuso tra militari attrezzati con armi a lunga gittata non è cosa da tutti i giorni, mentre una serie di enigmi trovano tutte le soluzioni prima dei titoli di coda (chi è l’uomo elegante che segue il militare radiato? Perché tutta questa attenzione nei confronti di un acquario?).
Non il film che vi porterete nella tomba, neppure un titolo da tenere in testa per le classifiche di fine anno. Eppure i 90 minuti passeranno in soffio, il cervello rimarrà acceso e alla fine non avrete da mugugnare nulla sul regista incapace. C’è chi lo chiama mestiere, chi invece artigianato.
C’è alla base un’idea originale (una faida interna tra i cecchini della polizia di HK), il percorso di maturazione della giovane recluta talentuosa (ruolo interpretato dal sex symbol nascente), la caduta nell’abisso della follia da parte dell’antagonista (naturalmente ex cecchino radiato), due storie che si intrecciano fatalmente, un pizzico di melodramma e l’inevitabile sparatoria finale. Se non si considera qualche caduta nel machismo al momento dell’addestramento (anche se pare una costante inevitabile, a qualsiasi latitudine) il film è virtualmente inattaccabile. Sceneggiatura semplice e compatta come un blocco di marmo, buoni interpreti e regia calibrata sulla storia che deve raccontare. E questo è molto meno scontato di quello che sembra.
Qui si parla di tiratori scelti, non di Chow Yun Fat con doppia Beretta. Dante Lam questo lo sa e, una volta inserite a forza (per far contenti i produttori) le solite due carrellate accelerate in post produzione, costruisce tutta la narrazione su di un' atmosfera rarefatta e dilatata. Il sonoro viene incontro alle esigenze del regista, mettendo spesso in primo piano i suoni convenzionalmente collegati ai momenti di massima concentrazione (il respiro del protagonista, il vento,..). Non esplode nulla (quasi), nessuno uccide 3000 persone nell’arco di pochi minuti, succede solo una cosa per volta e tutti sembrano essere in attesa di qualcosa. Esattamente il tipo di regia che ci si aspetterebbe per un film che parla di cecchini. Si sarebbe potuto lavorare di più sul parallelismo tra la poetica del caricatore infinito tanto cara ai registi di HK e l’inedito one shot, one kill di questo The Sniper, fatto sta che a mantenere alta l’attenzione dello spettatore più smaliziato ci pensano i minuscoli colpi di genio disseminati da Dante per tutta la durata del lungometraggio, sia a livello di linguaggio che di sceneggiatura. Una sparatoria al chiuso tra militari attrezzati con armi a lunga gittata non è cosa da tutti i giorni, mentre una serie di enigmi trovano tutte le soluzioni prima dei titoli di coda (chi è l’uomo elegante che segue il militare radiato? Perché tutta questa attenzione nei confronti di un acquario?).
Non il film che vi porterete nella tomba, neppure un titolo da tenere in testa per le classifiche di fine anno. Eppure i 90 minuti passeranno in soffio, il cervello rimarrà acceso e alla fine non avrete da mugugnare nulla sul regista incapace. C’è chi lo chiama mestiere, chi invece artigianato.
Nessun commento:
Posta un commento