Era parecchio tempo che non mi capitava di vedere un film così altalenante e discontinuo. Da must del filone vendetta privata a carabattola televisiva (e viceversa) in un pugno d'inquadrature, passando per eccessi exploitation e picchi di genio. Tutto in 100 minuti. Previa una mia certa confusione ho preferito analizzare il film per punti.
Pollice su per...
Il Punitore: in poche parole, Ray Stevenson è il Punitore (serie Max) perfetto. Dalle espressioni alla camminata, passando per lo straordinario outfit da guerriglia urbana, finalmente il vigilante di casa Marvel trova un’incarnazione degna. Il fatto che l’attore riesca a dare una profondità credibile, e solo con le espressioni del viso, al personaggio monodimensionale per eccellenza non è cosa da poco. Da bacio accademico la scelta di mostrare il buon Frank impegnato spesso in lunghe camminate, sia per arrivare al campo di battaglia che per andarsene. La solita routine del giustiziere che compare puntualmente dall’ombra e se va senza un rumore (alla Batman) non avrebbe fatto giustizia a un personaggio capace di rendere il suo essere terra a terra la forza evocativa principale.
Violenza: The Punisher War Zone va a competere direttamente con John Rambo come film d’azione più violento degli ultimi anni. Anche qui, come nel film di Stallone, ogni tipo di ironia viene bandito. Sangue e teste dilaniate da deflagrazioni tornano a essere disturbanti, alla faccia di tutto il Tarantinismo degli ultimi 15 anni. Da antologia un buon numero di esecuzioni, non a caso quelle meno coreografiche e più realistiche. Bodycount impressionante.
Fotografia: una bella risata in faccia a chi si aspettava i soliti colori desaturati. Qui siamo dalle parti di un Mario Bava sotto acido, con miriadi di faretti colorati disseminati ovunque. Luci durissime che tagliano la scena in porzioni di colore molto ben definite, fino al paradosso delle ombre colorate. Una soluzione difficile che porta a risultati spesso molto evocativi (l’ultimissima inquadratura) altre volte fin troppo surreali. Comunque una ventata di freschezza che salva di frequente la regia da derive televisive.
Botte da orbi: se le sparatorie sono funzionali ma nulla più, Lexi Alexander raggiunge il suo picco negli occasionali scontri corpo a corpo. Regia secca e precisa, che non scimmiotta HK ma va piuttosto a riprendere soluzioni e regole della scuola statunitense pre Bay, adatta al personaggio e al set urbano tipicamente US. Un ottimo comparto sonoro fa il resto del lavoro sporco, rendendo realistici pugni e leve.
Microchip: caratterizzazione e interpretazione magnifici. Impossibile fare di meglio.
Pollice giù per...
I Cattivi: guardando il film ci si accorge di come regista e sceneggiatori abbiano fatto bene i loro compiti, inanellando una serie di richiami molto puntuali alla gestione Ennis del Punitore. Eppure una cosa gli è sfuggita: gli story arc migliori, quelli che fanno più male, sono quelli dolorosamente legati al reale. Penso a Gli Schiavisti o a L’uomo di Pietra. Nessun mostro, mutante o trovate troppo da fumetto, ma mafiosi montenegrini, reduci delle campagne URSS in Afghanistan e criminali veri. E allora perché, in un contesto che richiederebbe ancora più realismo come il cinema, si è scelto di optare per il deforme Jigsaw, suo fratello cannibale e un paio di valigette farcite di fiale blu fosforescente? Il risulta è simile a quanto si è ottenuto con Death Sentence (per la precisione, il film con alcune fra le migliori scene action del 2007): villains senza nessun tipo di carisma. E non occorre essere geni per capire quanto, nel filone del revenge movie, il cattivo conti come personaggio a tutto tondo.
La sceneggiatura: inesistente. Poco altro da dire, la discesa agli inferi di Frank è tutta da immaginare. Peccato, perché da Il Giustiziere della notte di Winner fino a Il Cittadino si ribella di Castellari, passando per il mitico Vigilante di Lustig, il filone è pieno di ottime sceneggiature.