venerdì 6 giugno 2008

[oldiest but goldiest] Death Note di Kaneko Shusuke (Giappone/2006)

Death Note è, prima di tutto, un fenomeno di costume. Da manga ad anime, fino a live action. Raccogliendo in qualsiasi campo un seguito di pubblico enorme e senza mai perdere (al massimo limando) la sua natura profondamente amorale.

Light è un ragazzo idealista, con un quoziente intellettivo esorbitante e dalla popolarità scolastica indiscussa. Sogna di studiare da ufficiale e di diventare come suo padre, pezzo grosso della polizia di Tokyo. Non riesce però a frenare la sua sete di giustizia, e finisce così per forzare il database delle forze dell’ordine. Scopre un numero enorme di delitti non puniti, tutti per mancanza di prove, nonostante l’identità degli criminali sia chiara a tutti. Decide così di muoversi per conto suo, improvvisandosi vigilante con risultati disastrosi. Tutto cambia quando trova un taccuino capace di determinare gli ultimi istanti di vita di chiunque. E’ la nascita di Kira, amorale vendicatore, amato dalla gente ma braccato dalle forze dell’ordine. Intenzionate a punire la sua attitudine alla giustizia sommaria con la pena di morte.

Cinematograficamente nullo, più vicino a una serie televisiva che a un’opera destinata al grande schermo, Death Note si salva in corner grazie a un aspetto inaspettato: l’intelligenza e la freddezza dei suoi personaggi. Se in un film standard troppo spesso ci si sorprende a inveire contro la stupidità e l’istintività delle scelte che determinano il dipanarsi della trama, in questo caso ci si deve impegnare sul serio per stare dietro ai ragionamenti e alle intuizioni di Light e comprimari. E, sorpresa sempre più gradita, tutto torna. Se si considera che si sta parlando di un film dove un taccuino decide la morte istantanea di chiunque il possessore desideri, di spiriti della morte ghiotti di mele e dall’aspetto tra il punk e il gotico, di investigatori adolescenti che si nutrono unicamente di dolciumi senza mai prendere contatto diretto con il mondo esterno, non mi sembra poco. Il regista Kaneko Shusuke si affida completamente a una sceneggiatura che quasi irrita per la perizia con cui tappa i suoi buchi e a un immaginario mutuato completamente dalle precedenti versioni (si veda, appunto, come viene rappresentato lo spirito guida di Light), non riuscendo così a emergere dalla massa dei mestieranti.

Peccato, perché gli spunti erano decisamente notevoli. La natura amorale del protagonista, la sua evoluzione da vigilante a messia di un nuovo ordine mondiale fino al deragliamento di ogni buona intuizione, poteva essere approfondita e sezionata, così come la popolarità acquista dal suo alter ego Kira grazie a chat e siti internet. Un plot che sulla carta parrebbe più adatto a un fine analista sociale come Kenta Fukasaku, che già aveva dato modo di capire perfettamente la comunicazione e la filosofia degli adolescenti giapponesi con l’imperfetto Yo Yo Girl Cop.

Un opera dalle potenzialità infinite, capace di riflettere sulla fascinazione del male e sulla sua relatività, ridotta a raffinato giallo dalle forti tinte fantasy.


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