Il buon Garth Ennis non riesce proprio a stare lontano dalle storie di guerra. Tanto più quando queste si contaminano con il western/poliziesco di frontiera. Una scelta scomoda, soprattutto in tempi di correttezza politica come quelli che stiamo vivendo. Eppure le sue storie riescono a essere trasversali, apolidi e apolitiche. Forse perché i veri protagonisti di queste storie non sono eroi, ma semplicemente uomini traditi.
Esiste una terza via tra retorica e l’exploitation da men-on-a-misson (il filone in cui inscrivere le varie sporche dozzine e bastardi senza gloria), un modo di raccontare il conflitto che si ricollega a un capolavoro come La Croce di Ferro di Sam Peckinpah, non a caso uno dei vati ispiratori del Nostro irlandese. Una guerra fatta da uomini che sparano contro altri uomini, mentre le istituzioni se ne stanno ben sicure nei loro palazzi governativi. Un percorso incominciato con Unknown Soldier e continuato sulle pagine di Hitman, fino alle Storie di Guerra. Soldati di carne e ossa e non pedine di piombo da spostare su di un tabellone. Pivelli e veterani tutti traditi nello stesso modo, tutte vittime di un meccanismo burocratico e politichese che fa dei valori un bonus da propaganda populista. Fino a quando non arriva un granello di sabbia a ingrippare tutto il sistema.
Un veterano dell’armata rossa. Una disastrosa missione in Afghanistan. La spaventosa macchina bellica statunitense. Un unico modo per pareggiare i conti.
Garth Ennis lega una volta di più la sua narrazione alla convenzioni cinematografiche, esagerando però con la narrazione off. Le tavole di Jacen Burrows hanno il misterioso dono di passare da perfette a dozzinali (e viceversa) nell’arco di un pugno di pagine, mantenendo comunque una media più che soddisfacente. In ogni caso un ottimo story telling, che si incastra in maniera esemplare con la sceneggiatura. Soddisfacente anche il ritmo della vicenda, alternato tra lunghe pause riflessive e ellissi comprensibili (oltre che funzionali alla narrazione).
Non un capolavoro, ma comunque grandissimo fumetto. Politico, profondo, splatter e spietato. Garth Ennis quando non vuole farci ridere.
Esiste una terza via tra retorica e l’exploitation da men-on-a-misson (il filone in cui inscrivere le varie sporche dozzine e bastardi senza gloria), un modo di raccontare il conflitto che si ricollega a un capolavoro come La Croce di Ferro di Sam Peckinpah, non a caso uno dei vati ispiratori del Nostro irlandese. Una guerra fatta da uomini che sparano contro altri uomini, mentre le istituzioni se ne stanno ben sicure nei loro palazzi governativi. Un percorso incominciato con Unknown Soldier e continuato sulle pagine di Hitman, fino alle Storie di Guerra. Soldati di carne e ossa e non pedine di piombo da spostare su di un tabellone. Pivelli e veterani tutti traditi nello stesso modo, tutte vittime di un meccanismo burocratico e politichese che fa dei valori un bonus da propaganda populista. Fino a quando non arriva un granello di sabbia a ingrippare tutto il sistema.
Un veterano dell’armata rossa. Una disastrosa missione in Afghanistan. La spaventosa macchina bellica statunitense. Un unico modo per pareggiare i conti.
Garth Ennis lega una volta di più la sua narrazione alla convenzioni cinematografiche, esagerando però con la narrazione off. Le tavole di Jacen Burrows hanno il misterioso dono di passare da perfette a dozzinali (e viceversa) nell’arco di un pugno di pagine, mantenendo comunque una media più che soddisfacente. In ogni caso un ottimo story telling, che si incastra in maniera esemplare con la sceneggiatura. Soddisfacente anche il ritmo della vicenda, alternato tra lunghe pause riflessive e ellissi comprensibili (oltre che funzionali alla narrazione).
Non un capolavoro, ma comunque grandissimo fumetto. Politico, profondo, splatter e spietato. Garth Ennis quando non vuole farci ridere.