lunedì 28 dicembre 2009

La morte che non ti aspetti: Accident di Soi Cheang (HK/2007)




Soi Cheang non è certo un cineasta facile. Amato e odiato in egual misura per il suo frequente debordare nei territori dell’eccesso gratuito e per il suo cinismo impietoso, arriva alle luci della ribalta grazie a due perle di nero straziante come Love Battlefield e Dog Bite Dog. Questo Accident è il suo debutto sotto l’ala protettrice della Milkyway Image, casa produttrice capace di levigarne gli spigoli e di fornirgli uno script degno di questo nome. Il risultato è paradossale: un film che è il più autoriale e contemporaneamente il meno esplicitamente Cheanghiano, un’opera che non potrebbe che essere diretta dal Nostro ma dove la sua mano risulta meno vistosa del solito. In qualsiasi caso un gran lavoro.



La trama verte attorno alle imprese di uno strano gruppo di sicari, specializzati nel simulare incidenti estremamente complessi atti a mascherare in maniera totale il loro operato. Tale modus operandi prevede una disciplina maniacale, tanto ferrea e gelida da arrivare a piegare alla propria volontà il destino (da sempre grande protagonista di casa Milkyway). O almeno così crede Ho Kwok-fai, leader indiscusso dei quattro protagonisti.



Il film è un excursus fulmineo (dura poco più di 80 minuti, ma contiene più roba di tantissimi polpettoni statunitensi da 3 ore) nella paranoia, dove la squadra di sceneggiatori si diverte a mischiare licenze poetiche rischiosissime (siamo sempre sull’orlo della cazzata gigantesca) e durissimi rientri nella sfera del realismo. Se si è abituati a mascherare attentati nella foschia del caso è naturale vedere indizi della propria fine imminente in ogni minima anomalia della quotidianità. Su questo presupposto Soi imbastisce una serie di morti atroci (senza che neppure un colpo di pistola venga esploso), immergendo tutto nelle sue inquadrature imbevute di nero.



Un ritmo vertiginoso, accompagnato da musiche dall’elevato tasso Hitchcockiano, garantisce una tensione costante. Come in Eye in The Sky, ultimo grande debutto in casa Milkyway prima di questo Accident, la narrazione si infila tra le fessure di un costante movimento. Le informazioni sui protagonisti sono ridotte al minimo, l’asciuttezza pare dominare ogni aspetto del lungometraggio. Anche questo costituisce un mezzo per creare un’incertezza costante, chiave di volta di tutto l’apparato narrativo/iconografico e fattore che spingerà lo spettatore a chiedersi che strumento di morte si possa celare in ogni inquadratura.



Da questo punto di vista il film si conferma opera completamente aderente alla poetica di Soi Cheang, noto per la totale mancanza di speranza e per l’atmosfera di oppressione. Se in Dog Bite Dog era un certo accumulo di fattori disumani (anche a livello di linguaggio) a rendere claustrofobica l’atmosfera, qui, come già accennato, è esattamente il contrario. Il destino avverso pare insinuarsi in ogni aspetto della nostra vita e, per mancanza di dati certi, ci è impossibile sapere quanto sia frutto di cattiveria umana e quanto del puro caso. Un bel modo per farsi passare la voglia di uscire di casa.








2 commenti:

Giangidoe ha detto...

Solo la trama mi intriga un sacco, figuriamoci poi col corredo della tua (come al solito) impeccabile analisi.
Spero di recuperarlo presto!

MA! ha detto...

Recupera, recupera. Ne vale veramente la pena.