martedì 28 aprile 2009

[kick-ass movie] The Street Fighter di Shigehiro Ozawa (Jap/1974)

Se dovessimo mappare il cosiddetto cinema dei calci e dei pugni The Street Fighter si troverebbe più o meno agli antipodi di La 36ma camera dello shaolin. Questo perché nel seminale capolavoro di Lau Kar Leung l’arte marziale era perno centrale di un profondo bildungsroman e di una struttura narrativa dove l’addestramento (quella parte di film che di solito occupa lo spazio di un montaggio musicale) finiva per occupare ben più della metà dei 115 minuti di lunghezza del lungometraggio. Il giovane Yu Te passava da sprovveduto ribelle a maestro, maturando nella tecnica quanto nella filosofia, restituendoci nel frattempo il ritratto definitivo del cinema action made in HK. Le mazzate finalmente trovavano una profondità tale da influenzare anche il linguaggio cinematografico con cui le si raccontava, traghettandoci verso la fine di un’era e aprendo le porte alla nuova scuola.



The Street Fighter è invece il trionfo della superficie e del genere, una commistione pop tanto potente da divenire archetipo di un certo tipo di brutalità. Basti la tagline “If you've got to fight...fight dirty!” per farci capire come filosofia e rispetto per l’avversario non siano neanche presi in considerazione dai protagonisti. Il Takuma Tsurugi di Sonny Chiba è un vero bastardo, uno che attacca alle spalle e non ci pensa un secondo prima di vendere al racket della prostituzione una cliente incapace di pagarlo per i suoi servigi. Ma è anche un duro capace di versare una lacrima per il suo assistente morto in un tentativo di salvataggio o di capire che la giustizia sta dal parte del vecchio maestro di karate amico del padre. La sceneggiatura ci suggerisce inoltre come il Nostro sia un autentico mostro di acume e capacità investigative, visto che sa sempre dove trovarsi e come arrivarci al momento giusto. Naturalmente ogni spiegazione viene eliminata dalla narrazione, a favore di un minutaggio assurdo dedicato alla sua aggressività in combattimento. Perchè Sonny non si limita picchiare decine di malviventi (una fantomatica sinergia tra yakuza e mafia), lui deve strappare giugulari, asportare testicoli, scagliare gente da grattacieli e sfondargli il cranio in maniera talmente esagerata da costringere il regista Shigehiro Ozawa a riprendere la scena attraverso una radiografia (scelta passata alla storia e rivista in moltissimi film, da The story of Ricky a The Toxic Avenger 4, passando per Romeo deve morire e Shinobi). Oltre che picchiare donne come se non ci fosse un domani. Giuro, manco Chow Yun Fat in Tiger on the beat.



Ciò che rende The Street Fighter un autentico kick-ass movie è il suo totale disinteresse per limiti invalicabili e velleità autoriali. Nonostante una regia nervosa e ricca di trovate affascinanti (stupendo l’effetto “caduta” o il duello finale sotto la pioggia battente), perfino colta nel suo citare il Maestro Fukasaku ogni qualvolta la camera da presa si trovi inclinata rispetto al suo asse, tutta l’attenzione è su Takuma Tsurugi. Personaggio bigger than life per eccellenza, costantemente impegnato nel grugnire o sorridere beffardo osservando i geyser di sangue provocati dai suo colpi terremotanti, quintessenza del picchiatore nei decenni a venire. Praticamente immortale e infallibile in ogni sua sortita. Se lo spadaccino monco di Chang Cheh, primo personaggio del wuxia cantonese a guadagnarsi un posticino nella mitologia moderna, rifuggiva in ogni modo la violenza (nonostante i fiumi di sangue che contraddistinguono tutta la sua trilogia, in particolare l’autentica mattanza del secondo e del terzo capitolo), il combattente di Sonny Chiba invece non vede l’ora di menare le mani. Non c’è tempo per la riflessione o l’approfondimento psicologico, bastano un paio di pennellate per rendere tangibili i tratti distintivi di ogni personaggio, così come appare bandita ogni forma di ironia, relegandola a compito dell’immancabile spalla pasticciona (e per questo allontanata da Takuma stesso, tanto per farvi capire con che figlio di buona donna abbiamo a che fare).



The Street Fighter rimane un caposaldo dell’action più scatenato, autentica pietra miliare di un modo di fare cinema forse ingenuo ma capace di affascinare intere generazioni di spettatori. E tassello immancabile di quell’enorme mosaico che risponde al nome di immaginario collettivo.




5 commenti:

Officina Infernale ha detto...

hey man hai una mail che ti devo fare delle proposte indecenti

MA! ha detto...

La trovi sul tuo blog!

RRobe ha detto...

E poi + uno dei film preferiti di Clarence Worley.

MA! ha detto...

E' vero! Nonostante io non ami in modo particolare il Taranta (è una specie di dovere da snob che ci prendiamo sulle spalle noi asianofili)il suo gusto e il suo occhio in fatto di film culto sono sempre stati una garanzia assoluta. Ma come si fa a citare solo film fighi?

Faust VIII ha detto...

Il buon Chiba ha recitato anche la parte di Duke Togo in Golgo 13:Assignment Kowloon...