martedì 11 novembre 2008

Milano criminale: la città esige vendetta (pt.2) di Cajelli e Ferrario (Edizioni BD/2008)

Devo ammettere che alla conclusione del primo volume di Milano criminale: la città esige vendetta ero rimasto piuttosto dubbioso: sfuggiti al rischio del classico giochino citazionista, Cajelli e Ferrario si avviavano verso la riproposta filologicamente perfetta del poliziesco anni ’70. Una ricostruzione maniacale, seguito di un lavoro di ricerca serio e approfondito, restituiva al lettore un ibrido tra “Roma a mano armata” e “Uomini si nasce, poliziotti si muore”. Il valore iconografico del primo (che rimane il poliziesco per antonomasia, nonostante si tratti di una speculazione sul prototipo “La polizia incrimina, la legge assolve”) incontra la potenza scardinatrice della sceneggiatura DiLeiana (ma anche della regia sempre sopra le righe di un Deodato non ancora prigioniero di se stesso) del secondo, andando a completare un quadro esemplare. Forse troppo, e qui ritorno sui miei dubbi. Il volume poteva essere esaltante per chi era a digiuno di Lenzi e Castellari, ma rappresentava una proposta troppo puntuale nell’aderire al suo originale per chi, con quei film, si è bruciato l’adolescenza.



Tutti dubbi fugati da questo secondo capitolo. Con il dipanarsi della vicenda Cajelli riesce a dimostrare quanto la visione dalla distanza possa essere utile in un tipo di narrazione che trae ispirazione prima di tutto dal reale. Gli autori di Milano criminale riprendono una serie di cliché e caratterizzazioni tipiche dei ‘70 per innestarle alla conoscenza che si ha di quegli eventi a quasi 40 anni di distanza. Come risultato i due milanesi danno alle stampe un poliziesco che distilla attraverso il filtro della storia tutto ciò che era già contenuto in potenza negli originali, trame politiche e sociali all’epoca senza privilegio dell’invecchiamento, ma che oggi riusciamo a leggere con l’ottica corretta. Si avverte la sensazione di uno spostamento da “Milano trema: la polizia vuole giustizia” verso la narrazione a ventaglio di “La polizia accusa: il Servizio Segreto uccide”, con la speranza che si arrivi alla profondità di “Confessioni di un Commissario di Polizia al Procuratore della Repubblica”.



Plauso per la scorrevolezza dei dialoghi, così veri ma al contempo indissolubilmente legati alla mitologia italica della frase lapidaria (vedi alla voce spaghetti western), e per il magnifico lavoro di Ferrario nel fondere disegni e fotografia in maniera del tutto organica e originale. Interessante come il suo stile così cartoonesco si sposi alla perfezione con la durezza della trama e come una costruzione della tavola piuttosto convenzionale non riesca a sferzarne dinamismo e appeal cinematografico. Sono cose che succedono quando si è gran bravi a fare il proprio lavoro.



Aldilà di tutta la dietrologia possibile sui crime movies settantiani Milano criminale è un fumetto splendido, che riesce a essere accessibile (e comprensibile) a chiunque, nonostante la sua ricercatezza e minuziosità.
Si attende con ansia il terzo capitolo.

3 commenti:

Giangidoe ha detto...

Purtroppo il "poliziottesco" italiano è sempre stato un genere che ho ignorato (colpevolmente).
Rimanderò questa lettura a quando avrò recuperato almeno qualche masterpiece di questo filone.

MA! ha detto...

Se sei interessato al crime movie italiano segnati Milano Calibro 9, La Mala Ordina, Il Boss, Milano Odia: la polizia non può sparare, Milano: il clan dei Calabresi, Il Grande Racket, Il cittadino si ribella, La polizia incrimina, la legge assolve, Quelli della calibro 38, Uomini si nasce, poliziotti si muore, Roma a mano armata, Liberi armati pericolosi, Cani arrabbiati, Gente di rispetto, Vai gorilla,... solo per citare i miei preferiti!

Giangidoe ha detto...

Caspità!
Con i ritmi attuali e tutta la roba già in lista, potrò farti sapere cosa ne penso nel prossimo decennio!