Il suo primo parto non brilla certo per originalità, ricollegandosi senza mezzi termini all’abusato filone del poliziotto dai metodi dubbi e dal passato devastato contro la corruzione nel distretto, ma è il come ad attirare l’attenzione. La Notte Non Aspetta è teso, sporco e sgradevole. Una fotografia che unisce la saturazione del neon con un nero livido e senza fondo, movimenti di macchina che paiono la versione imbottita di benzedrina del Michael Mann di Miami Vice e Collateral, una colonna sonora che passa da una sorta di hip hop infernale (prossimo alla sperimentazione industrial, martellante e distorto fino all’eccesso) a tetre partiture per archi. E poi la violenza. Sparatorie secche, devastanti, di un realismo esasperato ed esasperante. E per una volta un prodotto US ci fa dimenticare le brutture di un Bay qualsiasi, tutta la rabbia incanalata buttando tempo in Die Hard fatti di pixel e Bourne senz’anima esplode come una raffica di AK nel ghetto. Per questo un grazie di cuore al regista David Ayer, per il suo senso vertiginoso del ritmo, per aver compresso in 109 minuti una vicenda da cui altri avrebbero tratto una trilogia, per gli schizzi di sangue e materia grigia, le zoomate exploitation e le steady impazzite, per le gru e i dolly vertiginosi, mai gratuiti. Grazie per averci riportato al cinema.
Le città statunitensi tornano così a essere palcoscenici per poliziotti oltre le regole, le strade lerce di sangue e droga, la politica venduta al miglior offerente. Speriamo che anche il cinema torni duro come un cazzotto in pieno volto.