La Notte Non Aspetta è quello che succede quando l’industria del cinema americano si ricorda di aver prodotto buona parte dell’immaginario degli ultimi 50 anni (e considerate che lo dice uno con il santino di Chow Yun Fat nel portafoglio e la locandina originale di Django appesa sopra il letto dove ogni notte dorme con la sua compagna). E ci voleva un grande vecchio del noir a ricordarglielo. James Ellroy esordisce come sceneggiatore dopo aver fornito soggetti e ispirazione a tutto quello che puzza di corruzione, pornografia e alcool uscito negli ultimi vent’anni dagli Stati Uniti.
Il suo primo parto non brilla certo per originalità, ricollegandosi senza mezzi termini all’abusato filone del poliziotto dai metodi dubbi e dal passato devastato contro la corruzione nel distretto, ma è il come ad attirare l’attenzione. La Notte Non Aspetta è teso, sporco e sgradevole. Una fotografia che unisce la saturazione del neon con un nero livido e senza fondo, movimenti di macchina che paiono la versione imbottita di benzedrina del Michael Mann di Miami Vice e Collateral, una colonna sonora che passa da una sorta di hip hop infernale (prossimo alla sperimentazione industrial, martellante e distorto fino all’eccesso) a tetre partiture per archi. E poi la violenza. Sparatorie secche, devastanti, di un realismo esasperato ed esasperante. E per una volta un prodotto US ci fa dimenticare le brutture di un Bay qualsiasi, tutta la rabbia incanalata buttando tempo in Die Hard fatti di pixel e Bourne senz’anima esplode come una raffica di AK nel ghetto. Per questo un grazie di cuore al regista David Ayer, per il suo senso vertiginoso del ritmo, per aver compresso in 109 minuti una vicenda da cui altri avrebbero tratto una trilogia, per gli schizzi di sangue e materia grigia, le zoomate exploitation e le steady impazzite, per le gru e i dolly vertiginosi, mai gratuiti. Grazie per averci riportato al cinema.
A livello di sceneggiatura è come se ci si stesse leggendo un libro di Ellroy, con tutti i suoi pro e i suoi contro. Contro perché si sa già cosa si andrà a trovare, a partire dallo stesso protagonista. Alcolizzato, violento, razzista. Punisce i criminali più per rabbia e per amore della violenza che per vero senso di giustizia, vive immerso in un fiume senza fine di sporcizia e corruzione senza aver la voglia di rendersene conto. Come sempre non esistono i buoni, ma solo sfumature di male. Nello stesso modo la vicenda stessa segue l’andamento tipico di ogni romanzo dell’autore di Los Angeles, aprendosi a ventaglio di passaggio in passaggio, affastellando misteri, morti e squarci di grottesco fino allo sconsolante finale. Di pro c’è che sono clichès di Ellroy, non di un anonimo sceneggiatore diventato miliardario a suon di Transformers e remake di jhorror.
Le città statunitensi tornano così a essere palcoscenici per poliziotti oltre le regole, le strade lerce di sangue e droga, la politica venduta al miglior offerente. Speriamo che anche il cinema torni duro come un cazzotto in pieno volto.
1 commento:
Visto ieri sera, mi è piaciuto.
Purtroppo è, appunto, prevedibile, ma lo stile è ok e la narrazione anche.
Consigliato!
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