giovedì 1 maggio 2008

Mani Nude di Paola Barbato (Edizioni Rizzoli)



Mani Nude vi terrorizzerà. Sorprendente, considerando il fatto che il romanzo in questione si pone agli antipodi di ogni genere con tale obiettivo come fine ultimo.




Come i suoi protagonisti, Mani Nude gioca sporco. Perché, per quanto estremo e rivoltante, tutto quello descritto nel romanzo di Paola Barbato potrebbe accadere realmente. A ognuno di noi. Mani Nude gioca sporco perché spesso, molto spesso, la realtà può avere un effetto esponenzialmente più destabilizzante di ogni fantasia, anche la più spinta o visionaria.




Siete un sedicenne, un banale e scontato sedicenne. Con i pensieri, i sogni e le fantasie che un ragazzo di tale età può avere. In una sera come tante altre venite rapito, chiuso in un camion e costretto a lottare per la vita in una serie di combattimenti illegali. E’ il primo giorno del resto della vostra nuova vita.




Partendo da uno spunto capace di stimoli ma comunque conosciuto, l’autrice assesta un paio di colpi spiazzanti e capaci di fa guadagnare alla vicenda una fisionomia nuova. Il tema del corpo, legato in maniera indissolubile al genere, abbandona le suggestioni nichilistiche e viscerali riconoscibili nel film Tokyo Fist di Shinya Tsukamoto o in opere narrative come Fighter di Craig Davidson o Fight Club di Chuck Palahniuk per procedere nella direzione opposta. Se negli esempi riportati la body modification spingeva verso una mutazione violenta della carne, con corpi desiderosi di essere sempre più vicini a una versione tumefatta dell’Elephant Man di Lynch, in Mani Nude il combattente deve essere bello. Niente lividi, nasi rotti o denti neri. Nel romanzo ci si sofferma minuziosamente nel seguire operazioni futili che ci aspetterebbe di ritrovare più in un salone di bellezza che in un’arena per la boxe clandestina. Si passa così da una concezione del sesso totalizzante e metaforica a una sfera più esplicita e virata in una chiave tra il queer e il decadente.




In secondo luogo, l’analisi dei processi interiori dei protagonisti, più vicina a un contorto bildungsroman piuttosto che al Cane di Paglia peckinpahniano. Davide, il protagonista, non sprofonda in un baratro di follia, non si isola in un nuovo mondo costruito a sua misura. Piuttosto riesce a trovare una convivenza tra maturazione e regressione a uno stadio infantile. Entra in una fase adulta diventando cosciente e consapevole, ma sviluppa nel contempo una dipendenza del suo maestro che si pone a metà tra il rapporto padre-figlio (qui la regressione), cane-padrone (decisamente regressione) e l’attrazione omoerotica. Paola Barbato riesce a dare profondità a un groviglio di spinte interiori inestricabile, senza mai cadere nel didascalico. Il lettore si trova così costretto a leggere fra le righe, tendenza esplicitata anche dalle numerose ellissi narrative che punteggiano le 430 pagine del romanzo.



Un romanzo in cui il contatto fisico è solo un sofisticato mcguffin, dove i veri protagonisti sono i rapporti umani. Che, inseriti in un contesto che di umano non ha nulla, finiscono per implodere su se stessi. Fino alla beffa finale.

4 commenti:

The Passenger ha detto...

mo, fatti vivo e scrivimi!

Alessio Valsecchi ha detto...

Questa rece te la rubo di sicuro... ;-)

MA! ha detto...

Per The Passenger: hai ricevuto la mail?

asbadasshit ha detto...

Sembro un disco rotto. Al di là di una timidezza atavica e un altrettanto atavico desiderio di rivalsa che mi rendono sempre stritolata tra la vergogna e il piacere di ricevere complimenti o gratificazioni, so che è troppo facile rispondere a una recensione positiva. E mi piacerebbe farlo invece, cazzo! Punto per punto, soprattutto su certe cose che hai colto, e anche questa frase suona usata, ma è vero, in diverse recensioni persone diverse hanno catturato messaggi non sempre espliciti che però se ne stavano lì aspettando solo di essere colti. Quindi:
1) grazie
2) su una cosa sola mi soffermo: è stato difficilissimo e delicatissimo bilanciare la personalità di Davide, partendo da una struttura mentale credibile(l'adolescente cresciuto più fuori che dentro perchè a differenza dei coetanei può permettersi di aspettare, ha -credeva di avere- tutto il tempo del mondo) e farla contemporaneamente evolvere (ovvere perndere atto di determinate cose, accettarle, esserne consapevole) e involvere, regredire. Come, vedi, quei bimbi cinesi che appartengono a famiglie circensi e che imparano equilibri impossibili a suon di botte. Eppure ogni schiaffo li rende paradossalmente più saldi e sicuri. Ho lavorato su questo. Tanto, nulla di scritto o digitato, ma ci ho lavorato tanto e questo risvolto è arrivato. Non a tutti, ma a te sì. E mi fa piacere. Anche tutto il resto, ma questo soprattutto.

Basta, o divento ridicola.

Paola