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Fighter parla di boxe clandestina, di incontri consumati tra sporcizia e sangue rappreso. Due storie di fascinazione per la violenza, per le conseguenze della stessa sulla nostra essenza più materiale. Sull’aiuto che queste ci possono dare per riprenderci la nostra vita. Carne tumefatta e ossa rotte come soluzione ai problemi, alla noia, alle prospettive che non ci appartengono. Autodistruzione come miglioramento. Dal punto di vista strettamente narrativo, interessandosi alla descrizione dello scontro fisico, non esiste eleganza in questo libro. Non ci sono i geyser di sangue che arricchivano di algida stilizzazione i due Lady Snowblood di Toshiya Fujita, e neppure l’armonia e la bellezza delle coreografie di Siu-Tung Ching. Non esiste attrazione per questo tipo di orrore, la maschera inumana di chi non pare appartenere più al nostro ramo dall’evoluzione da almeno tre round ma si rifiuta comunque di andare giù. Il libero arbitrio portato al cubo, più terrorizzante di ogni serial killer e di qualunque mostro tentacolare.
La scrittura di Davidson nulla concede ai virtuosismi tipici di Chuck Palahniuk, non sfruttando (quasi) per nulla le caratteristiche del medium. Il canadese preferisce stare dalle parti della sceneggiatura estesa, dell’ ultrarealismo di Edward Bunker, concedendosi solo rare escursioni nella visionarietà da incubo che odora decisamente di Clive Barker. Fighter è leggibile in una sola giornata, le immagini si materializzano davanti ai nostri occhi senza il minimo sforzo, stando ben lontane dal concederci il lusso di immaginarle. Nessuno spazio per la riflessione o la libera interpretazione. Un montante diretto sotto il mento. Rapido, doloroso, da black out totale. E aspettatevi un risveglio in una pozza del vostro stesso sangue.
Fighter di Craig Davidson
396 pagine, 16.50 €
Edizioni BD
1 commento:
sembra una figata, non me lo farò scappare...
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