Nel corso degli ultimi anni il noir ha decisamente sofferto di iperesposizione ipervitaminizzata. Inutile meravigliarsi quindi se ogni ricorso a un classicismo scevro da eccessi pulp o riletture forzate venga accolto con un plebiscito da tutti gli amanti di questo genere. Basti l’esempio del Criminal di Brubaker, classico che più classico non si può. Eppure meraviglioso e premiatissimo.
In questo filone si va a infilare anche la serie di Parker, che però rispetto a tutti i suoi concorrenti ha qualcosa in più: tonnellate e tonnellate (e tonnellate) di stile. Che del noir sarebbe poi uno degli ingredienti principali. Se prendiamo i grandi classici del nero (quando ancora derivava dall’horror e non dal poliziesco, come pensano tutti) abbiamo fotografie stilizzate e inquadrature inusuali. Noi spettatori percepiamo il tutto come scelte di tipo artistico, ma in realtà si parlava di vincoli imposti dal budget. C’erano pochi soldi e ancor meno tempo, quindi ci si limitava a uno/due punti luce e movimenti di macchina minimi. Così imbrigliati si era costretti a inventarsi l’impossibile pur di mantenere alta l’attenzione dello spettatore.
Era la nascita di un’estetica che ben si sposava con i duri protagonisti di Hammett e Chandler. Più che logica la fusione con un tipo di linguaggio secco ed essenziale. Gente che si muove in sordidi mondi divisi tra lame di luce e pozzi di nero non poteva certo essere logorroica. E allora ecco che allo stile della messa in scena si univa anche quello della scrittura. Asciutta, efficace, arrogante nel non voler lasciar cadere neppure una parola. Con il passare degli anni questa filosofia è evoluta attorno al suo nocciolo, arrivando a un certi gialli e neri swingati degli anni ’60. Da Sciarada a Hitchcock passando per Seijun Suzuki, Jo Shishido e samurai parigini. Non è una caso che tutti questi esempi siano connotati da un’estetica diventata iconica e ben nota anche fuori dal circuito cinematografico. Personaggi ben vestiti (nonostante siano duri che a certe cose non prestano attenzione) con linee di dialogo argute e ficcanti sempre pronte sulla punta della lingua.
Torniamo ora a Parker. Sapete come si chiama l’absolute statunitense? Martini Edition.
Basterebbe segnalare questo meraviglioso, minuscolo, gratuito vezzo per recensire il volume. Come ho già detto Cooke è stile allo stato più cristallino. L’intera sezione centrale, in cui l’organizzazione messa in piedi dal protagonista attacca il sindacato mafioso, è un capolavoro indiscutibile. Arzigogolati piani criminosi vengono resi con uno stile a metà tra la strip e l’infografica, senza dimenticare suggestioni da romanzetto pulp e soluzioni grafiche degne di Saul Bass e Maurice Binder. Tutto scorre liscio come l’olio. Contenuto, linguaggio, fruizione. Anche il resto del volume è di livello vertiginoso, alternando spacconate più dure della roccia a un sottile senso dell’umorismo. Mai esplicito o in primo piano, eppure sempre presente e indispensabile per dare un retrogusto da speziato cocktail a ogni pagina.
Arrivati all’ultima pagina di questo tomo il Martini lo si vorrebbe sorseggiare, magari indossando un completo di sartoria e occhiali fumé. Tanto per avere l’illusione, almeno temporanea, di essere fichi quanto Parker.
Ultime note per l'edizione. Quella US non ho la minima idea di come sia. Quella nostrana (Edizioni BD) è, semplicemente, perfetta. 15 euro spesi che meglio non si può.
2 commenti:
Una delle più belle uscite BD...un Darwin Cooke in piena forma! Supera persino DC new frontiers...il bello che i romanzi di stark sono ambientati nei giorni nostri più o meno...Cooke li ha ambientati nella sua epoca preferita...
Non lo sapevo! Mi piace ancora di più. Cooke immenso.
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