Perché la storia (anche quella del cinema) non è fatta solo da chi sta in cima. Anzi, spesso è proprio dal basso che arrivano gli scossoni più interessanti. Basta saperli sentire. Partendo da questo presupposto ho maturato la decisione di recuperare l’opera omnia di uno dei registi più (ingiustamente) vituperati di sempre: Albert Pyun. Parte così Pyunologia, percorso in una poetica da VHS.
Dollman è geniale. Sarà anche scritto male, girato in condizioni di fortuna e interpretato da cani, ma l’idea di fondo è qualcosa di grandioso. Leggete la sinossi qui sotto e provate a dire il contrario.
Tutto parte sul pianeta Arturos, una sorta di versione povera della Los Angeles di Blade Runner. Nel bel mezzo di una situazione critica facciamo la conoscenza di Brick Bardo, tipico sbirro cazzuto e violento. Ora ancora più badass grazie all’aggiunta di pseudo poteri jedi. Nel giro di una manciata di minuti incontriamo anche il suo antagonista, una gommosa testa fluttuante. Segue scontro all’ultimo sangue e inseguimento negli spazi siderali dell’universo profondo. Il tutto porterà a sviluppi inattesi, fino al rovinoso arrivo sulla Terra. South Bronx, per la precisione.
Neanche il tempo di riprendersi dall’impatto che il Nostro si butta al salvataggio della sua probabile coprotagonista (in fuga da un manipolo di malviventi), con logico e conseguente spargimento di cadaveri al suolo. E qui arriva il bello, perché proprio in questa occasione scopriamo che il Callaghan intergalattico è alto… 30 cm.
Ditemi voi se tutto questo non è meraviglioso. In un colpo solo Albert Pyun rilegge e ridicolizza un sacco di personaggi della fantascienza e del poliziesco, creando qualcosa di totalmente nuovo (non venite a dire che esisteva già il mini supereroe della Quality Comics, siamo in due territori totalmente diversi). Peccato che dietro a tutta l’operazione ci sia la Full Moon Features (quelli della serie Puppet Master), non proprio noti per la loro generosità pecuniaria. Ma noi fanatici di Pyun sappiamo bene che il risultato sarebbe stato uguale in qualsiasi caso. Anche se il regista avesse avuto a disposizione un budget faraonico non sarebbe comunque bastato. La sua è una rincorsa alla fantasia più sfrenata, all’evasione più pura e incontaminata. Dollman è l’ennesimo tassello di una filmografia che deve essere presa per intero, solo così se ne può capire la ricchezza e l’andamento da blob onnivoro. Nonostante i mille "incidenti" produttivi.
Certo, c’è da dire che in questo caso oltre all’idea di base ci sia veramente poco. La reazione degli abitanti del Bronx all’arrivo di due minuscoli essere dotati di armi potentissime è al più di curiosità. Neanche fossimo in un una puntata di Ugly Americans (a proposito, quanto è bella a vedersi questa serie?) la paura non viene proprio presa in considerazione. In un paio di occasioni viene a galla la voglia di Albert di premere sulla macelleria più bassa (ci sono un paio di corpi letteralmente divelti), qui più che mai strumento espressivo e non mero orpello estetico per adolescenti vogliosi di trasgressioni all’acqua di rose. Lo stridere tra la presenza fisica del protagonista e le conseguenze delle sue azioni avrebbe reso il tutto ancora più ironico e assurdo. Peccato (ancora una volta) che si stia sempre parlando di uno straight to video prodotto da una delle compagnie più famigerate di sempre. Tanto che sfrutterà il personaggio creato da Pyun per girarne un improbabile sequel/crossover Dollman vs Demonic Toys (lo ammetto, il titolo è grandioso. Pura VHS nostalgia).
Fulminante, a questo proposito, la fine dell’antagonista alieno. Deciso a prendere il potere di una gang terrestre finirà schiacciato dal capo di questa come un semplice insetto. Mai fare il gradasso nel Bronx quando sei alto 5 cm (ricordiamo che il cattivo era composto unicamente dalla testa gommosa). Se qui il Grand Guignol è succosa e bizzarro quanto basta, per la gran parte del lungometraggio i risultati delle raffiche di laser rimangono nella testa del regista, ben barricati dietro una lista di costi e spese irraggiungibili. Non basta certo un braccio mozzato sul finale per risollevare l'asticella del gore a livelli da midnight movie.
Il resto dello sviluppo narrativo risulta non pervenuto e verso la fine dei 70 minuti ci si accorge fin troppo chiaramente che non erano rimasti neppure i soldi per il catering della troupe. Poco importa, a noi basta l’idea che un film del genere esista. Che abbia generato una copertina da VHS in cui perdersi e costruire la nostra personale visione di Dollman. Albert Pyun perde ancora una volta l'occasione per dimostrare quanto vale, a occhi avidi e depredati da una certa innocenza infantile, e noi gli vogliamo ancora più bene di prima.
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