lunedì 4 agosto 2008

Scalped di Jason Aaron e R.M. Guéra

Ammettiamolo, è inutile girarci attorno. Tutti i più grandi fumetti di scuola anglofona attualmente sul mercato sono noir, o comunque circoscrivibili senza dubbio al genere. Merito di gentaglia che pare essere cresciuta a scotch e Chandler, merito di quel pugno di fumettari in cui inscrivere senza dubbio avanzi di galera come Brian Azzarello, Ed Brubaker, Warren Ellis, Brian Bendis e da oggi anche l’astro nascente Jason Aaron.



Perché noir non significa soltanto pioggia, città corrotte e bettole fumose, magari nei pressi del porto. Noir è perdita della speranza, una corsa a rotta di collo sapendo che il traguardo sarà molto peggio del peggio che ci si era immaginati. A dimostrazione di questo arriva Scalped: totalmente ambientato sotto il sole rovente di una riserva indiana ormai allo sbando, senza una goccia di pioggia catartica e senza uno spolverino liso e intriso di fumo rancido. Eppure vi darà la sensazione di essere presi a calci in bocca dal peggior figlio di troia della città.



Con un punto di partenza che ve ben aldilà della semplice originalità e che permette una lettura stratificata e multiforme della vicenda, dialoghi (parzialmente rovinati dell’edulcorata traduzione Planeta) che prendono tutto il Tarantinismo d’acchito degli ultimi dieci anni e ne fanno una palletta informe da gettare fuori dal finestrino della vostra auto e una carica emotiva impossibile da rintracciare in tutti i pastoni post moderni (dove ogni schizzo di sangue deve essere esagerato perché fa tanto slapstick) che infestano il mercato, Scalped si pone già al primo trade paperback all’altezza di capisaldi come 100 Bullets e Criminal, mantenendo comunque una sua personalità ben definita. Menzione anche per le tavole di R.M. Guéra, torride e ruvide come una distesa di terra bruciata abbellita con del filo spinato. Se non si fosse capito, roba tosta che nulla a che fare con i guazzabugli omo dei vari crossover ed eventi galattici.



Meno grottesco del capolavoro di Azzarello ma più sanguigno dell’affresco esistenzialista di Brubaker. Duro come un uppercut sotto il mento, intelligente come la mente dietro una rapina in banca.


4 commenti:

Giangidoe ha detto...

Caspita, se mai avessi avuto dei dubbi sul fare o no questo acquisto, ora non ne ho più alcuno.
Comunque è vero: i più grandi talenti del fumetto americano sono tutti avanzi di galera e persone di destra (anche se detto così può suonare un pò tendenzioso).
Alla breve lista degli ultimi geni, aggiungerei anche Mark Millar (che più noir di lui secondo me non ce n'è).

MA! ha detto...

Suona tendenzioso ma rende l'idea! E pensare che tanta gente non riesce ancora a scindere la persona reale da quello che scrive! Penso al Tom Strong di Alan Moore: il fumetto è chiaramente di destra e conservatore, mentre chi lo scrive si sa su che posizioni viaggi...
Mark Millar (che ricordiamo essere un ex sindacalista e giornalista per testate legate al movimento) è un fottuto furbone, io adoro la sua gestione di Authority: riesce a offendere contemporaneamnete liberali e conservatori, il risultato è una bomba iconoclasta che lascia terra bruciata intorno a sè. Un pò come Frank Miller quando ancora si ricordva di esser Frank Miller...

Raven ha detto...

Beh, Mark MIllar mi pare parecchio di sinistra...

Se si parla di avanzi di galera, direi che anche Daniel Way rientra a pieno titolo nella categoria (per non parlare di Brubaker, che in galera ci è stato per davvero)

MA! ha detto...

Racconta un pò sta storia di Brubaker... questa mi giunge nuova!

Sì, sì. Sia Millar che Ellis (così come tanta altra gente) sono di sinistra. Ma questo non proibisce loro di gettarsi in storie che paiono leggermente più orientate dall'altra parte. Che dopo si riconduca tutto a un meccanismo di ironia rovesciata mi pare scontato.