lunedì 11 agosto 2008

Red Cliff Pt.1 di John Woo (Cina/2008)

Ci sono due tipi di spettatori occidentali per questo Red Cliff: l’amante dei nuovi polpettoni cinesi a base di balletti sul bambù e chi è cresciuto con gli heroic bloodshed del cineasta hong konghese John Woo. Un uomo capace di maneggiare la lezione del Maestro Peckinpah fino a svuotarla dei suoi significati simbolici, esagerandola e filtrandola attraverso un occhio infantile inimitabile. Un meccanismo che ha portato alla più grossa rivoluzione del cinema di genere degli ultimi 20 anni. Senza A Better Tomorrow (primo film a rendere pubblico il Woo pensiero, grazie anche alla produzione del creatore di mondi Tsui Hark) l’action, il noir urbano e il pulp di oggi non esisterebbero neppure. Una linea di pensiero proseguita negli anni con i vari Hard Boiled, The Killer e Bullet in the Head. Anche se, a livello del tutto personale, nulla mi potrà mai gasare di più degli ultimi 20 minuti di A Better Tomorrow 2: un trionfo di sangue, piombo, acciaio, lacrime e onore in cui si scontrano Chang Cheh, spaghetti western, chambara e tutti gli eroi della nostra infanzia. Inutile dire da che parte dei due spettatori io penda.



Se anche per voi Chow Yun Fat è il miglior testimonial possibile per la Beretta, allora non vi posso che consigliare una visione di questo Red Cliff in modalità vhs porno. In altre parole, scavalcate le parti pallose e arrivate subito alle mazzate. Perché le parti pallose sono veramente pallose, mentre nelle scene più concitate la mano del nostro si vede tutta (anche se, è meglio dirlo subito, gli eccessi del passato rimangono lontani). Così, anche dopo anni di esilio statunitense e nonostante le limitazioni della produzione cinese, il buon John rimane comunque il Maestro del cinema action. Dimenticatevi le sterili contorsioni plastiche del cinese Zhang Yimou, l’anemia degli scontri e la fotografia linda e pulita. In Red Cliff il sangue si mischia alla polvere e al sudore, immerso in linguaggio cinema che riesce miracolosamente a unire zoomate exploitation, carrellate di un eleganza e di una sinuosità che lasciano senza fiato a rallenty tipicamente post moderni (tranquilli, ci sono anche i rallenty epici e i freeze frame immancabili in ogni film del Nostro). Non mancano scivoloni e cadute di stile (quando il cinema di HK ne ha fatto a meno?) ma gli scavallamenti di campo, i dolly sinuosi, le prospettive inusuali e le steady di chiara scuola Ching Siu Tung riescono comunque a farci dimenticare tutto e a immergerci , ancora una volta, in quegli eroici bagni di sangue.



Se solo tutto questo fosse successo nell’ex colonia inglese, con i suoi budget risicati e la sua libertà d’espressione impagabile, magari adesso staremmo gridando al capolavoro. Non è così, ma poteva anche andare molto peggio.


2 commenti:

The Passenger ha detto...

Mandami una mail scimmia °_°! Ciao e un abbraccio!

MA! ha detto...

Fatto!