venerdì 25 luglio 2008

Dark Knight, linguaggio dell'azione e scenari sonori




Pare che tutti abbiano qualcosa da dire sul nuovo Dark Knight, tutti a sbrodolare sui buchi dello script, sulle psicologie dei personaggi, sull’interpretazione di Heath Ledger. Eppure, nonostante qualsiasi apprezzamento al lavoro in questione sia meritato e giustificato dalla qualità stellare del prodotto, nessuno ha notato due aspetti fondamentali della regia del grande Christopher Nolan. Due fattori invisibili ma indispensabili all’alchimia da cui è scaturita l’atmosfera plumbea e da apocalisse imminente in cui il nostro pipistrello pare trovarsi perfettamente a suo agio. Si parla di linguaggio cinematografico e sound design.



Si prenda la prima, magnifica, scena. Una rapina in banca in apertura di un blockbuster da multisala. Qualunque altro regista della generazione di Nolan avrebbe preso l’occasione per imbastire una sequela di bullet time e interpolazioni dei movimenti di macchina. Ci sarebbero state macchine da presa che avrebbero attraversato muri e finestre, freeze frame digitalizzati e piani sequenza in computer grafica. Per nostra fortuna pare che il britannico si sia dimenticato di tutta questa paccottiglia in pixel, preferendo una concezione di regia action che deve tutto a Mann, Hill e Siegel. Derivativa? Forse, ma assolutamente cazzuta. Tesa e tagliente come una lama di rasoio, un’ autentica stilettata ai nervi. E così per tutte le restanti due ore. Tutto è terribilmente reale e fisico. Da qui l’impressione di un reale pericolo imminente. Grandangoli e carrellate (oltre ad abbondanti schizzi di sangue non in digitale) tornano a colpire dritti in faccia, come non se ne vedeva dagli anni ’80.



Si parlava anche di sound design, ovvero la capacità di creare autentici scenari sfruttando unicamente l’aspetto uditivo. In Dark Knight i suoni si ovattano, si amplificano, di distorcono, oppure scompaiono del tutto. Un autentico tour de force di sperimentazioni sensoriali che non può non rimandare a quel Time & Tide di Tsui Hark, assoluto pioniere in questo campo. Anche la colonna sonora, più vicina a un mood ambient che a una banale fanfara fatta da tema e variazioni, viene stuprata e sottomessa al volere della regia. Una sinfonia di suoni stridenti e di bassi pulsanti, mille volte più significativa e funzionale di quattro sviolinate da melo di quart’ordine. E poi, ma verrebbe da dire sopratutto, il silenzio. Angosciante e gelido come un pugnale di ghiaccio, che arriva quando meno te lo aspetti e ti riporta alla realtà. Nel modo più brutale possibile.



Pare che i tempi della scialba e banale favoletta dark di Tim Burton siano finiti. Finalmente si arriva dalla parti di Frank Miller e del Gotham Central di Ed Brubaker e Greg Rucka. Finalmente si parla di Batman.

2 commenti:

Raven ha detto...

In linea di massima concordo pressocché su tutto, ma...

"Grandangoli e carrellate (oltre ad abbondanti schizzi di sangue non in digitale) tornano a colpire dritti in faccia, come non se ne vedeva dagli anni ’80."

Sangue?
Possibile che mi sia perso tutte le scene cruente? o__O

MA! ha detto...

Alla fine tra cicatrici, volti sfigurati e fucilate (nella sequenza della rapina ci sono un paio di colpi belli sanguinolenti) direi che non ci si può lamentare. Considera il fatto che è un blockbuster da multisala e non un film di Peckinpah.