giovedì 10 luglio 2008

Tropa de Elite di Josè Badilha (Brasile/2007)

Tropa de Elite è un capolavoro perché scontenta tutti. Politicamente, stilisticamente, cinematograficamente. Glissando sulla totale mancanza dell’ aspetto sessuale, Tropa de Elite è il film più Verhoeveniano mai girato da qualcuno che non sia Verhoeven stesso.



Roberto Nascimento è stanco del suo ruolo di comandante tra le fila del BOPE, i famosi squadroni della morte brasiliani, e decide di trovare qualcuno degno di sostituirlo. Per arrivare al risultato dovrà privare dell’anima una giovane recluta idealista.



In Brasile la polizia è corrotta, molto corrotta. Le favelas sono violente e nelle università i contestatori figli di papà sperano di cambiare il mondo fumando canne e discutendo di sofismi inutili. Occorre qualcuno che risolva questa situazione con la forza, qualcuno di incorruttibile e innamorato della giustizia. In altre parole il BOPE. Un teschio, due semiautomatiche e un pugnale come stendardo, l’ordine di sparare a vista come strumento di rieducazione. Praticamente un film di propaganda per la destra più ferma e radicale. Un manifesto della violenza come strumento sociale.



Nel BOPE però non troviamo agenti pronti a distribuire caramelle ai bambini. Nel BOPE ci arrivi dopo aver passato un corso di addestramento che fa dell’umiliazione la portata principale, e nel BOPE ci rimani se sai usare un sacchetto di plastica come strumento di tortura, se spari sulla folla e sorridi nel rendere pubblica all’interno del microcosmo favela l’identità di una spia. Un ritratto che dimostra quanto detto prima sia fascista e sbagliato.



Eppure, anche mostrando alla platea quanto siano brutti e cattivi gli uomini in nero brasiliani, i contestatori universitari continuano ad alimentare il mercato del narcotraffico fumando erba, la polizia rimane corrotta e Rio De Janeiro un campo di battaglia dove ogni giorno si muore senza sapere il perché. Dove stia la ragione Josè Padilha non se lo chiede neppure, troppo impegnato a sbatterci in faccia le contraddizioni dei nostri giorni con tutta la violenza possibile. Proprio come l’olandese citato nel primo paragrafo, capace di dirigere un kolossal sulla seconda guerra mondiale dove resistenza e regime finiscono per assomigliarsi in maniera sinistra.


Anche cinematograficamente tutti sono scontenti di questo Tropa de Elite: troppo sanguigno per il circolino d’essai, troppo serio per i cultori dell’exploitation. Ultraviolento, convulso, a metà tra documentario e videoclip. Crossover portoghese ad accompagnare i titoli di testa, freeze frame per mettere l’accento sull’immancabile frase cazzuta da action hero, Michael Mann ben stampato in testa quando si tratta di girare le sparatorie. Ma anche delicato nel concedere lunghe parentesi ai monologhi interiori dei soldati, nel seguirli durante la loro vita quotidiana, nei loro sogni e nel loro desiderio di normalità. Perché essere una macchina di morte può stancare, soprattutto quando propria moglie attende un figlio. Vuoi mettere che palle rispetto a un Die Hard dove Bruce Willis cammina su un jet che vola tra i palazzi di una megalopoli statunitense e non è mai stanco di uccidere cattivoni?



Più che un film una bomba tubo, progettata a tavolino per scagliare le sue schegge mortali a 360 gradi e fare terra bruciata tutto intorno a sè. Un oggetto pericoloso e instabile, ma soprattutto terribilmente reale.


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