Dopo tutto non è possibile sviluppare una vera e propria idea circa Uzumaki, non è nemmeno facile dire se si tratti di un buon film o di una bufala gigantesca. Forse perché Uzumaki non è neppure cinema, ma piuttosto una sorta di avanguardia travestita da live action (è basato su un manga di Junji Ito) di genere.
La vita di una placida cittadina nipponica è sconvolta da una serie di fatti inspiegabili. Grande incipit, originale come una penetrazione in un film porno. Incredibile come proprio da un presupposto così lacero, il regista (originario dell’ Ucraina) Higuchinsky riesca nell’impossibile, accatastando senza sosta una serie di visioni (ma ben poca narrazione) tra il visionario e il grottesco, con ampie svisate nella stupidità più puerile, finendo per realizzare qualcosa di mai visto prima. Come una sorta di Eraserhead spinto oltre il limite dell’accettabile.
Abbiamo a che fare con un film costruito totalmente intorno al tema della spirale, andando a coinvolgere praticamente ogni aspetto della messa in scena, della trama e perfino della grammatica cinematografica. Una fotografia virata pesantemente al verde accompagna tutti i movimenti di macchina, perennemente impegnata in evoluzioni che richiamano direttamente il titolo del film. Una ricerca del surreale tanto esibita e sferzante da portare lo spettatore più volte al limite della sopportazione, bistrattato da una narrazione priva di ogni tipo di logicità o ritmo. Eppure non si riesce a staccare lo sguardo da questo piccolo mistero, come se si finisse realmente ipnotizzati dalle decine di spirali (anche metaforiche) che ne infestano i novanta minuti. Che, esattamente come nel caso del già citato Eraserhead, passano in maniera esasperatamente lenta, nonostante siano stipati fino all’orlo di suggestioni ed emozioni.
Il risultato finale è, ripeto, impossibile da valutare o analizzare secondo i tradizionali canoni della critica cinematografica. Siamo piuttosto nella sfera della video arte, ma mantenendo comunque (e con grande goduria di chi è sempre alla ricerca del nuovo all’interno di un meccanismo che in troppi danno per spacciato) i piedi ben piantati nella melma del bmovie o della produzione di genere. Una nuova via per uscire dal pantano della citazione perpetua e del post moderno a ogni costo, ennesima dimostrazione (sterile e autoreferenziale quanto si vuole, ma indubbiamente importante) di quante strade ci siano ancora da battere prima di dare un genere per definitivamente morto.
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