martedì 29 aprile 2008
Ma a cosa cazzo stavano pensando? La galleria dei fumetti più brutti della storia
lunedì 28 aprile 2008
[oldiest but goldiest] The Imp di Dennis Yu (Hong Kong/1981)
Oggi come oggi si vive nella pornografia dell’FX, dopo certe visioni (Star Wars – Episodio 3, Iron Man, Transformers,…) si è acquisita la certezza che oramai tutto quello che un regista può immaginare, lo può benissimo mostrare anche al suo pubblico. Gambizzando la magia del cinema, quell’essenza illusoria fatta di raccordi di montaggio miracolosi, inquadrature tagliate al punto giusto e giochi di specchi. Nel corso di anni tanti autori ci hanno ingannato, penso soprattutto al primo Sam Raimi o al sommo Mario Bava, e noi eravamo ammaliati dai loro scherzi e dalle loro trovate tra il geniale e il baracconesco. Senza scadere nell’apologia nostalgica e didascalica non è delitto dire che l’uso improprio della computer grafica ha soffocato il nostro stupore. Non il cosa ma il come, e il sapiente utilizzo che alcuni cineasti fanno di questa straordinaria tavolozza sta a dimostrarlo (I'm a cyborg, but that's ok di Park Chan Wook è l’esempio perfetto, ma penso anche alla fantascienza pornografica di Verhoeven o agli esperimenti di Chris Cunningham). The Imp è agli antipodi di tutto questo.
Se la storia lascia il tempo che trova, la messa in scena merita tutta l’attenzione possibile. Perché sullo schermo vedrete spiriti, palazzi posseduti, omicidi sovrannaturali, fenomeni inspiegabili. Ma in realtà le vostre retine staranno catturando solamente teli svolazzanti, fumo e luci. Scelte a volte ingenue, a volte eccellenti, ma che in qualunque caso valgono più di ogni sequenza da 150 milioni di dollari. Perché costruire un film solido, teso, con un ritmo che trattenga lo spettatore fino al delirio finale non è roba da tutti. Quando poi il budget è inesistente e il set una città sull’orlo di una crisi che potrebbe essere irreparabile allora siamo nel campo del miracolo. Eppure The Imp è quintessenza, non eccezione.
domenica 27 aprile 2008
[trailer] Missing di Tsui Hark (2008/HK)
Sperando che finalmente questo Missing possa garantirgli tutta la libertà espressiva che merita, a dispetto degli scempi fatti con gli ultimi Triangle e Seven Swords (qui si parla di 90 minuti di tagliato!).
sabato 26 aprile 2008
Terratag: Gundam goes fashion
E se le magliette vi sembrano fiche allora fatevi un giro nella sezione dedicata alle stampe...
giovedì 24 aprile 2008
Zune Art: tutti cool hunter con la più fica delle comunità online
Link qui.
mercoledì 23 aprile 2008
The Passenger n.0 a cura di Christian G. Marra
The Passenger è il folle esperimento di un noto e stimato storyboard artist. Tale soggetto, a costante contatto con registi di ogni estrazione e nazionalità, ha finito per innamorarsi di quelle storie nate per non essere narrate. Un film cancellato, un' idea bocciata o più semplicemente mai proposta. Ognuno di questi creativi ne ha almeno un armadio pieno, tra quelle da dimenticare e quelle impossibili da cancellare. E proprio da questo presupposto parte questo The Passenger: associare a ogni regista/sceneggiatore un fumettista o un illustratore, per ridare vita a idee che parevano destinate a rimanere tali.
L’andamento del magnifico volume (la confezione è veramente eccellente) è ipnotico e onirico, il bianco e nero acquista mille forme e sfumature. Ognuno dei partecipanti riesce a dare un impronta personale al lavoro, costituendo un patchwork variegato e profondo. Siamo a cavallo tra quaderno di viaggio, poesia e genere puro. Una sinergia tra sceneggiatura e illustrazione che si distanzia anni luce da certe rumorose baracconate che paiono avere sempre la meglio rispetto a coraggiosi esperimenti come questo The Passenger. Che, detto per inciso, non ha nessuna casa editrice alle spalle: il grande Christian G. Marra, lo storyboard artist di cui si parlava prima, ha fatto tutto da solo, dai contatti al finanziamento.
E’ vero che in alcuni casi sembra essere l’inconsistenza ad avere la meglio, che le storie non sono fiche e “al limite” come quelle della Marvel, ma il valore di un qualcosa mai scritto prima è comunque qualcosa di inestimabile. Quindi perché non provare?
Sito ufficiale qui.
martedì 22 aprile 2008
[trailer] Sauna di Aj Aninila (2008/Finlandia)
Pubblicità Creativa: Ikea oppure...
lunedì 21 aprile 2008
La Scimmia Magazine n.02: follia, fumetti e tanta scorrettezza.
La Scimmia è un magazine indipendente. A fumetti. Realizzati da alcune delle menti meno allineate del Bel Paese. Un autentico Vaso di Pandora dalle pagine patinate dove troverete noir crepuscolari, pittori ciechi, necrofilia, super scimmie, disadattati, scarabocchi, tanga, filosofia e citazioni colte. Un frullato iper vitaminizzato e dall’alto potenziale mescalinico dove i Nostri eroi hanno sbrindellato e miscelato in maniera del tutto irresponsabile buna parte dell’immaginario Pop degli ultimi anni, oltre che linguaggi e suggestioni che vanno dalla Torre d’Avorio della cultura più alta alla fogna del più putrido underground. Tutto racchiuso in un invitante confezione facilmente riconoscibile per le abbondanti grazie di una donna VERA in copertina, che magari è meglio della solita pin up del Turner o Campbell di turno.
Il punto è che La Scimmia venderà meno di un decimo della terza ristampa dello spinoff degli Amici di Namor. Che naturalmente uscirà in edizione cartonata e a diffusione capillare, visto che sicuramente si parla di un capolavoro assoluto, di una storia capace di rivoluzionare per sempre un universo narrativo vecchio di decenni. E poi, vuoi mettere i disegni?
Per chiarirsi, nessuno ha niente contro il fumetto mainstream (vista la natura del medium sarebbe comunque come sputare nel proprio piatto) ma molto contro l’approccio idiota (e profondamente nerd) che molta gente ha di questo magnifico strumento di comunicazione. E’ naturale essere felici che ormai metà dello staff Marvel e Vertigo è composto da italiani, che case editrici come BD e Arcadia diano sempre più spazio al genere puro, ma questo non significa che si deve incensare (e spendere soldi) per ogni foglio di carta stampata lanciato sul mercato. Saltare a pie pari il nuovo numero di una mediocre serie regolare per accattarsi questo La Scimmia (che non contiene crossover, eventi galattici, rinascite o altre cazzate del genere) significa fare contenti se stessi, la redazione e la scena indipendente italiana. Che finché la gente non imparerà a cacciare i soldi non potrà mai nascere del tutto.
Naturalmente tutta questa pappardella retorica ha valore solo per chi pensa che il fumetto abbia un potenziale destabilizzante e iconoclasta anche al di là delle parolacce nei dialoghi di Mark Millar. Se invece per voi non è così, allora fiondatevi in fumetteria a comprarvi la quinta copia degli Amici di Namor.
Sito ufficale qui.
domenica 20 aprile 2008
[trailer] Spirit di Frank Miller (US/2008)
Trailer qui.
sabato 19 aprile 2008
[trailer]Saluda Al Diablo De Mi Parte di Carlos Esteban e Juan Felipe Orozco (Colombia/2008)
Diciamocelo, tutti aspettavamo con ansia un crime movie dalla Colombia. Speriamo che i bravi Carlos Esteban e Juan Felipe Orozco ( Al Final Del Espectro) riescano a mantenere fede alle aspettative di tutti noi, amanti della malavita su celluloide. Intanto godiamoci questo fichissimo teaser per Saluda Al Diablo De Mi Parte .
giovedì 17 aprile 2008
Tattoo Death Fest - Milano 18 & 19 aprile
mercoledì 16 aprile 2008
[oldiest but goldiest] Halo - Believe (2007)
Provate a cercare informazioni circa lo spot Halo - Believe. Tutto quello che troverete saranno sterili argomentazioni su come le scelte registiche riescano a comunicare un pathos incredibile, come l’accompagnamento musicale sia adatto, come l’uso dei soldatini riesca a ricollegarsi con il prodotto da commercializzare,... Tutte colte elucubrazioni che nulla hanno a che fare con il vero motivo di fascinazione da parte di questo capolavoro della comunicazione. Detto senza presunzione ma con un occhio aperto sulla realtà.
Believe colpisce ed emoziona perché va ad agire su una sfera che diciassette anni di anestesia televisiva hanno completamente sopito. Un numero piuttosto preciso e che ci riporta al 1991, data fatidica in cui la guerra perdeva l’aspetto di barbaria e diveniva videogame non interattivo. Non ci sono più le foto dei morti, il dolore, la sporcizia. Solamente lucette colorate nel cielo, simulazioni computerizzate delle traiettorie di missili intelligenti e bottoni da pigiare, a migliaia di chilometri da dove la gente muore. Anni dopo questo porterà alla strana sensazione che tutti provarono in quel giorno di settembre, cioè la completa incapacità di concepire la morte reale se posta davanti agli occhi di uno spettatore inerte. Quello che ci colpiva attraverso lo schermo TV era troppo vero per esserlo, ciò che stavamo vedendo era un kolossal televisivo e non un tragico spaccato di realtà. Nel 2004 lo stesso concetto avrebbe reso Damien Hirst l’artista più pagato del mondo.
Lo spot di Halo agisce esattamente in maniera contraria: Believe ci ricorda la guerra, quanto possa essere dura e dolorosa. E stiamo parlando di un videogioco reclamizzato con un diorama e qualche decina di miniature. Il fruitore non si trova di fronte alla possibilità di passare qualche ora smanettando su di un joypad, il fruitore diventa un soldato. Master Chief, il milite ignoto del nuovo millennio. Se i campi di battaglia reali diventano patinati set per servizi della Fox, i cunicoli di Doom diventano simulacro del mondo reale, portando quest’aspetto al cubo e introducendoci al magico mondo dell’iperealtà. Dove i sentimenti più recessi hanno ancora un significato.
martedì 15 aprile 2008
[oldiest but goldiest] Uzumaki di Higuchinsky (Giappone/2000)
Dopo tutto non è possibile sviluppare una vera e propria idea circa Uzumaki, non è nemmeno facile dire se si tratti di un buon film o di una bufala gigantesca. Forse perché Uzumaki non è neppure cinema, ma piuttosto una sorta di avanguardia travestita da live action (è basato su un manga di Junji Ito) di genere.
La vita di una placida cittadina nipponica è sconvolta da una serie di fatti inspiegabili. Grande incipit, originale come una penetrazione in un film porno. Incredibile come proprio da un presupposto così lacero, il regista (originario dell’ Ucraina) Higuchinsky riesca nell’impossibile, accatastando senza sosta una serie di visioni (ma ben poca narrazione) tra il visionario e il grottesco, con ampie svisate nella stupidità più puerile, finendo per realizzare qualcosa di mai visto prima. Come una sorta di Eraserhead spinto oltre il limite dell’accettabile.
Abbiamo a che fare con un film costruito totalmente intorno al tema della spirale, andando a coinvolgere praticamente ogni aspetto della messa in scena, della trama e perfino della grammatica cinematografica. Una fotografia virata pesantemente al verde accompagna tutti i movimenti di macchina, perennemente impegnata in evoluzioni che richiamano direttamente il titolo del film. Una ricerca del surreale tanto esibita e sferzante da portare lo spettatore più volte al limite della sopportazione, bistrattato da una narrazione priva di ogni tipo di logicità o ritmo. Eppure non si riesce a staccare lo sguardo da questo piccolo mistero, come se si finisse realmente ipnotizzati dalle decine di spirali (anche metaforiche) che ne infestano i novanta minuti. Che, esattamente come nel caso del già citato Eraserhead, passano in maniera esasperatamente lenta, nonostante siano stipati fino all’orlo di suggestioni ed emozioni.
Il risultato finale è, ripeto, impossibile da valutare o analizzare secondo i tradizionali canoni della critica cinematografica. Siamo piuttosto nella sfera della video arte, ma mantenendo comunque (e con grande goduria di chi è sempre alla ricerca del nuovo all’interno di un meccanismo che in troppi danno per spacciato) i piedi ben piantati nella melma del bmovie o della produzione di genere. Una nuova via per uscire dal pantano della citazione perpetua e del post moderno a ogni costo, ennesima dimostrazione (sterile e autoreferenziale quanto si vuole, ma indubbiamente importante) di quante strade ci siano ancora da battere prima di dare un genere per definitivamente morto.
domenica 13 aprile 2008
Pubblicità Creativa: EXPN.com
sabato 12 aprile 2008
LaScimmia Magazine
Qui il link.
venerdì 11 aprile 2008
[trailer] A Tale of Legendary Libido di Shin Han Sol (2008/Corea del Sud)
giovedì 10 aprile 2008
This Is Hell - Misfortunes (Trustkill/2008)
Come al solito rece su Haternal.com, al link qui sotto: http://www.haternal.com/haternal-4/dett-pezzo.asp?PezId=7378
mercoledì 9 aprile 2008
Pubblicità Creativa: Campagna anti metanfetamina
[trailer] Tokyo Gore Police di Yoshihiro Nishimura (2008/Giappone)
Il trailer di quasi 5 minuti alterna momenti assolutamente inutili, quasi a livello Schnaas, con schizzi autenticamente visionari (i personaggi in latex sono una figata imbattibile!). A questo punto la cosa è definitivamente arrivata al baratro: capolavoro o cazzata assoluta?
Vedremo, intanto a breve sarà pubblicato il dvd americano di The Machine Girl. Riuscirà a essere meglio di Meatball Machine?
lunedì 7 aprile 2008
DMZ 2: Il corpo di un giornalista di Brian Wood e Riccardo Burchielli
Il secondo volume dedicato a DMZ è, per usare un eufemismo, un calcio dritto nei coglioni dei suoi detrattori. Una bomba tubo caricata a schegge di realtà, un colpo di manganello proprio dietro la nuca dell’ignoranza. Se il primo tomo era caratterizzato da una forte carica metaforica, con Brian Wood che evitava di perdere tempo spiegando il come e il perché di una guerra che puzza di McGuffin lontano un miglio, puntando invece i piedi quando si tratta di smascherare le meccaniche perverse dietro al fenomeno vergognoso del giornalismo embedded e sull’insicurezza che da circa sette anni regna nel cuore di ogni americano, in questa nuova uscita lo scrittore accontenta tutti i suoi critici e incomincia a dare una profondità nuova al suo scenario. Come certa gente riesca a godere di megaeventi che due volte all’anno rivoluzionano universi vecchi decadi, di morti e risurrezioni, di saghe galattiche tra pompinari dai poteri divini, per poi venire a fare le pulci a un opera come questa non me lo riesco proprio a spiegare. Probabilmente la risposta la troverò quando riuscirò a capire come mai alle fiere del fumetto la gente sembra sempre più interessata a gadget dozzinali e a costumi cuciti dalla mamma piuttosto che alla carta stampata.
Comunque, tornando a DMZ, Brian picchia come un boxeur professionista, mettendo sempre più alla berlina gli organi d’informazione coinvolti nelle zone calde del pianeta. E non si parla sempre della solita Fox (anche se il canale di Murdoch continua a rimanere l’esempio più ingiustificabile di questo atteggiamento) e dell’esercito statunitense: prendetevi i giornali dal ‘91 a oggi (con una puntatina nel 1982, tra Argentina e Inghilterra) e scoprirete quanto quella maledetta/benedetta notte vietnamita (Offensiva del Tet, 1968) abbia autenticamente cambiato le carte in tavola per tutti. Peccato che adesso, probabilmente proprio in virtù delle sterili critiche di cui ho parlato prima, l’autore punti a tappare tutti i buchi di sceneggiatura, spiegando per filo e per segno ogni momento della guerra civile che separa gli US: la vicenda perde moltissimo in suggestione ma ci guadagna in durezza, passando da distopia imbevuta di folle umorismo socio politico a dolorosa cronaca. La satira lascia spazio al realismo, con buona pace dei detrattori.
Burchielli ha in tutto questo un ruolo fondamentale, che lo eleva a chilometri dal bieco ruolo di mestierante: alle prese con una sceneggiatura densa e forse fin troppo intelligente, molti sarebbero caduti nella trappola del fumetto forzatamente arty. Il Nostro toscano invece no, ed è un’ autentica manna dal cielo. Le accuse di Wood prendono la forma di fantasmagorico blockbuster, la regia passa da un ipotetico Michael Moore a un ipercinetico Tsui Hark. Un tratto che risulta per forza di cose fico (vi assicuro che non esiste parola migliore per definirlo) e accattivante lavora in sinergia con una scelta delle inquadrature mai banale e fine a se stessa, andando a generare un’ alchimia carica di carattere e stile: esiste forse un modo migliore per rendere accattivante e avvincente una sceneggiatura che ci parla di quanto i nostri governi ci prendano per il culo? La mia mail la trovate nell’angolo in alto a destra.
Considerazioni politiche a parte, una grande pagina di fumetto. Una dimostrazione di quanto poco spesso l'eroismo passi dal machismo forzato o dall'ipervirilità. E l'ultima parte del volume, quella che sicuramente verrà snobbata dai più, ci dimostra di quanti eroi sia pieno il mondo.
Due consigli per chi abbia voglia di approfondire l'argomento: Reporter di Guerra di Mimmo Candido e Televisoni di guerra di Antonio Scurati.
domenica 6 aprile 2008
Harlots - Betrayer (LifeForce Records/2008)
venerdì 4 aprile 2008
[oldiest but goldiest] Seeding of a Ghost di Yang Chuan (1983)
La morte della moglie (naturalmente crudelissima, come vuole la regola aurea dell’exploitation) porta un povero taxista a chiedere l’aiuto di un mago per potersi vendicare dei due stupratori colpevoli dell’omicidio. Grazie alla magia nera la vendetta sarà terribile.
Buchi logici, nudità femminili gratuite, mostri di gomma,… tutto quello che potrebbe fare grande un film del genere è presente in quantità massicce, rendendoci protagonisti di un autentico show dell’eccesso e del bizzarro. Ciò che rende Seeding of a Ghost realmente godibile è la sua onestà, la sua impudenza nel presentarsi come prodotto genuinamente horror, merce rara anche prima che la maledetta etichetta del postmoderno rendesse capace chiunque di giustificare la peggiore immondizia puntando su di un ironia che oramai fa ridere solo chi è rimasto indietro dieci anni e scambiando il furto indefesso con l’omaggio.
Una sterile fiera dell’accumulo, una corsa sulle montane russe della follia visionaria a buon mercato. Il piacere di regredire allo stadio in cui i mostri erano informi ammassi di poltiglia verdastra e non ferali serial killer dalla mente chirurgica, in cui la paura era completamente a carico delle nostre retine, lasciando l’encefalo libero di starsene spento nel suo angolino buio. In un vecchio numero di Nocturno Giona A. Nazzaro raccontava di come John Woo gli avesse restituito gli eroi dell’infanzia, Seeding of a Ghost contribuisce invece a restituirci le nostre fantasie paurose più sfrenate. Senza tutti i blocchi della maturità.
Ristampato da poco dalla Celestial di HK, da accattarsi assolutamente in vcd.
giovedì 3 aprile 2008
Marketing fin troppo creativo: SoulCalibur 4
martedì 1 aprile 2008
Fear Agent, l'icontenibile fascino dell'ignoranza
Grazie alla sua carica esagerata di ignoranza è impossibile non considerare Fear Agent come un piccolo tesoro, una guilty pleasure verrebbe da dire, immancabile nell’antro di ogni fumettaro allo stadio terminale. E il motivo è presto detto, soprattutto se contestualizzato nel panorama offerto odiernamente dalla narrativa disegnata: se con Azzarello devo leggere prendendo appunti, con Millar devo conoscere la situazione geopolitica mondiale degli ultimi quindici anni, con Ellis mi devo preparare a incassare almeno un paio di poderosi montanti alla bocca dello stomaco, con Fear Agent mi basta spegnere il cervello. Si noti che non mi sto lamentando del livello stellare a cui l’arte sequenziale ci ha abituato negli ultimi anni, però è dura non ammettere che tra un noir di Brubaker e una riflessione post bellica di Ennis un sano pacco da sei di birra, violenza e volgarità non appaia come un autentica boccata d’aria fresca.
Fear Agent restituisce il fumetto alla sue origini basse, fregandosene dell’introspezione e dell’immersione letteraria, restituendoci quel divertimento genuinamente fine a se stesso tipico degli strati più popolari di questa forma d’arte. L’opera di Rick Remender non sconfina nel campo da gioco della nostalgia a tutti i costi, ambito decisamente delicato a meno che non si parli degli American Best Comics di Moore o del Superman di Morrison e Quitley, ma piuttosto si impone con il suo fare da spaccone menefreghista, capace di masticare e sputare ridotti in poltiglia gli ultimi 50 anni di sci fi. Come una sorta di Die Hard farcito di alieni, robot, astronavi e steroidi.
Menzione d‘onore all’Italy Comics per aver deciso si proporci tale gioiello nel formato a lui più congeniale, ovvero quello spillato che tanto ci ricorda tutta quella paccottiglia non degna di finire in un trade paperback di lusso. In un momento dell’editoria in cui la narrativa “vera” finisce sommersa in un mare di scritte metallizzate e carta da culo, in cui è proprio il fumetto a restituire dignità al supporto, proponendo edizioni sempre più curate e preziose,