Continua nel terzo trade paperback edito dalla Salda Press (che si fa attendere ma ripaga con una qualità stellare, soprattutto nei materiali) la saga horror esistenzialista creata da Robert Kirkman. Con tutti i pregi e i difetti del caso. Annullando il concetto di narrazione decompressa introdotto nel mondo dei comics da Grant Morrison, questo Walking Dead viene concepito dal suo autore come potenzialmente senza fine: nel descrivere le gesta di una piccola comunità di sopravviventi in un mondo popolato da zombie i personaggi possono essere introdotti o morire in qualsiasi momento, andando a determinare uno dei punti di forza di questa proposta. Se si ha come obiettivo la cronaca della vita quotidiana in un contesto alieno e minaccioso, la fine improvvisa del nostro personaggio preferito è un ipotesi da prendere in considerazione senza alcun problema. Per rimpiazzarlo basterà l’incontro e la fusione con altre piccole comunità. E qui incominciano i problemi: se da una parte la profondità della lettura e delle psicologie dei personaggi raggiunge in questo terzo volume vette da capolavoro, la struttura narrativa incomincia invece a mostrare la corda. Attente e amare riflessioni sulla (ri)nascita di una civiltà organizzata, ponendosi quesiti importanti come la legittimità della pena di morte in condizioni al limite, stridono se affiancate a una costruzione che sfrutta il meccanismo del cliffhanger fino allo sfinimento. Un canovaccio piuttosto schematico (ogni volta tutto sembra essersi risolto ma, improvvisamente, un evento esterno infrange l’equilibrio) e la poca attenzione (almeno per ora) al lungo periodo forniscono una base solida e semplice su cui costruire complesse architetture analitiche/sociologiche, ma se non si hanno nelle proprie mire autentici colpi di coda alla Mark Millar tutto potrebbe risultare deleterio.
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