martedì 25 marzo 2008

Sick Nurses di Thospol Sirivivat e Piraphan Laoyont (2007)


Da Wikipedia.org: “Fanservice o fan service (in giapponese semplicemente "saabisu", "service") è un termine gergale usato soprattutto in qualsiasi prodotto (anche se il termine è nato per indicare anime e manga, lo si può allargare a libri, fumetti, programmi televisivi, videogiochi) per indicare un indugiare su particolari del tutto gratuiti che non hanno un peso reale sulla trama, ma sono presenti solo per soddisfare un certo tipo di pubblico (per dare, appunto, un servizio ai fan). “


E proprio a questo si riconducono gli ottanta minuti scarsi di questo Sick Nurses, prodotto Thailandese a cavallo tra horror, misoginia e ironia sguaiata.


Prendete il seminale Angeli Violati (1967) di Koji Wakamatsu, storia di un gruppo di infermiere sequestrate e seviziate da uno squilibrato in preda a un delirio edipico dalle proporzioni bibliche. Da molti questo è considerato il motore primo di tutto il prolifico genere dell’ero guru (erotismo grottesco) nipponico, inutile quindi disquisire sull’importanza per l’immaginario collettivo (in oriente come in occidente, basti pensare a Cronenberg) di una tale opera. Unite alla potenza deflagrante di una tale carica iconoclasta la demenza che vorrebbe avere un prodotto distribuito dalla Troma come Maniac Nurses Find Ecstasy (1990), ennesima variazione sul tema W.I.P. (women in prison) ma arricchito dalla presenza di provocanti infermiere killer. Non fate mancare all’appello neppure uno spirito in cerca di vendetta, una tonnellata di inquadrature maniacali sui culi/tette delle sette infermiere (il famoso fan service) e avrete Sick Nurse. Film che, detto per inciso, nella sua pochezza si mangia tutti gli horror pop corn movie di stampo statunitense degli ultimi cinque/dieci anni.


Tutta la trama si dipana nei tre minuti antecedenti ai titoli di testa, in cui vediamo un infermiera morire sul tavolo operatorio circondata dalle sue colleghe e con qualcuno che ci aggiorna sul fatto che gli spiriti tornano sulla Terra per la loro vendetta a distanza di sette giorni dal decesso. Il restante minutaggio si concentra sulle uccisioni (alcune veramente notevoli) e sulle fattezze delle protagoniste (tutte carine ma con due/tre casi di autentico attacco alle coronarie, sempre che vi piaccia la patatina orientale…).


Quello che maggiormente colpisce dell’opera degli esordienti Thospol Sirivivat e Piraphan Laoyont è l’alternarsi tra una morigeratezza da oratorio (nonostante le vagonate di gnocca neppure un pelo, fino all’eccesso della doccia vestita da parte della più formosa delle protagoniste) e un menefreghismo assoluto per il politicamente corretto. Una carica immorale che spinge a dipingere tutti i personaggi femminili come possessivi e ossessionati da se stessi, oltre che oltremodo stupidi e superficiali (tra le lesbo amichette, la maniaca del fitness, la bulimica e la fissata con il matrimonio abbiamo decisamente un bel campionario di casi umani tra cui andare a pescare) e, naturalmente, ad affogarli nel loro stesso sangue. Che scorre a fiumi, e spesso in maniere del tutto inedite.


Per il resto il film si basa su una manciata di ottime trovate (magnifico il climax dell’orologio) e su una messa in scena ultraibrida (tipico da cinema thai) capace di frullare nello stesso cocktail impazzito cinema classico, videoclip e suggestioni da survival horror per PS2 (vedi alcune soluzioni cromatiche o l’uso del grandangolo su alcuni movimenti di macchina). Ottimi scivoloni nel grottesco, tipo i gayser di sangue alla festa, e finalone Miikiano.




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