Che cosa rende diverso Save the Green Planet dalle decine di pastiche che da qualche anno soffocano la creatività cinematografica difendendosi dietro lo scudo del post modernismo? Semplicemente profondità. Perché STGP è sì una commedia demenziale, un torture movie decisamente oltranzista, un thriller ben costruito e un film di fantascienza come non se ne vedevano da tempo, ma più di ogni altra cosa ci troviamo di fronte a un dolcissimo dramma interiore, a una riflessione sull’innata bontà dell’animo umano e a dettagliate istruzioni su come deturparla per sempre. Si ride a crepapelle, ci si spaventa, ma soprattutto (e quando meno te lo aspetti) si piange. A dirotto. E tutto è girato da un esordiente che passa di varie lunghezze ben più celebrati professionisti.
Byeong-gu è un poveraccio convinto che il suo capo sia un alieno venuto da Andromeda, tutto parte da qui. Ogni altro elemento svelato in anticipo contribuirebbe a svelare in anticipo il valore di una sceneggiatura dalle sfaccettature infinite e frastornati, ma sappiate che nelle due ore seguenti troverete TUTTO, dal cinema di genere alla denuncia sociale.
A rendere questo Save The Green Planet un capolavoro assoluto è, oltre alla già citata profondità, il labirinto di linguaggi che ci aspetta: dalla citazione cinefila all’animazione, passando per un sense of wonder che non richiede 150 milioni di collari a botta. Come l’ostaggio del protagonista ci ritroviamo rinchiusi in un labirinto da cui pare impossibile sfuggire, ma per noi questo è un lusso. Per la vittima di Byeong-gu no. Decisamente no. Fotografia, regia e montaggio sono ai massimi livelli, buttando sul piatto un bigino di tutto quello che è storia del cinema e della comunicazione visiva. E ampliandolo, aprendo squarci visionari sempre sospesi tra la poesia e lo sbeffeggio, trascinando per il bavero lo spettatore ipnotizzato da tale bengodi attraverso un cinema dell’accumulo che riesce a farci capire a che mostro d’intelligenza siamo messi di fronte pur comportandosi da scemo del villaggio. Dando un significato metaforico anche al passaggio slapstick, dipingendo di poesia il grottesco e il surreale.
Senza esagerare, il primo lungometraggio di Joon-Hwan Jang assume la forma di una sfregio in pieno volto per tutti quelli che non fanno che riempirsi la bocca dicendo che tutto è già stato fatto, scritto e immaginato. Perché l’ignoranza (e dando un limite alla creatività umana non si possono utilizzare altre parole) è una colpa che va portata ben stampata sul volto, soprattutto in un epoca in cui la colpa più grande è quella di non sapere (come dice un certo Anthony Giddens). Dove eravate voi quando tale magnus opus scuoteva i cinema dell’altra metà del mondo? A lamentarvi che nel multisala vicino a casa non passa che spazzatura a stelle e strisce? E allora perché non munirvi di carta prepagata e non ordinare il DVD direttamente in loco? Non ci sono scuse, se amate il cinema questo è uno dei titoli da recuperare tassativamente. Altrimenti vi meritate la vostra banalità.
Byeong-gu è un poveraccio convinto che il suo capo sia un alieno venuto da Andromeda, tutto parte da qui. Ogni altro elemento svelato in anticipo contribuirebbe a svelare in anticipo il valore di una sceneggiatura dalle sfaccettature infinite e frastornati, ma sappiate che nelle due ore seguenti troverete TUTTO, dal cinema di genere alla denuncia sociale.
A rendere questo Save The Green Planet un capolavoro assoluto è, oltre alla già citata profondità, il labirinto di linguaggi che ci aspetta: dalla citazione cinefila all’animazione, passando per un sense of wonder che non richiede 150 milioni di collari a botta. Come l’ostaggio del protagonista ci ritroviamo rinchiusi in un labirinto da cui pare impossibile sfuggire, ma per noi questo è un lusso. Per la vittima di Byeong-gu no. Decisamente no. Fotografia, regia e montaggio sono ai massimi livelli, buttando sul piatto un bigino di tutto quello che è storia del cinema e della comunicazione visiva. E ampliandolo, aprendo squarci visionari sempre sospesi tra la poesia e lo sbeffeggio, trascinando per il bavero lo spettatore ipnotizzato da tale bengodi attraverso un cinema dell’accumulo che riesce a farci capire a che mostro d’intelligenza siamo messi di fronte pur comportandosi da scemo del villaggio. Dando un significato metaforico anche al passaggio slapstick, dipingendo di poesia il grottesco e il surreale.
Senza esagerare, il primo lungometraggio di Joon-Hwan Jang assume la forma di una sfregio in pieno volto per tutti quelli che non fanno che riempirsi la bocca dicendo che tutto è già stato fatto, scritto e immaginato. Perché l’ignoranza (e dando un limite alla creatività umana non si possono utilizzare altre parole) è una colpa che va portata ben stampata sul volto, soprattutto in un epoca in cui la colpa più grande è quella di non sapere (come dice un certo Anthony Giddens). Dove eravate voi quando tale magnus opus scuoteva i cinema dell’altra metà del mondo? A lamentarvi che nel multisala vicino a casa non passa che spazzatura a stelle e strisce? E allora perché non munirvi di carta prepagata e non ordinare il DVD direttamente in loco? Non ci sono scuse, se amate il cinema questo è uno dei titoli da recuperare tassativamente. Altrimenti vi meritate la vostra banalità.
Pagina IMDB: http://www.imdb.com/title/tt0354668/
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