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Anche in Exodus questo lato del suo carattere era palpabile, con un ambiente ingombrante che schiacciava continuamente i protagonisti maschili della vicenda ai margini dell’inquadratura, rendendoli minuscoli nei confronti di qualcosa di incomprensibilmente complesso ma comunque reale e palpabile. Con le elissi e i piani sequenza che ci facevano lentamente capire quello che i dialoghi avrebbero annacquato irrimediabilmente, facendoci realizzare poco per volta a che razza di cospirazione ci si trovava di fronte. Ambienti asettici, musiche eteree, omicidi decisamente inquietanti. Tutto reso “alto” da una messa in scena e da un montaggio capaci di stilizzare e rendere (magnificamente) incomprensibile anche lo sfruttato set dell’ex colonia inglese.
Con Trivial Matters invece Pang ci ricorda da dove viene: 90 minuti, sette storie basate su scatologia, sesso e pompini. Si va dal catastrofico avvio (decisamente pessimi i primi due episodi) fino al capolavoro del trittico finale, dove cinismo, tenerezza e ironia danno il meglio. Regia televisiva, grande direzione degli attori e tanta voglia di giocare sporco. Nulla di trascendentale, certo, ma l’amarezza nei confronti di un destino beffardo, o la dolcezza di una storia d’amore morta sul nascere (da scuola del cinema il segmento in questione, in cui una l’affetto tra una prostituta e un mafioso si brucia in una manciata di minuti, senza mai dichiararsi) o, ancora, la fortuna inaspettata che nasce da un tiro di bong, meritano sempre una visione.
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